L’intervista di Fabio Fazio a papa Francesco a Che tempo che fa ha destabilizzato molti, ma c’è chi vede nelle risposte del papa una fonte importante per parlare di temi come la pace e la tenuta della religione nella società moderna. Gesti simbolici e parole che hanno una forza concreta, in grado di creare spazi diversi di dialogo. A partire dal rifiuto del pontefice di accettare la donazione di Leonardo per il Bambin Gesù, rinunciando a un milione e mezzo di euro per le cure dei pazienti. Abbiamo chiesto a suor Anna Alfieri, esperta di politiche scolastiche, giurisprudenza ed economia, legale rappresentante dell’Istituto di Cultura e di Lingue Marcelline, Cavaliere al merito della Repubblica Italiana e commentatrice di attualità per varie testate, da Il Giornale a Il Riformista, Interris e per il programma televisivo Quarta Repubblica.
L’intervista è iniziata con l’opinione del Papa sulle guerre in corso e il concetto di pace. La guerra fa parte di noi da Caino e Abele, dice, ma è molto più difficile della Pace. Che ne pensa?
Non posso che essere pienamente d’accordo con quanto ha affermato il Papa. Le nostre stesse vite sono una continua lotta, al nostro interno, tra la tensione al bene, insita nel nostro cuore, e la realtà della caduta, frutto del peccato originale. La dinamica della battaglia, senza farle acquisire toni esasperanti, è, pertanto, una dinamica tipicamente umana. Dall’altra parte non bisogna soccombere né alla battaglia né alla tentazione del male: le guerre che hanno intessuto la storia dell’uomo e quelle attuali non sono altro che il frutto del prevalere del male, nelle sue diverse forme (odio, sopraffazione, conquista) sul bene. Ed è per questo che è assolutamente necessaria la presenza benedetta dei facitori di pace, ossia quelle persone che, nel piccolo come nel grande, riescono a far cessare i conflitti. È il grande compito della diplomazia che, da sempre, ha un ruolo determinante nel far mutare il destino delle vite degli uomini. La pace è una dimensione sicuramente più complessa della guerra, perché la pace presuppone dominio di sé, temperanza, capacità di dialogo, la guerra invece è conseguenza dell’istinto.
Il Papa ha evidenziato come l’industria bellica sia l’occasione di trarre profitto da un ciclo di violenza e morte. A questo proposito, il Vaticano ha rifiutato in questi giorni una donazione da un milione e mezzo dalla società Leonardo per l’ospedale Bambin Gesù. C’è chi ritiene che il rifiuto simbolico non valga un milione e mezzo di aiuti per chi è in difficoltà. Il Papa, al di là delle critiche alla guerra, avrebbe dovuto accettare?
La nostra società ha un assoluto bisogno di simboli e di gesti esemplari, ovviamente mirati al bene. Pertanto, il gesto del Papa vuole essere un segno evidente e chiaro del rifiuto di qualsiasi compromesso con chi lucra sulla costruzione delle armi. In mezzo a tanti personaggi che si propongono come modelli, come influencer, spesso di comportanti negativi, quello del Papa è un gesto esemplare, nel senso etimologico del termine, che esprime chiaramente il suo pensiero.
Commentando alcune novità in seno alla Chiesa, facendo riferimento senza nominarla alla tradizione, Papa Francesco ha sostenuto che tutto, tranne Dio e il senso morale, è relativo a un’epoca e dunque può e dovrebbe cambiare. Una parte importante del mondo ecclesiastico crede invece che la Chiesa sia una barca che viaggia sopra la storia. Secondo lei ha ragione il Papa?
