Larizzate è lo scheletro di un'isola arenata tra i campi. Se ci si passa davanti in primavera inoltrata, l'impressione è questa. Quando l'arido deserto paesaggistico che sottolinea la maestosità dalle montagne è inondato d'acqua, come richiesto dal ciclo di coltivazione del riso, i rari cascinali che compongono il borgo ne rivelano ancora più violentemente la natura solitaria. Il piccolo agglomerato di intonaci decadenti sui muri delle case basse, la vetta di un campanile; quando le risaie sono in piena, la dimensione verticale del piccolo paese sembra emergere stancamente dal reticolo di acque in cui si specchia, senza venire nemmeno sfiorato dal rumore del traffico che gli ronza vicino. Perché Larizzate è questo: un'isola abbandonata. O quasi. Uscendo dal lirismo: siamo appena fuori Vercelli, nella profonda provincia piemontese, a metà della linea retta che unisce i due mostri del nord-ovest italiano: Torino e Milano. Più precisamente, il borgo di Larizzate si trova appena fuori dall'uscita del casello di Vercelli Ovest, sul corso di una bretella autostradale che collega la A26, Genova-Gravellona, alla A4, Torino-Venezia, e insieme alla A5, Torino-Aosta. Si va e si viene dal mare e dalla montagna, si arriva e si parte verso e da Torino e Milano. Parlando di spostamenti: un posto strategico, cruciale. Tant'è che proprio di fronte al borgo abbandonato svetta la massiccia fortezza color pastello del più grande brand di logistica al mondo, il colosso dei colossi: Amazon. Poi altri magazzini. Ci sono Euronics e Ipercoop. Due benzinai, un bar, la zona industriale di Vercelli. Gente di passaggio, gente che si ferma. Tutto sommato, ci sono le condizioni minime e necessarie alla sopravvivenza di un paese. Eppure, nemmeno cinquanta metri oltre la rotonda, a una distanza che si può coprire tranquillamente a piedi, giace languidamente il fermo immagine dell'abbandono. Larizzate si trova all'imbocco della strada statale che congiunge Vercelli con Torino, la SP1 cosiddetta "delle Grange", le cascine di pianura che costellano il piatto paesaggio rurale del vercellese. La stessa frazione di Larizzate nasce come grangia, per poi dotarsi di fortificazioni e diventare un avamposto delle mura che proteggevano la città di Vercelli. Le torri del castello sono visibili ancora oggi, così come alcune parti della fortezza.
800 anni di solitudine. Larizzate e l'Ospedale di Vercelli: la storia burocratica infinita di un legame che separa. Quello che faremo ora, è cercare di ricostruire le tappe che hanno condotto allo spopolamento di un borgo che, pure nella sua dimensione raccolta, aveva tutte le potenzialità per sopravvivere. Il fulcro di tutto è l'Ospedale di Vercelli, che fu fondato nel 1224 da una personalità eminente della vita sociale e politica dell'epoca, non soltanto vercellese ma internazionale: il Cardinale Guala Bicheri, lo stesso che fece costruire l'imponente basilica di Sant'Andrea, simbolo della città. Per dare un'idea dell'importanza dell'alto prelato, basti sapere che fu inviato papale in Inghilterra, dove contribuì alla stesura della Magna Carta. Come riportato da Antonio Olivieri, medievista dell'Università di Torino, l'Ospedale di Vercelli "era entrato in possesso del patrimonio di Larizzate sul finire del 1227 in seguito a una vendita fatta al ministro dai figli del defunto dominus Pietro de Bondonno". Parliamo, quindi, di una situazione che affonda le sue radici in un atto notarile di quasi 800 anni fa, ai tempi in cui uno dei primi grandi ospedali d'Italia otteneva sostentamento economico dallo stesso borgo di Larizzate, attraverso una signoria sull'attività agraria. L'aspetto paradossalmente isterico della vicenda, è che ancora oggi l'Ospedale ha una signoria sulla piccola frazione, in quanto riceve soldi per l'affitto delle case e dei terreni