Il Partito Repubblicano parte col tradizionale primo appuntamento dell’Iowa a delineare la rotta che porterà all’individuazione del candidato che, dalle primarie, uscirà come sfidante di Joe Biden alle elezioni presidenziali di novembre. 3,1 milioni di abitanti sparsi su una superficie che è poco meno di metà di quella italiana, in questa settimana colpita da venti gelidi che portano le minime notturne a -25/-30 gradi centigradi, nel cuore dell’America profonda sempre più rosso repubblicana, l’Iowa darà coi suoi caucus il calcio d’inizio che porterà alla convention repubblicana di luglio di Milwuakee, in cui si designerà il candidato del Grand Old Party. Il rito delle primarie continua, elezione dopo elezione. In Stati come l’Iowa si procede col metodo dei caucus: gli elettori registrati come repubblicani si troveranno in ogni sede e discuteranno apertamente presentando il loro voto a favore di uno dei vari candidati. In altri Stati, si usa la regola delle primarie aperte con seggi elettorali e urne centralizzate. Ogni Stato eleggerà, principalmente in forma proporzionale ma in alcuni casi (come le Isole Vergini) secondo il meccanismo del winner-takes-all i delegati alla convention di Milwuakee in cui il numero magico da raggiungere sarà quota 1.234 delegati. Ovvero la maggioranza assoluta dei 2.467 che sceglieranno il candidato alla presidenza e il suo vice. La partita si apre attorno a una domanda fondamentale: sarà, per la terza volta consecutiva, Donald Trump l’uomo da battere in casa Grand Old Party? Quattro anni dopo la sconfitta con Joe Biden e la velenosa coda di Capitol Hill The Donald vuole tornare alla Casa Bianca ed è il primo ex presidente dopo Herbert Hoover, che ci provò nel 1940, a partecipare a una primaria dopo l’uscita dalla Casa Bianca. La partita sarà per il cuore e l’anima di una formazione che, negli ultimi anni, è stata radicalmente trasformata. Il Partito Repubblicano si è spostato su posizioni sempre più identitarie, iperconservatrici e nazionaliste e Trump ha plasmato una classe dirigente formata da una leva di deputati e senatori attenti a portare all’attenzione battaglie come quella pro-life, venature isolazioniste in politica estera e, soprattutto, ad avere come cifra distintiva un consolidamento della narrativa nata dopo la sconfitta con Biden. Quella, cioè, della rigged election, dell’elezione in qualche modo rubata o sottratta alla legittimità del suo vero esito.
Nonostante le continue smentite a riguardo e l’ondata di inchieste in un’America sempre più polarizzata e in un Grand Old Party ormai trasformato Trump è considerato il favorito e ha mantenuto un costante vantaggio nelle intenzioni di voto. Alcuni repubblicani hanno espresso preoccupazione per la sua nomina a causa della sua sconfitta e rovinosa uscita di scena nel 2020 , del suo ruolo nell'incitamento all'attacco al Campidoglio degli Stati Uniti del 6 gennaio, delle sue indagini penali in corso, e della lezione dei risultati delle elezioni di medio termine del 2022 , in cui diversi candidati appoggiati da Trump hanno perso gare chiave e sono costate al partito un’avanzata più ridotta contro i Democratici, fermando una “onda rossa” ampiamente attesa.
La grande domanda che a partire dal caucus dell’Iowa molti dovranno porsi è se una candidatura alternativa a Trump potrà emergere. I democratici nel 2020 si compattarono attorno a Joe Biden per frenare l’ascesa di un radicale come Bernie Sanders, contro cui da Michael Bloomberg a Pete Buttigieg tutti i concorrenti si coalizzarono premiando l’ex vicepresidente di Barak Obama. Oggi i candidati alternativi a Trump sono, in potenza, tre. Si parte dal primo sfidante conclamato, il governatore della Florida Ron DeSantis, che vuole sorpassare a destra Trump sulla linea law and order, il liberismo economico, la lotta alla presunta minaccia della Sinistra radicale. Si aggiunge l’ex governatrice della South Carolina e ex ambasciatrice all’Onu proprio di Trump, Nikki Haley, campionessa dell’ala neocon e più tradizionale del partito. Si conclude poi col libertario Vivek Ramaswamy, il Javier Milei a stelle e strisce. Dal gelo dell’Iowa e dalle successive primarie in Stati come il New Hampshire si capirà se quella di Trump sarà una corsa solitaria o meno. Tra le domande chiave si può pensare al risultato dell’Iowa e non solo: Trump è dato dai sondaggi al 50% nell’Hawkeye State, saprà tenere la maggioranza assoluta o sarà solo vincitore relativo? E poi, Nikki Haley supererà Ron DeSantis come seconda forza, tra il 10 e il 1%%, nelle intenzioni di voto? Vivek Ramaswamy ha ragione quando dice che i sondaggi non stanno mostrando il suo vero sostegno elettorale? E, soprattutto, chi attaccherà con maggior forza The Donald? Trump è abituato a giocare in maniera offensiva.
