Di fronte all’incredibile vicenda dell’uomo noto come Francis Kaufmann – e anche come Rexal Ford, regista cinematografico, produttore internazionale e oggi sospettato di duplice omicidio per il caso di Villa Pamphili – le reazioni oscillano tra lo sgomento e l’incredulità. Ma c’è un aspetto, finora poco esplorato, che merita una riflessione più profonda: il modo in cui lo Stato italiano ha spalancato le porte del suo sistema di incentivi cinematografici a un personaggio che, a posteriori, sembra uscito da un romanzo di Nabokov incrociato con un manuale per truffatori.
Nel novembre del 2020, in piena pandemia, mentre il paese arrancava tra lockdown e ristori, la direzione generale Cinema e Audiovisivo del Ministero dei Beni Culturali – allora sotto la guida di Dario Franceschini, nel governo Conte II – approvava il decreto n. 2872, firmato dal direttore generale Nicola Borrelli. Quel documento assegna 863.595,90 euro di tax credit al film Stelle della Notte, diretto dal regista Rexal Ford. Peccato che Rexal Ford non esista. È uno pseudonimo – uno dei tanti – dietro cui si celava proprio Francis Kaufmann, arrestato in Grecia e in attesa di estradizione per rispondere in Italia del presunto omicidio della compagna Anastasia Trofimova e della figlioletta Andromeda.
Secondo l’inchiesta di Open, il progetto sarebbe stato presentato come co-produzione internazionale. Alla guida, la Tintagel Films LLC, società di diritto maltese creata ad hoc da Kaufmann-Ford. A supportarlo ci sarebbe stato anche un partner italiano, questa volta reale: la società romana Coevolutions, rappresentata da Marco Perotti, che avrebbe materialmente presentato la richiesta al ministero. I documenti allegati sarebbero stati ineccepibili: un progetto dettagliato, un passaporto americano (falso), una revisione contabile dei costi. Tutto finto, eppure perfettamente conforme alle richieste burocratiche.

Cosa è andato storto? Tutto e niente. Il tax credit – va spiegato – è un incentivo fiscale previsto dallo Stato per sostenere l’industria cinematografica: i produttori possono ottenere uno sconto sulle tasse proporzionale ai costi sostenuti per girare in Italia. Una logica sacrosanta, pensata per attrarre investimenti, creare lavoro e valorizzare il patrimonio culturale. Ma nella versione allora vigente della norma, vi era un buco colossale: le produzioni internazionali non erano obbligate a depositare una copia del girato per dimostrare che il film fosse effettivamente realizzato.
Così, nel 2023 – ben due anni dopo la presunta produzione – la domanda è stata finalizzata e il credito d’imposta, ormai riconosciuto, è stato "scontato" in banca. In linguaggio semplice: venduto a un istituto di credito, che lo ha trasformato in denaro contante a favore del beneficiario. "Secondo quanto risulta ad Open", scrive testualmente la testata, “il tax credit è stato effettivamente utilizzato perché risulta una cessione del credito in banca dopo regolare istruttoria dell’istituto di credito”.
Il risultato è paradossale: un uomo ora indagato per duplice omicidio ha ottenuto quasi un milione di euro dallo Stato italiano per un film mai girato, mai visto e probabilmente mai esistito. Un film dei sogni, o piuttosto un incubo burocratico.
Resta ora da capire se e come il Ministero procederà con la revoca del credito e soprattutto alla richiesta di restituzione delle somme. Ma la vera domanda è più scomoda: come è stato possibile che un perfetto sconosciuto, sotto falsa identità e senza uno straccio di pellicola, sia riuscito a superare senza ostacoli tutte le barriere amministrative?