che gli appartengono direttamente. Questo teniamolo a mente, perché dopo approfondiremo la questione. Per rimarcare l'aspetto vitale e l'importanza storica del borgo, bisogna anche sottolineare che è proprio da qui che proviene un documento, datato 27 agosto 1493, dove viene segnalata per la prima volta la coltivazione del riso, che oggi risulta essere il tratto distintivo più evidente del territorio, nel vercellese. E a Larizzate non mancano nemmeno le personalità di spicco: quello che è oggi il cardinale Giuseppe Versaldi, Prefetto della Congregazione per l'Educazione Cattolica e Gran Cancelliere della Pontificia Università Gregoriana, un vero pezzo grosso del Vaticano, fu assegnato alla parrocchia di Larizzate nel 1977, quando la popolazione raggiungeva ancora il centinaio di abitanti. Ogni tanto ritorna ancora a Larizzate, dove pare che abbia fatto anche un piccolo miracolo, anche se non di natura divina. Qualche tempo fa il borgo fu colpito da una serie di blackout, rimanendo isolato anche dal punto di vista dell'illuminazione pubblica, e se venne mobilitata una squadra di tecnici fu solo perché intervenne il cardinale in prima persona. Ma arriviamo agli ultimi decenni di storia del paese, dove i rapporti con l'Ospedale di Vercelli diventano sempre più misteriosi e sfuggenti. Prima di tutto, c'è da mettere in chiaro un punto semplice. Il fatto che l'ASL sia proprietaria delle case dell'intero paese, implica il fatto che gli abitanti delle case debbano pagare un affitto, le cui condizioni spesso sono inaccettabili, rispetto al mercato di riferimento. Vediamo come. Sul sito dell'azienda sanitaria si trova l'esempio della vecchia trattoria/ristorante del paese. Fino ai primi anni 10, la trattoria era molto frequentata, sia per i pranzi di lavoro che per le cene. Aveva un bel cortile esterno, con un pergolato che offriva un po' di frescura in estate, quando il caldo umido della campagna vercellese permette di raggiunge un livello di trascendentalità tale che ci sente misticamente in Indonesia, senza nemmeno esserci mai stati davvero. Mistico, soltanto finché non ci si accorge di essere diventati cibo per le zanzare, i cui morsi provocano sempre un brutto e pruriginoso risveglio. Ad ogni modo, le zanzare di Larizzate non hanno più nessun commensale da infilzare, perché la trattoria fu messa all'asta nel 2014. Leggendo il bando, troviamo le condizioni di locazione. Ovviamente, "l'aggiudicatario non potrà avanzare pretese, a qualsiasi titolo, per qualsiasi intervento, riparazione, sistemazione e conservazione, manutenzione ordinaria e straordinaria e/o adeguamento tecnico, igienico, sanitario che si rendessero necessari ai fini e nei limiti dell’uso consentito". Altrettanto ovviamente, ogni altro genere di spesa relativa a interventi o migliorie rimane a carico di chi prende la casa in locazione, e non di chi la offre. Se nei contesti condominiali privati, le spese di manutenzione straordinaria dell'immobile vanno a carico del locatore, cioè del proprietario, qui stiamo parlando di una proprietà pubblica. L'ordine, per assurda ovvietà, è invertito. Qui abbiamo preso l'esempio dell'attività commerciale, ma lo stesso vale per gli immobili residenziali. Tutti i contratti di affitto fatti dall'azienda pubblica, risultano essere contratti fatti in deroga, ovvero di carattere straordinario rispetto alla legge. Paradossale? Certo, e mettiamoci anche in mezzo un sillogismo semplice e facile da dimostrare: il progressivo deterioramento degli immobili in affitto è fisiologico, ma se il proprietario non li deve sistemare, l'affittuario ha ancora meno interesse a farlo, visto che dovrebbe spendere valigiate di soldi, autorizzando bonifici a valanga, soltanto per non avere poi nulla in mano, se non peggio. Perché c'è di peggio: i contratti stipulati in