Schietto, diretto, severo. Ivan Zazzaroni non si tira indietro quando gli si chiede di parlare del tema che in queste settimane fa esplodere tutte le contraddizioni del mondo del calcio: il rapporto col mondo delle scommesse. Non cerca giustificazioni e non ne concede nemmeno a se stesso, riservandosi però il diritto al dubbio laddove altri sceglierebbero al scorciatoia della semplificazione. E sin dall'inizio della chiacchierata sgombra il campo dall'equivoco principale: lasciamo stare la ludopatia, tirata in ballo riguardo a Nicolò Fagioli, perché così si rischia di confezionare un alibi troppo facile.
Non pensa che ci sia incoerenza da parte dei media quando parlano di ludopatia ma poi fanno pubblicità alle case e ai siti di scommesse sportive?
Premetto che non si deve parlare esclusivamente di ludopatia, l'ho scritto almeno seicento volte. Stiamo parlando di siti clandestini, di regole infrante, mentre invece le promozioni che vengono effettuate da dopo il Decreto Dignità saranno pure trasversali, perché vengono mascherate con le news, ma promuovono il gioco legale. E questo è il punto: l'Italia è un paese che incoraggia il gioco d'azzardo legale. Il Gratta e Vinci, il Superenalotto e altre lotterie analoghe sono legali. E il ludopatico ha più opportunità per "soddisfare" la sua patologia.
Quindi cosa pensa del Decreto Dignità?
Sono per farlo saltare fin dal primo giorno, è una modifica assurda perché ha sicuramente incoraggiato il gioco illegale e soprattutto reso molto complicati i controlli.
L'editoria quanto ha perso a causa del Decreto Dignità? Sarebbe in grado di quantificare?
Ha perso tanto. Non sono in grado di fornire delle cifre ma è proprio tanto, parliamo di milioni. E parlo anche delle televisioni, non soltanto della carta stampata. Anzi, direi che proprio le televisioni sono quelle che ci hanno rimesso di più. E anche le società di calcio con la riduzione delle sponsorizzazioni non si sono divertite. Calcoli inoltre che lo Stato ci ha rimesso un miliardo di tasse non riscosse.
Ma se la invitassero a prendere parte a uno di questi format in cui si fa mix fra show, informazione e betting, lei si presterebbe? Lo riterrebbe etico?
Innanzitutto bisognerebbe capire cosa sia etico oggi. Oggi non so se mi presterei, dovrei comunque chiedere il permesso all'editore. Anni fa l'ho anche fatto, una cosa ufficiale e assolutamente legale. Ma era soltanto una collaborazione e parliamo di tanti anni fa, almeno una decina.
Ma oggi lo rifarebbe?
Non lo so. Forse oggi non lo farei, per il ruolo che ho. Ma non mi sono pentito di averlo fatto dieci anni fa, non mi sono mai pentito in 44 anni di professione.
Secondo lei la ludopatia è una giustificazione di comodo?
La ludopatia è una cosa molto più complessa. Quando un atleta punta su un evento del suo sport, quella cosa non è ludopatia: è infrazione delle regole e se lo fai, sai perfettamente di essere in un terreno sbagliato. Uno studio dell'Oised ha segnalato che soltanto il 15% di chi scommette è ludopatico in cura, vale a dire lo 0,08%, Puntare sul proprio sport non è ludopatia, è fuori dalla legge. È voler fare qualcosa che sai che è vietato. Non capisco come si possa andare a rischiare la propria immagine, il proprio futuro, per una cosa del genere.
Si parla tanto di quanto possa influire il giro degli amici, o la solitudine...
Ma no, quale solitudine? C'è tanta gente che è sola e annoiata ma non gioca. È una questione di senso di responsabilità. Io dico una cosa: se tu hai la consapevolezza del fatto che hai sbagliato probabilmente riuscirai a rimediare agli errori commessi e smetterai di giocare d'azzardo. Se invece insegui alibi e attenuanti allora, prima o poi, riprenderai a giocare. Oggi c'è un giustificazionismo inaccettabile. Sono d'accordo anch'io sul fatto che le sanzioni debbano aiutare a riprenderti, debbano essere rieducative. Ma alla base del pentimento ci deve essere l'assunzione di responsabilità.