Come si fa a spiegare chi è stato e chi è Vittorio Feltri alla Gen Z, cioè ai ventenni di oggi? O addirittura alla Gen Alpha, a quei minorenni che sui social hanno accesso a tutto, ma ai quali spesso mancano gli strumenti per decodificarlo? Impresa ardua, perché il soggetto in questione, fra i più amati e odiati in egual misura, negli ultimi tempi ci ha messo del suo per confondere le acque con le provocazioni lanciate via Twitter. Ma forse, come gli è capitato spesso e volentieri nell’arco della lunga carriera, ha solo capito dove tira il vento e, ancora una volta, in barba agli schemi, si è spostato di un passo (avanti, indietro, di lato, questione di fiuto) per sfruttarne le potenzialità. Così, all’alba del compleanno dei suoi primi 80 anni, che festeggia domenica 25 giugno, abbiamo provato a ripercorrere l’ascesa del “feltrismo” attraverso i ricordi e le testimonianze di chi ci ha lavorato fianco a fianco o lo ha conosciuto in diverse stagioni. Perché di Feltri non ce n’è uno solo, ce ne sono stati tanti. Il Feltri delle “cronache sul Corriere della Sera degli anni ‘70 e ‘80”. Il Feltri “forcaiolo” dell’Indipendente e che fa volare le vendite dei quotidiani. Il Feltri “ipergarantista” ma anche “anticonformista” a Il Giornale. Il Feltri coraggioso con Libero, che va contro il suo editore (e premier). Il Feltri “turbine di inchieste, invenzioni, avventure” con "titoli entrati nella storia” e una scrittura dove trovano posto “zero supercazzole” e che fa riaprire il giornale poco prima della stampa “per cambiare una virgola”. Ma c’è anche il Feltri che a cena brinda dicendo “in culo al Berlusca che restiamo all’Indi” e il giorno dopo firma per il suo trasferimento. E un Feltri generoso che ha aiutato schiere di colleghi, sia prima che dopo il lavoro di redazione. Perché in fondo Feltri, supportato da quel talento, è “un grande individualista” che ha "sempre avuto la forza di portare avanti le proprie idee, anche se incontrava la contrapposizione di schemi politici e culturali”. Come ci hanno spiegato Il direttore di Libero Pietro Senaldi, il giornalista e conduttore tv Mario Giordano, lo scrittore ed editorialista de Il Giornale Massimiliano Parente, i vicedirettori di Giornale e Libero Francesco Maria Del Vigo e Fausto Carioti e i giornalisti Massimo Fini, Luigi Mascheroni, Vittorio Macioce, Valeria Braghieri e Azzurra Barbuto.
Gli insegnamenti di Vittorio Feltri
Massimo Fini, giornalista che ha condiviso l’esperienza all’Indipendente: “Vittorio Feltri è stato il miglior direttore della sua generazione e, probabilmente, anche di un paio di precedenti troppo lodate. All’Indipendente la sua capacità era di pubblicare diverse opinioni riuscendo a farle convivere. Io spesso scrivevo un pezzo e lui a fianco il suo, dove però diceva cose diametralmente opposte. Ma il giornale aveva comunque una unità. Che era data da lui. È questo il “feltrismo”. Il giornale aveva una faccia riconoscibile, che era quella del direttore. In questo modo riuscì a far passare la testata da 19mila e 500 copie a 120mila copie vendute. Una avventura che non ha precedenti nella storia del giornalismo”.
Pietro Senaldi, direttore di Libero: “Ha portato nel giornalismo la forza e il coraggio dell’anticonformismo. Ha deideologizzato un intero settore. Molto spesso per essere anticonformisti ci si pone in contrasto ideologicamente, invece lui è contro individualmente. Il suo è un pensiero laterale, che parte da una intuizione personale e dall’essere un grande individualista. Ma ha avuto la forza di portare avanti le sue idee, anche se incontrava la contrapposizione di schemi politici e culturali”.