deroga contengono, tra le altre cose, alcune clausole che consentirebbero all'ASL di riappropriarsi (nel caso, espropriare: la distinzione è sottile ma profonda come una voragine) delle case e dei terreni coltivati. Quindi magari, nell'ipotesi peggiore e maggiormente scandalosa, rifai il tetto e la facciata, ma dopo un mese sei fuori. La soluzione non può essere che politica, facendo l'ASL riferimento alla piramidalità degli Enti Locali. Comune, Provincia, Regione. Ma la politica vive di elettorato, e ha davvero intenzione di mobilitarsi per i 20 abitanti che oggi popolano Larizzate? Domanda retorica, risposta certa. Parliamo di una ventina di voti potenziali. La risposta ce la offrono alcune notizie di cronaca locale. Qualcosa è stato tentato, negli ultimi anni, ma come si sarà concluso? Dal sito di Coldiretti, apprendiamo che "nel novembre 2009, l’ASL ha sottoscritto una convenzione con ISMEA (Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare), secondo cui si prevedeva una consulenza per la valutazione economica dei terreni e dei fabbricati agricoli, e - nel caso in cui ci fossero state le condizioni - un successivo acquisto dei terreni da parte di ISMEA stessa, che avrebbe provveduto a venderli agli attuali affittuari dell’ASL attraverso mutui ventennali. A fine 2009, ISMEA metteva a bilancio gli interventi finanziari per le imprese agricole che avevano fatto richiesta, stanziando i relativi fondi per un ammontare di decine di milioni di euro. A distanza di più di un anno, Coldiretti non ha ricevuto alcuna notizia da parte della ASL e della Regione Piemonte in merito a tempi, modalità e certezza circa la conclusione del programma di privatizzazione predisposto. I ritardi ed il silenzio da parte della ASL e della Regione Piemonte fanno sorgere timori di una conclusione negativa del progetto di privatizzazione: non dimentichiamo che la convenzione firmata è scaduta il 31.12.2010". Nulla di fatto. I soldi c'erano, l'accordo era sul tavolo. Ma nessuno si prese l'impegno di portarlo fino in fondo. Il 7 agosto del 2014 l'ASL bandì un'asta pubblica per l'acquisizione, in affitto, della vecchia Trattoria Nuovo Mulino. Il 23 giugno del 2018 l'ASL di Vercelli annuncia di aver messo in campo un progetto per la riqualificazione del borgo, ma anche questa sì conclude con un nulla di fatto. Dove non ne può l'Ospedale, ci si mette poi il Comune. Nel 2019 una violenta grandinata danneggia parte del paese, compresi alcuni tetti in eternit, la fibra d'amianto cancerogena. Come ci hanno raccontato gli abitanti, oggi le lastre del tetto, sbriciolate, sono ancora lì per terra. Sono passati 5 anni, e nonostante una serie di solleciti, nessuno è ancora venuto a raccogliere e bonificare il materiale cancerogeno. Sarebbe immaginabile una situazione del genere in centro città? Lo stesso vale per i bidoni. A ottobre del 2023, in tutta Vercelli sono stati sostituiti i cassonetti della differenziata, vetro e plastica. A Larizzate sono stati portati via. Stop. Non sono più tornati, anche se è capitato, per puro surrealismo, che venissero gli operatori per svuotarli, cercandoli, indirizzo alla mano. In ultima istanza, una novità piuttosto recente. Se ne parla da un po', ma da giugno del 2023 sembra che il progetto di un parco fotovoltaico nel comune di Larizzate stia prendendo una forma definitiva. I pannelli sembrano interessare al momento l'area Pip, dove già è presente il capannone di Amazon, ma non è detto che alcuni terreni di proprietà dell'Ospedale vadano a completare il quadro.
