Il prossimo direttore responsabile del Corriere della Sera potrebbe essere Walter Veltroni, che ne è già editorialista e, si dice, guida-ombra alle spalle del titolare ufficiale, Luciano Fontana. A rilanciare la voce, uscita una prima volta a fine 2020, è stato lo scrittore Fulvio Abbate con un post su Facebook di ieri, domenica 10 luglio. Fonti “attendibili” assicurerebbero che questa volta la sostituzione si farà. A prendere la decisione, ça va sans dire, l’editore del quotidiano, Urbano Cairo. Abbate definisce “convincente” la soffiata, presumibilmente uscita dalle stanze del Corrierone. Del resto, stiamo parlando di Veltroni, “l’eminenza grigia di quella che io chiamo la P2 culturale di sinistra”, puntualizza l’anima di Teledurruti e fondatore del movimento culturale Avanguardia Narcisista. Che sull’ex segretario del Partito Democratico non le manda a dire: “È il maestro della banalizzazione, basta leggere gli articoli di devastante spessore che firma sul Corriere per rendersi conto di come a lui si debba un impoverimento assoluto di pensiero, a partire dalla sua idea di ‘vocazione maggioritaria’, che dal mio punto di vista di intellettuale è esattamente il contrario di quel che dovrebbe fare un intellettuale, che deve coltivare semmai la vocazione minoritaria”. Il Walter nazionale sarebbe perfetto per il timone del giornale d’establishment par excellence: “Tutti i luoghi dell’organizzazione della cultura e dello spettacolo in questo nostro Paese stanno sotto la V di Veltroni”. La più recente prova, per Abbate, è l’ultimo premio Strega: “Faccio parte degli Amici della Domenica (la giuria di personalità eccellenti, ndr). Ebbene, non tutti sono stati invitati. In prima fila c’era tutto il mondo che orbita attorno a Veltroni, in una logica di presidio del territorio. È l’egemonia non in senso gramsciano, ma jovanottiano, che è nemica del pensiero, della dialettica e anche dell’eros. Sono quelli che considerano ogni obiezione una forma di invidia e rosicamento, mentre, per quanto mi riguarda, io sono contento di quel che sono, ho raggiunto il punto in cui, come diceva Nietzsche, si diventa ciò che si è. Ma come diceva Montanelli, sono i servi che fanno il padrone”.
In realtà, per un possibile cambio della guardia al vertice del Corsera i nomi papabili sono più d’uno, e qualcuno anche in posizione più avanzata di Veltroni. In primis Aldo Cazzullo, che oltre a rispondere ai lettori nella rubrica giornaliera che fino al 2017 era tenuta da Sergio Romano (e prima di questi da Indro Montanelli), è stato da poco nominato da Cairo a capo di una task-force interna dedicata a speciali filoni. Uno è stato inaugurato giusto ieri, con un bel reportage sulla vita notturna milanese. Il ruolo nuovo di zecca è interpretato come un segnale di ascesa, per una firma molto apprezzata nel circuito mediatico-culturale per la vena divulgativa (l’ennesima biografia di Dante Alighieri è sua) e la rassicurante medietas da opinionista puntualmente equidistante. Altro nome, anch’esso non nuovo nei rumors, è quello di Barbara Stefanelli: attuale vicedirettrice, nel 2011 ha curato il lancio del domenicale La Lettura ed è la mente del blog La27ora (non privo di alzate d’ingegno, una su tutte la fulminante puntata datata 31 marzo scorso, titolo: “Il sospetto che Putin sia lucidissimo e abbia calcolato ogni mossa”). Terzo in ordine di probabilità, Carlo Verdelli: professionista di indiscusso valore, ha il vantaggio di piacere molto a Cairo, che però, difatti, lo ha messo da pochi mesi a dirigere il settimanale di punta del gruppo Rcs, Oggi. A far ri-saltar fuori l’opzione Walter Veltroni è il combinato disposto di due fattori: innanzitutto, come conferma Abbate, il suo peso manovriero nel mainstream culturale della sinistra à la page (immortale, in questo senso, resta il servizio della ex Jena Enrico Lucci alla prima del film “I bambini sanno”, nell’aprile 2015, quando l’intera mondanità della gente di Certa-Kual-Kultura si dette convegno per coprire di elogi il manufatto veltroniano); secondo, il legame fra Veltroni e il direttore odierno Luciano Fontana, che era il capo dell’ufficio centrale de L’Unità quando a dirigerla, fra il 1992 e il 1996, era appunto il Nostro. L’intronizzazione del Walterone equivarrebbe allora a un avvicendamento che saprebbe di disvelamento: come dire, il direttore occulto diventa direttore a tutti gli effetti.
Ogni decisione, ça va sans dire, è nelle mani e nei pensieri di Urbano Cairo. Da un lato, Fontana di suo non gli darebbe motivo di procedere all’amoveatur, essendo stato in questi anni il capo-macchina ideale delle strategie dell’imprenditore. Dall’altro, però, Cairo sarebbe capace di spiazzare, e se è vero che Veltroni si porta comunque addosso un marchio senza dubbio politicamente orientato, d’altro canto il suo profilo di centrale culturale vivente, dai toni e modi accomodanti, utile commentatore alla Gazzetta dello Sport, non divisivo sul piano delle idee, costituirebbe un atout, e non un handicap, per sfoggiare un direttore di più pregnante, anzi, diciamo pure più piaciona presenza scenica. Un volto non proprio nuovo, certo, ma anche, ai sommi livelli dei salotti che contano, ancora spendibile. Eccome se ancora spendibile.