La partita industriale dell’automobile di ultima generazione non si gioca unicamente sul tema dell’auto elettrica e della svolta al 2035. C’è anche la partita dell’Euro 7 e della nuova classe industriale per i veicoli che stringe notevolmente le maglie sulle emissioni di gas climalteranti. Per la precisione la classe Euro 7 stabilisce un limite di 60 milligrammi per chilometro (mg/km) degli ossidi di azoto (Nox), un valore intatto per le vetture a benzina ma molto inferiore per le diesel, oggi a 80 milligrammi. Per quanto riguarda le emissioni di CO, il monossido di carbonio, si dovrebbero attestare in un range 100-300 mg/km, mentre le attuali normative fissano questo intervallo tra 500 e 1000 mg/km. Una svolta netta che a prescindere dal futuro della transizione elettrica fa discutere apertamente sulle prospettive che si potrebbero aprire per l’economia europea in caso di applicazione della nuova normativa comunitaria. I costruttori europei e molti governi spingono perché si possa dare un termine alla prospettiva di entrata in vigore nel 2025 del nuovo standard e dunque dell’accelerazione per la sostituzione del parco auto più vecchio. "La recente proposta Euro 7 sulle emissioni inquinanti - sostiene Acea, l’associazione europea dei costruttori di auto - è un ottimo esempio di un regolamento che aggiungerà complessità e incertezza alle decisioni chiave e agli investimenti dei produttori di veicoli europei, senza portare i benefici ambientali che afferma di offrire". Secondo l’ad di Renault Luca De Meo si rischia un surplus di 2mila euro a vettura in caso di entrata in vigore di tale standard.
In quest’ottica non possiamo non applicare una serie di considerazioni. La prima è che la percepita preoccupazione del settore auto è giustificabile per uno scenario che vede il quadro normativo in continua, fluida e spesso difficilmente prevedibile evoluzione. Aggiungere incertezza a incertezza non è salutare per chi deve programmare investimenti strutturali, politiche per la crescita dei propri asset produttivi e strategie a lungo termine per la definizione delle linee di priorità per il mercato. E soprattutto, c’è una tendenza perniciosa dell’Ue a mettere il carro davanti ai buoi spingendo su limiti temporali precisi che mal si conciliano con una fase in cui ogni anno appare portatore di sfide sistemiche non indifferenti
Al contempo, però, è difficile non sottolineare che è difficile evitare sfide a tutto campo che vedono l’efficienza come driver dello sviluppo dell’industria automobilistica. L’Euro 7, assieme ai miglioramenti dell’Euro 6, appare l’ultima spiaggia per difendere i motori endotermici come via di sviluppo dell’industria auto. E soprattutto può dare un futuro all’auto in quanto tale. Secondo le disposizioni, nell’Euro 7 si ridurranno le emissioni di freni e pneumatici, che rappresenteranno la principale fonte di emissioni di particolato del trasporto su strada e si aumenterà la trasparenza sul fronte del controllo digitale per le emissioni. In quest’ottica, c’è la prospettiva che un Euro 7 ben strutturato, legato a una politica industriale europea di ampio respiro e ragionato nei tempi possa essere il gancio per una neutralizzazione di fatto per la svolta al 100% elettrico, mostrando che l’industria ha la capacità di generare le economie di scala in campo produttivo e ambientale.
Il vero errore da non compiere dovrà essere quello riguardante il nesso Euro 7-2035. Pensare all’Euro 7 come a un’inevitabile parte di un percorso più lungo che punti al bando totale dell’endotermico nel 2035 rischia di affrettare il suicidio industriale dell’auto europea. Pensarlo invece come parte di un percorso alternativo che valorizzi la neutralità tecnologica e, magari a prezzo di un costo maggiore dei veicoli, apra a una riduzione dei loro costi di mantenimento, alimentazione e messa in sicurezza aprendo dunque a una messa in discussione dello stop all’endotermico per il 2035 è un punto politico non indifferente. E deve essere una freccia all’arco di Paesi come l’Italia che chiedono uno stop alle politiche europee sull’auto ma devono cercare il bicchiere mezzo pieno nelle scelte tecnologiche e industriale prese oggigiorno.