Larizzate oggi: un borgo provenzale gemellato con Kabul. La rinascita è possibile? Entrare a Larizzate è spaesante. Lasciato il traffico della statale e della vicina autostrada alle spalle, si entra in un mondo lontano. Il colpo d'occhio sulla via principale proietta i sensi su una distesa di case basse, come un angolo di Provenza decadente, senza persiane in tinta pastello. Il primo edificio che si incontra sulla destra è la vecchia trattoria: l'unico palazzo che preserva ancora del colore sugli intonaci esterni. Eppure già nel 1800 la trattoria era la meta prediletta dei vercellesi per i pranzi domenicali. Adesso, ciò che è sopravvissuto ai furti porta ancora addosso i segni di una vita abbastanza recente. Il cortile dove una volta c'erano i tavoli, il tabellone sbiadito dei gelati appeso fuori. Facendo un passo avanti lo spaesamento trascina ancora di più le impressioni verso altre epoche storiche, più che geografiche. Il grigio prevale su tutto, le vecchie scritte anni 50, sul vecchio palazzo delle Poste, danno l'idea di trovarsi dentro a un film neorealista. C'è una scalinata interrotta che porta verso il piano alto della costruzione. I primi tre gradini sono mancanti, probabilmente rubati da qualche muratore in difficoltà. Dalla finestra centrale, in alto, si affaccia una graziosa gatta bianca e rossa. L'animale interroga da sempre l'uomo, diceva Jacques Derrida, ma non è certo a me che devi fare domanda, le dico. Finito il momento filosofico-Miyazaki, ci si gira verso sinistra. Qui ritorna l'uomo, nella sua versione migliore: il sarcasmo. L'ironia dissolve l'epoca precedente, diceva Hegel. Le scritte sul muro decrepito, invece, dicono che Larizzate è gemellata con Atlantide, con Pompei, e infine con Kabul. L'introduzione al paese è questa, e il sarcasmo è del tutto contestualizzato. Rovine, abbandono, distruzione. È come se la burocrazia avesse bombardato questo piccolo centro di vita agreste. Sul muro successivo, sfogliato come una seconda pagina, c'è una frase in esergo al paese. Una semicitazione, la parafrasi delle porte infernali pensate da Dante nella Commedia, la cui frase introduttiva viene riletta in una chiave che può sembrare ottimistica ma non lo è in un senso che si possa dire pieno: "Portate un po' di speranza o voi che entrate". C'è una domanda di speranza, in questa affermazione, una richiesta, ma anche la confessione che la speranza, gli abitanti di Larizzate, l'abbiano ormai persa. Sarà davvero così? Svoltando a destra si imbocca un piccolo viale alberato che conduce alla chiesa. La piccola parrocchia spicca come un miraggio: il suo ottimo stato di conservazione è quasi un lamento, rispetto ai ruderi sui quali spicca. Sulla sinistra del viale, invece, c'è l'unico centro di vita lavorativa rimasto in piedi a Larizzate. Si chiama Naturalia. Si vende riso, preparati per risotti. Essenza del territorio: quando un vercellese è fuori e prova a spiegare la sua città a chi non l'ha mai sentita nominare, la prima definizione che esce è sempre la stessa, il riso. Le cose brutte arrivano sempre dopo, nell'elenco, e una sorta di sadismo atavico porta sempre il vercellese a elencarle quasi immediatamente, nel momento in cui deve raccontare la sua terra, che per certi versi è aspra, spigolosa, difficile da amare. E quando i vercellesi raccontano Vercelli a chi non la conosce, un genere tentano di mettere in guardia dallo spendere troppe parole di bellezza, e preferiscono enumerare le zanzare, la nebbia, l'umidità, il clima, l'inquinamento. È un po' come custodire un segreto, e insieme una professione di stoicismo. Un amore per la propria terra, nonostante ne si professi la bruttezza. La si ama nonostante lei non faccia nulla per essere amata, e quelli che si lamentano di più sono anche quelli che non hanno la minima intenzione di lasciarla. Ma Vercelli, prima di tutto, è riso, e come abbiamo detto in precedenza, il primo documento storico sulla coltivazione nel territorio arriva proprio da Larizzate, ed è fisiologico che l'ultima attività rimasta in piedi nel borgo sia legata al piccolo cereale acquatico. In piedi, e ben curata, rispetto al resto del paese: fa il paio con la chiesa, nel formare una sorta di minimo salotto buono, il minuscolo centro storico di una grangia. Ma lasciamo fuori ogni retorica di resilienza o resistenza. Qui la posta in gioco è diversa, e anche le motivazioni.