Mario Giordano, giornalista e conduttore tv che ha iniziato a Libero: “Ha insegnato a tutti il coraggio di pensare con la propria testa”.
Massimiliano Parente, scrittore ed editorialista de Il Giornale: “È un rivoluzionario del giornalismo, per trent’anni ha moltiplicato le copie dei giornali che dirigeva, svecchiandoli, fondandone di nuovi, usando un linguaggio diretto e libero. Quando avevo vent’anni mi ricordo il suo L’Indipendente, non me lo perdevo mai, perché metteva insieme voci diverse, intellettuali diversi, un quotidiano dove c’era un continuo dibattito al suo interno”.
Fausto Carioti, vicedirettore di Libero: “La sua forza è la chiarezza. Nella scrittura dell’articolo e nella titolazione. Zero supercazzole, divieto di forestierismi: scrivere in ottimo italiano per farsi capire da chiunque, anche fuori dai palazzi della politica. E poi l’autoironia, la leggerezza: qualità rarissime nella nostra categoria di tromboni. Sfogliando i giornali, però, non mi pare che la sua lezione sia stata molto seguita. Meglio per noi”.
Luigi Mascheroni, giornalista culturale de Il Giornale: “Feltri ha capacità straordinaria nel capire il lettore, e non so se sia un bene o un male in termini assoluti. Ma non intendo che lui dà al lettore quello che il lettore vuole leggere, no. Lui capisce il suo lettore. Sa cosa pensa, cosa ama, cosa detesta, cosa legge, magari anche cosa vota. Ed è una cosa che – per scrivere un pezzo o fare un giornale – non è poco. Lui poi non ha mica la pretesa di cambiare il suo lettore, di fargli una lezione o di ‘educarlo’. È come un ottimo cuoco che conosce i gusti dei clienti. E i gusti cambiano, basta vedere fortune e sfortune dei vari politici prima osannati, poi decapitati dagli elettori, e lui sa inventarsi ogni giorno un nuovo menu”.
Francesco Maria Del Vigo, vicedirettore de Il Giornale: “Feltri ha cambiato il mondo del giornalismo in modo radicale e, di conseguenza, ha molti figli professionali, consapevoli o non consapevoli e più o meno legittimi. Ha insegnato il gusto della titolazione efficace e provocatoria e la giusta incazzatura nei confronti del malcostume senza mai rinunciare all'ironia: molte delle sue prime pagine sono entrate nella storia. E, soprattutto, ha insegnato a tutti noi giornalisti che dobbiamo pensare realmente a chi stiamo parlando: cioè ai lettori. Sembra una banalità, ma in un mondo di giornalisti che si parlano addosso e che cinguettano - spesso in modo incomprensibile - a politici e addetti ai lavori, parlare alla testa e alla pancia (importantissima) dei propri lettori è un atto rivoluzionario. Il genio di Feltri è scrivere in modo netto e cristallino quello che la maggior parte dei lettori pensa ma non ha il coraggio di dire”.
Valeria Braghieri, giornalista che ha condiviso varie direzioni di Feltri: “È l’ultimo dei grandi. Ha fondato un giornale e ne ha rianimati molti, in qualche caso con la respirazione bocca a bocca. Ha incarnato da solo un’intera società editoriale: dalla raccolta pubblicitaria alla distribuzione, passando per il marketing e, ovviamente, per quella fondamentale vetrina che è una prima pagina. Senza dimenticare il modo di scrivere. Un pezzo di Feltri lo si riconosce alla terza riga”.
Vittorio Macioce, capo redattore centrale ed editorialista de Il Giornale: “Cosa ha insegnato agli altri? Feltri direbbe: a non aver paura di vendere. In realtà non è solo questo. Mi ha insegnato a fare i conti con una domanda: sei un giornalista oppure no?”.
