Prima il leak di una versione “ufficiosa” della nuova Strategia di Sicurezza Nazionale statunitense, con l'amministrazione Trump che vorrebbe rafforzare le relazioni bilaterali con alcuni Paesi europei - tra cui Italia, Austria, Ungheria e Polonia – per allontanarli dall'Ue o indebolire l'integrazione del continente. Poi – non sono servite a molto le smentite della Casa Bianca – i riflettori hanno puntato un particolare del documento: una sigla sospetta che indica il futuro assetto globale sognato dagli Usa. Signori, ecco a voi il C-5, o anche Core Five, il super club sognato da Trump e formato dai cinque principali Paesi del pianeta con più di 100 milioni di abitanti. Non sono tutti alleati o partner, anzi il contrario, e l'idea di unirli in un unico forum servirebbe per smussare le loro rivalità, o anche suddividere il mondo in aree circoscritte gestite da potenze regionali, o ancora consentire agli Stati Uniti di gestire gli affari vis a vis con i leader che contano. Tanti saluti dunque al G7, alle illusioni di Francia e Germania di poter contare qualcosa, alle interlocuzioni Washington-Bruxelles. Ok, ma che caz*o è il C-5? Come dovrebbe funzionare? E chi c'è dentro?
Il progetto, raccontato da indiscrezioni e retroscena, ruota attorno a un’idea tanto semplice quanto brutale: contano solo i grandi numeri e l'hard power. Dentro il C-5 finirebbero infatti Stati Uniti, Cina, India, Russia e Giappone, selezionati non per affinità politiche ma per peso demografico, militare ed economico. L’Europa, come soggetto unitario, viene di fatto espulsa dal tavolo: troppo lenta, troppo divisa, troppo regolata. Che significa questo? Semplice: che Washington non punta più a mediare tra alleati, ma a trattare direttamente con pochi leader chiave, accettando il conflitto permanente come metodo di gestione dell’ordine globale. Altro che multilateralismo: il C-5 servirebbe a congelare le rivalità, spartire le aree d’influenza e ridurre le crisi a dossier bilaterali. Una logica da concerto delle potenze, aggiornata all’era dei social, dei dazi e delle guerre ibride.
E l’Italia? Qui arriva la parte meno bella (almeno per noi). Roma compare nei documenti non come attore strategico, ma come, di fatto, una specie di pedina utile a indebolire la coesione europea, insieme ai soliti noti dell’Est e del Centro Europa. Nessun posto nel super club, nessuna voce nei grandi dossier, solo l’illusione di un rapporto privilegiato con Washington in cambio di poco o niente. Il messaggio è chiaro: nel mondo del C-5 non esistono alleati, ma solo Stati utili o irrilevanti. E l’Europa, incapace di parlare con una sola voce, rischia di scoprire di essere entrambe le cose, a seconda dell’umore americano del momento. Spoiler confermato: per noi, zero protagonismo. “Siamo di fronte a una cesura della storia. È finito il rapporto transatlantico così come lo concepivamo. L'Europa deve prenderne atto, avrebbe dovuto farlo un po' prima perché i sintomi c'erano già tutti a partire dal giorno della seconda inaugurazione dell'amministrazione Trump”, aveva infatti dichiarato a MOW il generale generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato maggiore della Difesa. Sipario.