Se l'Ospedale di Vercelli rappresenta il presente e il passato di Larizzate, la Storia, noi abbiamo parlato con la titolare di Naturalia, Federica Rosso, per capire che tipo di futuro potrebbe avere il piccolo borgo. Federica è nata e vive qui, e nelle sue parole non c'è né rassegnazione né eroismo. Lei si trova a Larizzate perché qui sono arrivati i suoi bisnonni. Emigrati verso un paese che oggi si sta spopolando, attratti dall'opportunità lavorativa. Se lei in qualche modo abbandonasse il borgo, dice, sentirebbe di tradire in qualche modo la fatica patita dai suoi avi. Ma se il passato è uno sprone, un motivo per rimanere, il suo sguardo è orientato al presente che man mano diventa futuro, e che diventerà a sua volta di nuovo passato, Storia. Non la chiamerei nemmeno ostinazione, il sentimento che muove le sue parole. C'è una forte presa d'atto sullo stato attuale delle cose, e la voglia di tirare fuori il meglio che c'è, che c'è stato e che ci sarà. Una delle prime questioni emerse durante la nostra chiacchierata riguarda la stretta relazione di Larizzate con il capoluogo. Il piccolo borgo, ci racconta Federica, è la porta di Vercelli. Il suo primo biglietto da visita. In quanto piccolo borgo rurale, vicinissimo alla città, con una storia importante, andrebbe valorizzato e preservato. Le potenzialità turistiche ci sono, e nel suo piccolo l'azienda di Federica ha mosso qualche passo. Naturalia collabora con le scuole, tramite progetti e attività in cui si presenta il ciclo di lavorazione del riso. E non si tratta soltanto di coinvolgimento locale. Negli anni scorsi sono venute delle scolaresche da Bruxelles, il centro politico dell'unione Europea. Quest'anno torneranno, nel periodo primaverile. Il problema è che per arrivare all'azienda agricola di Federica dovranno necessariamente attraversare Larizzate. Probabilmente, non vedranno nemmeno il centro di Vercelli. Provate a immaginare che racconto faranno, una volta tornati in Belgio, che cosa diranno del territorio vercellese e dell'Italia, dopo aver visto i cumuli di rifiuti accantonati sotto le mura decrepite dei palazzi in rovina. Bonjour maman, in Italia non ci sono nemmeno i cassonetti per strada. E non c'è solo il Belgio a convergere su Larizzate. Per un'altra strana congiunzione astrale, della piccola isoletta abbandonata se ne è occupata anche l'università di Pescara. Come ci racconta Federica, Alberto Ulisse, un cognome che è facile da abbinare all'idea di un'isola, è il docente di Progettazione Architettonica e Urbana presso la facoltà di Architettura del capoluogo marchigiano, e insegnamento a parte, ha anche partecipato alla Biennale di Architettura di Venezia, nel 2006. Ulisse si occupa anche di rigenerazione del patrimonio esistente, urbano, edilizio o architettonico. In questo campo di studi ha incontrato, nonostante la distanza, anche il caso di Larizzate, al quale ha dedicato un case study del suo saggio Re-Use, in cui veniva presentato un progetto serio e dettagliato di riqualificazione. Ironicamente, il saggio ospita anche l'intervento di Daniela Mortara, all'epoca assessore per la Valorizzazione del patrimonio, la quale si dice entusiasta del progetto, e che "Vercelli, Città d’Arte e Cultura non può che plaudere a un’opera progettuale che consentirebbe alla borgata di Larizzate di tornare a “vivere” e potrebbe farlo nel rispetto di canoni architettonici e storici fedeli a ciò che è stata nei secoli passati". Nel saggio compare anche Antimo Pedata, che era il referente tecnico dell’ASL