Azzurra Barbuto, giornalista con Feltri a Libero: “Vittorio ha insegnato che il giornalismo implica una pluralità, non solo di voci ma di prospettive. Quando avevo una opinione incompatibile con la sua riguardo un determinato argomento mi invitava a scrivere la mia, specificando che lui mi avrebbe risposto sulla colonna opposta. Dalla pandemia questo non si fa più, i giornali si sono molto appiattiti, le opinioni che non collimano con quelle del direttore vengono spesso soffocate, si pretende di togliere voce al giornalista che non si adegua al pensiero di editore e direttore. Feltri non lo ha mai fatto e ha sempre rispettato chi non aveva la sua stessa idea. E questa è la lezione che tutti i suoi colleghi dovrebbero apprendere. Però non sono al suo livello. Troppi strisciano”.
Che cos’è il “feltrismo”
Mario Giordano: “Ricordo una delle prima inchieste che feci sul crack della Federconsorzi. Erano implicati ministri, banchieri, boiardi. Io giovane e tremante dissi: ‘Direttore, qui andiamo a toccare gente potente…’. Ma lui alzo gli occhi e mi rispose: ‘Chi cazzo se ne frega?’. La miglior qualità: il coraggio di denunciare e raccontare senza preoccuparsi se qualcuno si arrabbia”.
Pietro Senaldi: “Dopo le elezioni del 2008, Silvio Berlusconi aveva pensato di aumentare le tasse. Feltri, allora a Libero, avviò una campagna molto forte contro quel progetto, rivolgendosi direttamente al premier: “Senti, ti abbiamo eletto ascoltando le tue promesse che non prevedevano l’aumento delle tasse, altrimenti avremmo votato la sinistra”. Lì mostrò grande attenzione a quello che sentono i lettori, con molta indipendenza e la grande capacità di utilizzare un giornale per sostenere certe battaglie. In pochi ricordano questo episodio, ma alla fine Berlusconi ritirò il provvedimento”.
Francesco Maria Del Vigo: “Feltri, professionalmente, ha raccolto tantissimi successi dall'Indipendente fino a Libero. Penso però che il traguardo più clamoroso sia stato succedere a Montanelli alla direzione del Giornale raddoppiandone le copie. Un successo non scontato, credo che a chiunque sarebbero tremati i polsi ad assumere quell'incarico. Per lui è stata una consacrazione”.
Vittorio Macioce: “Feltri è un fuoriclasse che quando vuole sa giocare di sponda e allora il suo giornale diventa un turbine di inchieste, invenzioni, avventure. È il Feltri che preferisco, quello che si diverte”.
Valeria Braghieri: “Gli ho visto fare un entusiasmante L’Indipendente, un efficacissimo Il Giornale, un coraggiosissimo Libero. Libero, poi, lo ha voluto a tutti i costi e tenuto in vita in ogni modo prima dell’arrivo degli Angelucci. Capitò di tutto all’inizio, non ultimo il suicidio del nostro primo editore, Stefano Patacconi. Si gettò nel porto di Rimini con l’auto dopo l’attacco alle Torri gemelle. Quell’anno Feltri pagò le tredicesime di tasca sua a tutti i giornalisti. E poi le inchieste, la bandiera Americana allegata a Libero sempre dopo l’attacco agli Stati Uniti. Senza dimenticare che è uno che difende ‘i suoi’ e se li è sempre portato dietro”.
Fausto Carioti: “Ci vorrebbe un’enciclopedia. Mi limito all’ultima, un suo tweet di pochi giorni fa: ‘Una volta scrissi che Prodi aveva la faccia come il culo e lui ovviamente mi querelò. Il giorno prima del processo scrissi che avevo sbagliato perché lui ha il culo come la faccia. Lui rise e ritirò la querela. Condoglianze vere Presidente. La stimo’. Ecco, qui c’è tutto Feltri. La leggerezza che dicevo e la signorilità. Uno che fa le battaglie alle idee che non condivide, non alle persone”.
