È difficile ipotizzare cosa passasse per la testa di Giorgia Meloni nella lunga nottata elettorale americana. La premier sperava che vincesse Donald Trump, come poi è effettivamente accaduto, oppure auspicava che Kamala Harris diventasse la prima presidente donna degli Stati Uniti? Per provare a rispondere a questa difficile domanda bisogna passare in rassegna gli ultimi mesi. Per tutto il 2024, anno della presidenza italiana del G7, Meloni dava l'impressione di essere una partner politica perfetta di Joe Biden nel sostenere l'agenda del Gruppo dei Sette. Dall'intelligenza militare al sostegno all'Ucraina, dalla presa di distanza dalla Cina al Medio Oriente, il governo italiano ha ricalcato i passi effettuati da quello statunitense. Almeno in una prima fase, perché a settembre, quando già si sapeva che Biden sarebbe stato sostituito da Harris, la posizione della leader di Fratelli d'Italia è cambiata. In occasione di un viaggio negli Usa per ricevere il Global Citizen Awards da parte del prestigioso think tank Atlantic Council, Meloni ha ignorato l'invito a cena di Biden e ha accettato di prendere il suddetto premio direttamente dalle mani del Trumpiano di ferro (o Trumpista che dir si voglia) Elon Musk...
Il comportamento camaleontico mostrato da Meloni, ovvero il fatto di ostentare grandi relazioni con entrambi i lati dello spettro politico statunitense, sia Repubblicano che Democratico, aveva un chiaro obiettivo: evitare di dare l'impressione che la premier italiana potesse avere un palese posizionamento politico, e scongiurare il rischio di scommettere sul cavallo sbagliato. Missione riuscita: non appena i sondaggi hanno iniziato a strizzare l'occhio a Trump, Giorgia si è allontanata da Biden/Harris per avvicinarsi – almeno tramite l'intermediazione di Musk – alla galassia trumpiana. In tutto questo c'è un chiaro ragionamento politico interno che riguarda le dinamiche italiane: una presidenza Harris sarebbe stata una manna dal cielo per la politica internazionale dell'Italia ma una rovina sul fronte nazionale. Già, perché se da un lato una ipotetica presidenza Harris avrebbe cooperato con Roma sui dossier contenuti nel documento finale del G7 (adottando quindi un approccio multilaterale), dall'altro lato avrebbe mal sopportato i gorgoglii di pancia di una parte del governo Meloni. Il riferimento è a Matteo Salvini, e dunque a Orban, e dunque a Le Pen, e dunque ai populisti europei (molti dei quali, tra l'altro, hanno strizzato l'occhio a Vladimir Putin). Lo stesso Salvini, tra l'altro, avrebbe approfittato della vittoria di Harris per capitalizzare consensi attaccando la sfidante di Trump su temi strategici di rottura (dal green ai diritti Lgbt).
Il trionfo di Trump ha scongiurato rotture interne al governo Meloni ma, al tempo stesso, ha privato l'Italia di un ombrello in campo internazionale. Attenzione però, perché la leader di FdI ha giocato bene le sue carte acquistando in tempo un salvagente che adesso può tranquillamente utilizzare. Ci riferiamo all'avvicinamento – più o meno forzato – tra la stessa Meloni e Ursula von der Leyen, presidente della Commissione europea e volto chiave di Bruxelles. Detto altrimenti, con gli Usa a trazione trumpiana che metteranno a repentaglio il sostegno statunitense alle priorità degli affari esteri italiani (dalla migrazione al Medio Oriente, dalla Nato all'Ucraina), Meloni si chiederà presumibilmente il sostegno delle sue controparti europee. Chissà se affidarsi alla tanto odiata Ue basterà...