Liliana Resinovich, 63 anni, scompare a Trieste il 14 dicembre 2021. Viene ritrovata il 05 gennaio 2022 in una zona boscosa all'interno dell’ospedale psichiatrico della provincia di Trieste. Il cadavere presenta vestiti integri, borsa a tracolla, posizione simil fetale, cosce e gambe flesse 90 gradi. La testa e la regione superiore così come l’addome e gli arti inferiori sono avvolti in sacchi neri. La salma viene esaminata da due diversi team medico legali; la prima autopsia è effettuata dal medico forense Fulvio Costantinides e dal radiologo Fabio Cavalli; la seconda, due anni dopo, è guidata dall’antropologa forense Cristina Cattaneo. Fulvio Costantinides e Fabio Cavalli determinano, con insana sicurezza, che Liliana si fosse suicidata. L’ipotesi, gia di per sé incomprensibile considerando le modalità del ritrovamento, lo è ancora di più perché figlia di una autopsia grossolana e superficiale. I medici alterano la possibilità di individuare l’orario del decesso non annotando le corrette temperature corporee prima tra tutte l’unica credibile con una salma all’aperto, ovvero quella rettale; né tantomeno viene presa in considerazione la seconda possibilità più credibile, la rilevazione nell’orecchio interno. Si determina l’orario del decesso basandosi quasi esclusivamente sulla rigidità cadaverica e la stasi ematica, tra l’altro mal individuata; tale prassi è del tutto scorretta ed in questo caso ancora più errata, in quanto il dato è ulteriormente falsato dai dilettantistici movimenti che vengono riservati ai resti di Liliana. La morte sarebbe recente soprattutto per il mancato riscontro di gas putrefattivi in alcuni grossi vasi sanguigni, cosa che in realtà non ha nessun valore di certezza, ma solo puramente indicativo. Non si effettuano gli opportuni prelievi istologici se non che una piccola porzione di tessuto labiale; tale unico referto sarà anche valutato in maniera dozzinale rivelandosi infatti nella rianalisi perfettamente compatibile con lesione contusiva da pressione realizzata da terza persona. Davvero indecifrabile e contro norma, che non vengano prelevati tessuti corporei anche solo per rivelare lesioni, non ben visibili, da difesa ed aggressione. Si effettua l’esame autoptico cinque giorni dopo il rinvenimento non considerando che senza certezze del tempo trascorso all’aperto, una conservazione prolungata porta alla irrimediabile alterazione, tra le altre, della flora microbica che fornisce dati su luogo, modalità e tempi del decesso. Non viene effettuato riscontro tra il contenuto gastrico e la colazione mattutina della Resinovich, procedura anche questa obbligatoria da realizzare. La salma non viene fotografata in maniera completa come invece è doveroso in casi simili di esposizione alle intemperie; l’ineludibilità della testimonianza fotografica è per individuare e certificare le alterazioni cutanee e la presenza di elementi suggestivi di altra presenza come peli e/o elementi biologici che infatti saranno individuati ed anche in notevole quantità, nella successiva autopsia. Dopo tutta questa serie di inesattezze e mancanze di metodologia medico legale, i sanitari concludono che Liliana Resinovich si sarebbe suicidata soffocandosi con una busta di plastica. Inoltre, a conferma di tale deduzione, i medici riportano che il vestiario non alterato sarebbe prova di mancata aggressione; in realtà nella quasi totalità delle aggressioni mortali l’abbigliamento è reperito del tutto integro. L’ipotesi suicidaria così sviluppata è del tutto discordante con la posizione del corpo e dei sacchi di plastica, con i segni presenti sulla salma, con la narrazione della vita della vittima. Va inoltre sottolineato che i dati statistici indicano tale pratica è assente nelle donne tranne che in rari casi di presenza di gravi patologie psichiatriche o soggetti in piena disperazione e rifiuto della vita; tra l’altro tale modalità anche nei casi in cui viene effettuata è sempre associata a sostanze dopanti essendo estremamente complicato suicidarsi con una busta di plastica.

In ultima analisi, è da mitomane la dichiarazione del tecnico di camera autoptica che si accusa della involontaria frattura della vertebra T2 della salma; le fratture in sede autoptica sono perfettamente databili senza la minima possibilità di errore; tale lesione sarà infatti successivamente determinata come perimortale, ovvero realizzatasi in prossimità della morte. La seconda autopsia, che rende necessaria la riesumazione del cadavere, è avvenuta all’inizio del 2024. Viene effettuata un’ispezione corporea che evidenzia ferite da violenza fisica localizzate prevalentemente alla parte superiore. Una asfissia causata da terzi è sottolineata soprattutto delle lesioni localizzate sul cuoio capelluto, alla lingua, al naso, al labbro ed alla mano destra in posizione di difesa per divincolarsi. Si porta alla luce, quindi, come sia le lesioni che la posizione assunta dalla vittima siano compatibili con una aggressione alle spalle e caduta in seguito a perdita di coscienza e/o di vita. Le ferite riscontrate non sono compatibili invece con un’ipotesi accidentale in quanto sono disseminate in maniera irregolare, asimmetrica e distribuite su più piani. La stessa frattura vertebrale T2 risulta allineata alla ipotesi di aggressione. Il corpo non presenta elementi batterici caratteristici di un ambiente chiuso: questo elimina quasi del tutto la possibilità che Liliana sia stata tenuta nascosta e poi solo successivamente spostata nel luogo di ritrovamento. A maggiore conferma del fatto che la vittima sia sempre stata in quel posto c’è la presenza, sia in termini di quantità che di qualità, di microrganismi compatibili con una stasi prolungata in quella posizione ed all’aperto. Questo riscontro è anche fortemente suggestivo di una morte non recente, ma anzi da collegare alla stessa mattina della scomparsa; il decesso prossimo all’allontanamento è ulteriormente confermato dal contenuto gastrico riscontrato in fase precoce di digestione e l’individuazione di perfetta rasatura dei peli pubici ovvero di una mancata crescita. Si può quindi affermare che l’esame autoptico determina come ampiamente probabile e prossima alla certezza, che Liliana Resinovich sia vittima di omicidio volontario, sviluppatosi in una o due fasi: nel primo caso la vittima viene aggredita alle spalle, colpita più volte, soffocata e poi lasciata cadere priva di vita; nel secondo caso la vittima viene soffocata quando è già crollata al terreno.