Gesù nel Vangelo invita i suoi discepoli a essere nel mondo ma non del mondo: ciò significa che il rapporto di chi crede in Dio con la realtà delle cose deve prevedere un duplice atteggiamento, ossia, da una parte essere partecipi della realtà umana, dall’altra non lasciarsi sopraffare da essa. È il grande compito della testimonianza cui il credente è chiamato. Allo stesso modo la Chiesa, formata da uomini peccatori e figli del loro tempo, è per divino mandato chiamata ad essere segnal dei popoli, per dirla col Manzoni, ossia non lasciarsi sopraffare dalle dinamiche umane limitate. È diffcile ma la Chiesa è forte dell’assistenza dello Spirito. Pertanto la Chiesa viaggia nella e sopra la storia, da sempre. Ecco perché la dicotomia tra conservatori e progressisti non ha ragione d’essere, in quanto figlia di una categoria volutamente divisiva. La Chiesa è contemporaneamente conservatrice e progressista: conservatrice del depositum fidei, progressista perché deve fare i conti con il mutare dei secoli.
Sulle benedizioni alle coppie omosessuali si sta scatenando un dibattito. La Chiesa africana si sta rivoltando e c’è malumore anche nei confronti di Fernàndez, il Prefetto del dicastero per la Dottrina della Fede. Cosa sta cambiando, in modo profondo, all’interno della Chiesa, da allarmare i tradizionalisti?
Anche su questo fronte occorre fare chiarezza. Certamente sono contraria a qualsiasi forma di discriminazione nei confronti delle persone omosessuali, così come ritengo che l’omosessualità non sia né una malattia né una deviazione. Ciò premesso, sono favorevole al riconoscimento delle unioni civili per le persone omosessuali ma queste unioni civili, così come quelle tra eterosessuali, non possono essere minimamente equiparate al matrimonio cristiano che è un sacramento con il quale i due coniugi, ministri loro stessi del sacramento, si impegnano a collaborare con l’opera creatrice del Padre. Tutto qui. Si tratta di avere il coraggio della chiarezza, una chiarezza che non si presta alla polemica. Ritengo che siano necessari grande rispetto e approfondita conoscenza per non cadere in slogan, in contrapposizioni perniciose e, soprattutto, poco rispettose delle persone. La polemica ferisce, esaspera i toni, crea divisione: la conoscenza, l’ascolto reciproco, la chiarezza, invece, contribuiscono al dialogo, atteggiamento che la nostra società, tutta concentrata su se stessa e sulla propria rivendicazione a scapito dell’altro, fatica a mettere in atto. E gli effetti sono sotto gli occhi di tutti.
Beppe Grillo ha commentato l’ospitata del Papa dicendo che la Chiesa va in tv perché in difficoltà per via del calo del numero dei credenti e per dei rapporti con lo Stato vetusti (i Patti Lateranensi). Poi rilancia la sua personale religione, l’Altrove. La società ha bisogno di nuovi culti?
Ognuno è libero di avere la propria opinione. Certamente, se si tratta di un personaggio pubblico, l’espressione del proprio pensiero deve essere sempre accompagnata dal senso di responsabilità che rende consapevoli della ricaduta che alcune idee e affermazioni possono avere sulle persone. Preciso poi che i rapporti tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica non sono regolati dai Patti lateranensi ma dagli Accordi di revisione del Concordato lateranense. Occorre dare sempre i dati corretti alle persone, altrimenti si ingenerano grandi fraintendimenti. La società non ha bisogno di nuovi culti. Il bisogno semmai è quello che le persone abbiano il tempo e la volontà di fermarsi, di meditare sul senso del vivere e di far emergere quel senso religioso che è innato in ciascuno di noi. Solo questo ascolto interiore costituisce il primo passo per un cammino di fede, qualsiasi esso sia. L’Altrove per me non ha senso: il mio cammino di fede che ha interpellato, così come deve essere, la mia intelligenza mi ha condotto all’incontro personale con Gesù Cristo dal quale sono amata e sono stata redenta. Questa è la mia risposta. Non sarà l’unica, certamente. Tuttavia rifiuto qualsiasi impostazione della questione che prescinda dall’intelligenza e sia fondata solo sulla dimensione emotiva o puramente ideologica.