Massimiliano Parente: “Una tra le tante è che fu il primo a accorgersi che Enzo Tortora era innocente, e ha portato avanti un’idea forte di garantismo. Mi ha sempre colpito anche la disinvoltura con cui ha lasciato giornali che dirigeva, per affrontare nuove sfide. Il punto è che dopo un po’ Vittorio si annoia, ha bisogno di qualcosa di nuovo. Ha mandato anche a quel paese l’Ordine dei giornalisti, contro il quale si è battuto. L’idea di un Ordine gli è estranea, non sopporta le gabbie”.
Luigi Mascheroni: “L’ho visto cambiare due giornali due volte in due anni. Si entusiasma e si stufa velocemente di tutto, senza fossilizzarsi in una situazione. E per un giornalista non è un difetto”.
Azzurra Barbuto: “Amo la penna di Feltri che fa le cronache sul Corriere della Sera degli anni Settanta e Ottanta e amo anche il Feltri titolista irriverente, efficacissimo, lapidario e provocatorio. Vittorio piace e piace tanto a tutti anche perché non ammorba, ma arriva dritto alla verità e ti strappa pure un sorriso. Negli anni che ho lavorato con lui a Libero mi sono divertita da matti. Spesso, mentre parliamo di qualsiasi tema, se ne esce fuori così: «Ecco, su questa cosa io farei come titolo…»”.
Massimo Fini: “Il Feltri per me intollerabile è quello che passa dall’Indipendente a Il Giornale. Da forcaiolo diventa ipergarantista. Ma anche quando i nostri rapporti erano freddi, perché non gli avevo perdonato questa trasformazione, ogni volta che avevo un pezzo che nessuno avrebbe pubblicato, lui lo pubblicava. Di tutto lo si può accusare, tranne di non avere fiuto giornalistico. Un episodio fa capire bene, secondo me, chi è Feltri. Montanelli deve andarsene da Il Giornale e ci sarebbero giunte all’Indipendente 40-50mila copie senza colpo ferire. Una sera Vittorio mi invita a cena in una normale pizzeria. A un certo punto mi fa la terrificante domanda: “Se vado a Il Giornale vieni con me?”. E io gli dico di no, che è un errore. Finita la cena facemmo un brindisi, con lui che disse: “In culo al Berlusca che stiamo all’Indi”. Il giorno dopo firmò per Berlusconi... Poco più avanti, andai da lui e concordai una mia collaborazione a Il Giornale e mi garantì indipendenza. Scesi dall’amministratore Crespi che mi spiegò le strategie della testata, ma siccome non me ne fregava nulla lo interruppi:“Ma lei che squadra tiene?”. E lui: “Tifavo Juve, però adesso mi piace il bel gioco e sono passato al Milan”. Così risalii da Vittorio e rifiutai l'offerta…”.
Il Feltri più personale
Massimiliano Parente: “Iniziai, come scrittore, a collaborare con Libero, grazie a Alessandro Gnocchi, e ottenni un contratto di cessione diritti d’autore. Scrissi un pezzo contro il mare, dicendo che il mare e l’estate mi facevano schifo. Dopo poco Vittorio, come sempre succedeva, lasciò Libero e si spostò al Giornale, e mi volle con sé. Io chiesi più soldi, facendo due conti. Mi chiamò il direttore amministrativo dicendo che Feltri non era d’accordo. Ok, risposi, forse ho chiesto troppo. No, il direttore ha detto che ha chiesto troppo poco, e mi fu proposto il doppio. Non mi è mai successo con nessun altro. Una delle capacità di Vittorio è saper capire i talenti, ma anche in rapporto al denaro. È una persona molto generosa. Da allora ci sentiamo ogni settimana, stiamo un’oretta al telefono, discutiamo perché spesso di questi tempi non siamo d’accordo. Ma è tra le persone più sinceramente libertarie che io conosca. Inoltre non è mai paternalista. Discute con chiunque. Non tanto per tolleranza, quanto perché alla fine per Vittorio nessuno regge il confronto con i suoi amati gatti. Come dargli torto.
