No, caro Marchino non è così che funziona. Attenzione: ieri Mark Zuckerberg ha postato un reel dove dice: “Basta, torniamo alle origini di Facebook e Instagram quando vigeva la massima libertà di espressione”. Tutto bene allora no? E invece no. Non proprio.
Marchino ha detto anche che semplificheranno le policy, miglioreranno i loro filtri e torneranno a promuovere i contenuti politici. Allora, punto primo: dicendo così ha quindi ammesso che Facebook, Ig e Threads non erano liberi e commettevano troppi errori, censurando post che non andavano censurati. Marchino ha utilizzato palesemente (tra l’altro con nonchalance) la parola censura, in nome del fantomatico politically correct. Ok. Punto due: ma i danni fatti, chi li ripaga? A tutte le persone a cui ha bloccato gli account ingiustamente provocando anche un danno economico cosa dice? Come li risarcisce? Punto terzo, il più importante: settimana scorsa una vignettista del Washington Post si è dimessa perché uno dei suoi disegni era stato bloccato prima della pubblicazione. La vignetta mostrava i proprietari delle mega aziende del web, compreso il suo editore Jeff Bezos, fondatore di Amazon, che si inchinavano a Trump. Il riferimento era chiaro: ora che Trump è tornato al potere più forte di prima tutti questi si devono prostrare davanti a lui per ottenere incentivi, benefici fiscali e protezione, altrimenti il loro destino, con l’avanzata di Musk e delle varie piattaforme cinesi, sarebbe segnato. Infatti, la vignetta è stata CENSURATA. E la vignettista Ann Telnaes per protesta si è licenziata.
Insomma, il discorso è sempre il solito: o ti adegui al potere forte di riferimento o sei fuori. Ricordatevi. Zuckerberg non ha preso quest’ultima decisione per amore di libertà, no. Questa non è libertà, è business. È algoritmo. Questa non è libertà, è lecchinaggio, propaganda Usa. Chiaro, molti possono dire molto meglio quella che altre, ma sempre propaganda rimane, soprattutto in tempi di guerre subdole che stiamo vivendo. Anche perché tutta questa storia, se proprio vogliamo dirla tutta, dimostra solo una cosa: che i padroni delle piattaforme decidono quando, quanto e come tirare i fili di quella che crediamo essere libertà ma che, appunto, di libertà è solo una parvenza. Perché in realtà è solo una nuova forma di schiavitù. La schiavitù della visibilità gestita dalle piattaforme dei tecnofeudatari, che vanno maneggiate con molta consapevolezza. La consapevolezza che fanno di tutto per farci perdere, come racconto in Resistenza intellettuale (Nfc editore, 2024).