Lo strappo è compiuto. Non è ufficiale, e forse non lo sarà mai, ma i suoi segni si notano evidenti sul sempre più lacerato tessuto dell'Europa. Pare, infatti, che scondo estratti trapelati di una versione più estesa (non ufficiale) della nuova Strategia di Sicurezza Nazionale statunitense, l'amministrazione Trump abbia intenzione di rafforzare le relazioni bilaterali con alcuni Paesi europei - tra cui Italia, Austria, Ungheria e Polonia - con l'intenzione di allontanarli dall'Unione Europea o indebolire l'integrazione del continente. Il documento – smentito dalla Casa Bianca - suggerisce a Washington di lavorare con governi o forze politiche nazionaliste e favorevoli alla sovranità statale per ridurre l'influenza dell'Ue e creare alleanze più individuali con gli Usa. Politici europei, come il vice primo ministro polacco e il cancelliere austriaco, hanno respinto l'idea che i loro Paesi possano essere “allontanati” dall'Ue o che intendano farlo, ma la bomba è esplosa e i danni – almeno d'immagine – sono già ben visibili.
Per capire che cosa sta succedendo, cosa significa il contenuto della strategia ufficiosa degli Usa e quali potrebbero essere le conseguenze per l'Europa – Italia compresa – abbiamo intervistato il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato maggiore della Difesa e poi consulente del ministro Franco Frattini alla Farnesina.
Generale, che idea si è fatto di questa vicenda?
"Siamo di fronte a una cesura della storia. È finito il rapporto transatlantico così come lo concepivamo. L'Europa deve prenderne atto, avrebbe dovuto farlo un po' prima perché i sintomi c'erano già tutti a partire dal giorno della seconda inaugurazione dell'amministrazione Trump. La situazione è una novità assoluta”.
A cosa ci troviamo di fronte?
“Russia e Usa si stanno, di fatto, mettendo d'accordo per fare affari insieme, alle spalle dell'Europa”.
L'Europa cosa può o dovrebbe fare a suo avviso?
“Tra gli europei deve maturare una coesione politica, quanto meno tra un gruppo di Paesi di avanguardia che ruoti attorno ad alcuni volenterosi come Francia, Germania e Regno Unito. L'Italia farebbe bene a rompere gli indugi e ad aggiungersi senza fare i distinguo che vengono proposti in questi giorni”.
Secondo le bozze circolate, gli Usa vorrebbero rafforzare legami con Italia, Austria, Ungheria e Polonia per indebolire l’Unione Europea. Perché proprio questi Paesi?
“I Paesi citati sono l'anello debole dell'insieme di membri dell'Ue. E vengono considerati da Washington come ideali per impedire all'Europa di raggiungere quella coesione che invece ritengo necessaria. Da questo punto di vista, essere in questa lista non è un bel segnale. Magari a qualcuno fa piacere ma, ripeto, non è affatto un bel segnale”.
L'Italia, appunto, potrebbe fungere da ponte visti i rapporti buoni tra il governo Meloni e l'amministrazione Trump, oppure non ha alcuna voce in capitolo?
“Per fare un ponte, attraverso un varco, un fiume o un oceano, bisogna fare un pilastro da una parte e un pilastro dall'altra. Noi, come Italia, possiamo pure costruirne uno. Ma dall'altra parte non c'è alcuna volontà di fare un altro pilastro. Quella che qualcuno nutre è quindi un'illusione velleitaria”.
Secondo lei c'è qualcuno che in Europa, a livello di leadership, in grado di guidare il gruppo di volenterosi?
“Al momento la situazione politica nei vari Paesi europei non è rosea. Macron ha una posizione debole e fra poco ci sono le elezioni. L'Uk ha le sue difficoltà: Starmer ha problemi interni e di inaffidabilità di alcuni membri del suo gabinetto. Mertz ha Afd che, stando ad alcuni sondaggi, avrebbe una maggioranza relativa. I problemi ci sono, personalità emergenti nulle. Possiamo fare il nome di Mario Draghi che ha tutte le caratteristiche di capacità intellettuale e visione che servirebbero. Oggi non ha però alcun ruolo in nessuna istituzione. Certo, serve una leadership che in qualche modo trascini i Paesi europei che lo vogliono e lo desiderano verso una qualche forma di Federazione. Si possono fare tutte le architetture che si vogliono, tutte le fantasie sono possibili, ma per forza serve una coesione. Non possiamo permetterci di essere un gruppo di Paesi dove ciascuno guarda al proprio “particulare” come diceva Guiccardini”.