Mario Giordano: “Mi ha assunto a Il Giornale che ero disoccupato e mi ha fatto inviato nel giro di un anno. Gli sarò riconoscente per sempre”.
Fausto Carioti: “I casi sarebbero infiniti. Scelgo il più importante: quando cercava qualcuno da mettere in redazione a Roma per partire con l’avventura di Libero e dopo un breve colloquio (lui, il mio mito) mi fece un articolo 1. Ripensandoci a distanza di anni, io il me stesso del 2000 non lo avrei assunto. Ancora non ho capito perché lui lo fece: vide qualcosa in me o doveva essere davvero disperato. Temo la seconda. In ogni caso gli devo tutto”.
Francesco Maria Del Vigo: “Lavoravo come caporedattore all'ufficio centrale, a pochi metri dal suo ufficio che poi era quello di Montanelli. Sulla scrivania non c'era nemmeno un Pc per vedere le agenzie, eppure sapeva ogni notizia prima di chiunque altro. Non c'era nessun Pc perché, in piena epoca digitale, lui scriveva ancora con la sua Olivetti Lettera 22. La colonna sonora di quei pomeriggi in via Negri era il ticchettìo costante e netto come un metronomo dei tasti della sua macchina per scrivere. Il problema è che nessuno produceva più rullini di inchiostro nuovi, per cui quelli che usava erano esausti, praticamente secchi e lasciavano un segno flebilissimo sulla pagina, a volte quasi illeggibile. Un grosso problema per chi doveva riscrivere in digitale il pezzo e per chi - a me è capitato spesso - doveva poi metterlo in pagina. Un errore di trascrizione avrebbe provocato una magistrale incazzatura. Una sera, saranno state le 22.15, mi chiama al telefono fisso e mi chiede se posso fare una modifica al suo editoriale. Ovvio che sì, gli rispondo. In realtà il giornale era già chiuso e pronto per la stampa della prima edizione, ma per lui questo ed altro. Riapro il giornale, gli chiedo la modifica immaginando di dover cambiare chissà che cosa e lui mi fa rimuovere una virgola. Su sessanta righe una sola virgola. Una lezione che non dimenticherò mai, di amore per la professione, per la lingua italiana e di rispetto per il proprio lettore”.
Valeria Braghieri: “Una volta mi ha stupito quando l’ho visto piangere per la morte di un collega al funerale del quale non era riuscito ad andare. O il modo, impareggiabile, in cui mi ha comunicato che avevo vinto il premio Ischia: «Lo hanno dato a me. Lo hanno dato a Mattia (Feltri, suo figlio, ndr), lo hanno dato ad Annalena (Benini, moglie di suo figlio Mattia, ndr), lo hanno dato a te. Se non son Feltri non li vogliono!»”.
Azzurra Barbuto: “In seguito al licenziamento ho attraversato un periodo molto difficile. Vittorio è stata la mia roccia. Quando sapeva che ero chiusa in casa a piangere per la situazione che subivo, veniva al bar sotto casa e mi diceva di scendere, sapendo che così sarei stata costretta a darmi una sistemata e uscire. Non dimenticherò mai questo e tanti altri piccoli grandi gesti. Vittorio mi ha fatto spesso sentire che non sono sola. Per quello che reputo essere un meccanismo di difesa, traveste la sua sensibilità, che è addirittura estrema, di pungente sarcasmo. E ci marcia e si diverte un casino. La più grande lezione di vita che mi ha dato? Bisogna fregarsene di quello che pensano gli altri”.
Massimo Fini: “Ci unisce qualcosa che non c’entra con la politica, che è una malinconia di fondo presente in entrambi. Un giorno eravamo a Bergamo, la sua città, e il pubblico leghista lo contestò ferocemente. Così dissi alla folla: «Non dimenticate cosa ha fatto Feltri per voi». E lui, sottobanco, mi strinse la mano. Un gesto che ricordo con affetto”.