Che i calciatori professionisti non possano scommettere sul calcio è una precondizione. Che, dal Decreto dignità, sia “vietata qualsiasi forma di pubblicità, anche indiretta, relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro”, anche. Però i primi scommettono, e chissà quanto è vasto l’iceberg sommerso, e nel secondo caso formalmente sui media la pubblicità non la si fa direttamente – perché l’Agcom distingue tra pubblicità e informazione sulle scommesse, quest’ultima lecita, una scappatoia borderline – ma indirettamente sì, e questo lo sanno tutti anche nell’ambiente, solo che fanno finta di non accorgersene perché fa comodo. Lo abbiamo chiamato newswashing: da un lato gli ipersponsorizzati siti pseudo-informativi che di fatto veicolano i brand dei concessionari, dall’altra le testate registrate, anche storiche, che dedicano paginate e speciali alle quote, incassano e chiudono così l’occhio e mezzo che l’Agcom permette di chiudere. Escamotage che coinvolgono quasi tutti, chi più sfacciatamente, chi meno, e passa come fosse normale. Guido Vaciago, direttore di Tuttosport, e dunque responsabile di una storica testata registrata, è almeno uno di coloro che il problema lo riconosce, non lo nega e ne parla, a differenza di altri che, in questi giorni, aspettano solo che passi la bufera e nessuno se ne accorga più.
Direttore, crede sia etico fare pubblicità indiretta ai concessionari delle scommesse dal punto di vista professionale?
Credo che sia una questione coerente con la legge e questo toglie un po' il problema etico, nel senso che se una cosa è legale non vedo perché sia necessario farsi troppe domande, visto che non si pubblicizzano siti illegali o siti che in qualche modo truffano gli utenti. Ma il discorso della pubblicità delle scommesse è un discorso complesso. C'è sicuramente incoerenza da parte di chi si scaglia contro le scommesse e si straccia le vesti per la ludopatia, ma nel contempo riceve denaro delle agenzie, come sponsor. Questo discorso è molto bello dal punto di vista teorico, ma invito tutti a farsi dei conti da quello pratico: lo sport italiano vive sostanzialmente grazie alle scommesse e questo diventa un po' un meccanismo perverso. La stessa cosa vale per lo Stato che, dal gioco d'azzardo in generale, ha ricavi attorno ai 15-16 miliardi l'anno. Se in questi miliardi ci sono anche quelli di chi si rovina con le scommesse, il problema etico si pone qui, ma andrebbe analizzato dalla radice. Se lo Stato vive in parte di gioco d'azzardo, come fai poi a prendertela con dei mass media che in modo più o meno mascherato parlano di scommesse e danno le quote?
Se lo fanno in modo “più o meno mascherato”, allora a cosa è servito il Decreto Dignità?
Se doveva prevenire la ludopatia non è servito a nulla. Non mi sembra abbia ottenuto risultati significativi, e non parlo solo di calciatori. Ha complicato la vita alle agenzie di scommesse che prima facevano pubblicità diretta sui mass media e ora devono sfruttare meccanismi di pubblicità indiretta, quindi ha danneggiato peraltro molto l'editoria italiana, dal punto di vista degli introiti, ma non ha risolto problema. Prima c'era pubblicità diretta, oggi c'è pubblicità indiretta. Non so se ha cambiato qualcosa, se il decreto ha inciso e ha portato meno gente a scommettere, ma a occhio mi sembra che non abbia ottenuto effetto.
Però il decreto vieta anche la pubblicità indiretta. Tanto vale allora tornare alla pubblicità diretta pre Decreto Dignità? Almeno non ci prendiamo in giro...
No, non dico questo. Però mi chiedo quanto possa incidere sui malati il fatto di conoscere le quote, di essere informati sulla possibilità di scommettere. Non so se uno sviluppa la ludopatia perché vede una trasmissione che racconta le quote, anche se può essere un elemento. Vorrei che il problema non si fermasse sul fatto che esistono trasmissioni e media che fanno più o meno velata pubblicità alle agenzie di scommesse.
Dal legale all’illegale il passo è breve.
Io non credo che le scommesse facciano male, non va demonizzato qualcosa che esiste da sempre in tutto il mondo. Non sono state introdotte da pochi anni. Il problema non è la scommessa in sé, ma l’abuso: forse bisognerebbe capire come fare prevenzione, aiutare e curare persone che sviluppano la ludopatia. Il proibizionismo alimenta l'illegalità: per quanto ci sia dell'incoerenza, la pubblicità più o meno velata viene fatta a siti legali di gioco regolamentato. Se proibisci quello legale, il mercato parallelo si ingrassa a dismisura.