all’epoca della pubblicazione, parliamo del 2017. Nel suo intervento afferma che la frazione “versa in stato di accentuato degrado in ragione del suo progressivo sottoutilizzo”, peccato che il progressivo sottoutilizzo abbia la sua causa nel fatto che proprio l’ASL non abbia mai acconsentito a vendere i propri edifici a chi li abitava, costringendoli ad abbandonare il paese per non sprecare soldi inutili. Sul resto, il tecnico sembra concordare con quanto ci ha raccontato Federica, ovvero che la struttura e l’ubicazione di Larizzate “ne fanno un luogo di estremo rilievo per l’immagine della città”; ha parlato di potenzialità, di pregevolezza architettonica, di nuova porta della città, di intervento e riscoperta e riconversione eccetera eccetera e ancora eccetera. Parole giuste, a cui non ha fatto mai seguito nessun tipo di intervento concreto. Il territorio ha bisogno di cura, dice Federica. Cura, attenzione e coraggio. Ci vuole coraggio, prosegue. Il coraggio di fare una scelta che vada a favore di tutta la collettività, e non soltanto ad avvantaggiare la vetrina di apparenze del centro città, che con i fondi del Pnrr è diventato un cantiere enorme. Inutile dire che Larizzate, sempre per la questione della proprietà ospedaliera, non ha ricevuto nessun tipo di beneficio. Sempre parlando di turismo, la proprietaria di Naturalia osserva un'altra mancanza. Vercelli, capitale mondiale del riso, non ha un museo dedicato. In un sobborgo rurale e storicamente legato alla risicoltura come Larizzate, le premesse ci sono tutte. Un museo etnografico dedicato alla vita contadina delle risaie, al riso e alle mondine, le donne lavoratrici che si rompevano la schiena con le gambe a mollo nei campi inondati d'acqua, prima dell'avvento dei mostruosi trattori ipertecnologici. In Italia questo tipo di interventi ha risollevato la sorte di parecchi borghi, sull'esempio del turismo vinicolo nelle Langhe o del Borgo Parrini di Partinico, in provincia di Palermo, che da semplice borgata contadina è diventato uno dei posti più instagrammabili della Sicilia, con tanto di attrazioni, parcheggio a pagamento e folla di turisti da tutta Italia. Ancora, si potrebbe pensare a una bella ciclabile che passi in mezzo alla risaie. Più in piccolo, bisogna sapere anche che a Larizzate è ancora presente un campo da calcio aperto a tutti, cosa che in tutta la città di Vercelli non esiste più dai primi anni 2000. Federica ci racconta che venivano spesso qui, a giocare, i ragazzini di città. Poi ci sono i resti del castello, la riseria abbandonata. Al momento, però, l'unico turismo presente in paese è quello dei fotografi in cerca di posti abbandonati, e che a Larizzate trovano un paese intero, adatto per la loro passione. Certo, si tratta di una nicchia, e ad ogni modo non ci sono altre attrattive tali da farli soffermare in paese. Finite le fotografie, non rimane più nulla da fare. Ma finché la proprietà del paese rimarrà in mano all'Ospedale, e finché la politica non inizi davvero a interessarsi di quei miseri 20 voti, iniziandoli a immaginare come 20 persone reali, nulla sembra volersi muovere. Salutiamo e torniamo fuori. Ha iniziato a piovere. Il borgo semiabbandonato assume un altro aspetto, ancora più remoto e raccolto. Larizzate è un caso unico di spopolamento, ma in questo si può gemellare con tutte le altre cose pubbliche che vengono malgestite, ignorate, trascurate. Larizzate supera la distinzione gerarchica tra la dimensione globale e quella locale. Come accade per altri luoghi in abbandono, passeggiare per le sue due strade oltrepassa la dimensione storica e geografica. In un gioco di rimandi, ti ritrovi nel contesto di un perenne altrove, dove qualcosa ti ricorda qualcos'altro. Portare un po' di immaginazione, voi che entrate, anche se la situazione è reale. Troppo reale.