Dunque, dal suo punto di vista affondare su un avversario significa, in un certo senso, mostrarne la potenziale pericolosità. Haley vuole arrivare seconda in Iowa, nota Politico, per poi gestire una fase che sarà caratterizzata da Stati a lei favorevoli: il New Hampshire, dove voteranno alle primarie anche gli elettori indipendenti e non registrati, e la nativa South Carolina. DeSantis mostrare di esser ancora in partita e Vivek di esistere, in una base elettorale che è presidiata a destra da The Donald. L’obiettivo? Tenere viva la sfida fino al 5 marzo, il “Super Tuesday” in cui voteranno ben sedici Stati e ci si giocherà un terzo della posta in palio, con voti che riguarderanno la California e il Texas, i due maggiori Stati Usa, oltre a roccaforti repubblicane come Tennessee, Alabama, Alaska e North Carolina. Quel giorno si capirà se Trump sarà uomo solo al comando o no. E l’esistenza di un anti-Trump si capirà in pcohe settimane nei voti in Stati apparentemente secondari che decideranno se questo Partito Repubblicano sia contendibile oppure no. Qua bisogna aprire un’altra partita, quella del paradosso democratico americano. Joe Biden è a picco nei sondaggi e il Partito Repubblicano in rampa di lancio per sconfiggere i democratici con un cappotto, conquistando a novembre Casa Bianca, Camera e Senato. Ma bisogna ricordare che per uno strano scherzo del destino il dominus del Grand Old Party è, paradossalmente, l’uomo con cui Joe Biden si giocherebbe maggiormente le sue carte per un secondo mandato. “L'unico che rischia di perdere con Biden è proprio Trump”, ricorda Vittorio Macioce su Il Giornale. “Incredibile, ma è così. Quella tra i due presidenti è un'altra gara. È un'altra storia. Non si vota per chi andrà di nuovo alla Casa Bianca, ma per un'idea dell'America, per il suo futuro, per quello che ne resterà dopo uno scontro tra particelle elementari e inconciliabili. Lo scontro si amplia e finirà per coinvolgere anche gli indecisi, i menefreghisti, quelli che tanto si tira a campare, quelli che in genere non hanno voglia e tempo per votare”. Tutto questo ci parla di un’America in cui la polarizzazione è a livello tale che c’è un’America disposta a votare, principalmente, contro. Contro Joe Biden, retrocesso da comandante a gaffeur in capo, accusato di senilità da una buona parte dell’elettorato, qualora a presentarsi fosse un repubblicano ritenuto diverso da The Donald. Contro Trump stesso qualora il negazionista dell’esito del 2020 si preparasse al terzo assalto alla Casa Bianca. Nelle primarie repubblicane questo calcolo peserà, da qui al Super Tuesday. E nel gelo dell’Iowa capiremo se nel Gop c’è spazio per una proposta politica costruttiva o se la gara senza sosta tra i candidati è destinata a consumare dall’interno la formazione egemone della destra americana. Le primarie sono simbolo del fascino e della meraviglia della democrazia a stelle e strisce. Agli avversari di Trump la palla per capire se potranno esistere davvero o saranno una passerella. L’Iowa non è mai stata così importante. Per il Partito Repubblicano e la stessa possibile sorte della corsa alla Casa Bianca. Per la quale, in fin dei conti, i primi a tifare per un trionfo di Trump alle primarie conservatrici sono, all’unanimità, i democratici. In un’America polarizzata e spaccata, nulla di nuovo sotto il cielo.