La guerra fatta scoppiare da Vladimir Putin in Ucraina sta mettendo in ginocchio non solo il popolo di Zelensky ma anche il mondo intero. Oltre al timore dell’avvento di un terzo conflitto globale, le ripercussioni si fanno sentire sull’economia a tutti i livelli. Non da ultimo, il settore automobilistico europeo che sta subendo il colpo e risponde con una grossa crisi. Vediamone insieme le cifre e le cause principali. Nonché le eventuali via di uscita.
Il mercato continentale di febbraio non riporta numeri incoraggianti: il mese si è chiuso con uno -5,4% che corrisponde a poco più di 804mila immatricolazioni. Il trend negativo che si era avviato con la pandemia non sembra quindi essere destinato a invertire la rotta: l’anno scorso, in sostanza, l’Europa ha di fatto perso un’auto su quattro rispetto agli standard del 2019. L’attenuarsi dell’emergenza avrebbe dovuto ridare respiro al mercato, ma il conflitto in Ucraina ha segnato una nuova battuta d’arresto.
Nello specifico, la crisi dei chip e le interruzioni a singhiozzo della produzione dovuti alla difficoltà nel reperimento della componentistica, stanno contemporaneamente facendo salire il prezzo dei veicoli e rallentandone la domanda d’acquisto. Tali criticità, si prevede, sono destinate a incrementare nei prossimi mesi proprio per via della bellicosa situazione in terra ucraina. Intanto, come è noto, alla Russia si deve anche l’aumento speculativo del costo dei carburanti.
Quali sono i rischi che la guerra comporta per il mercato automobilistico europeo? In cifre percentuali, sarebbe a repentaglio il 15 % della produzione continentale complessiva e quella mondiale subirebbe una perdita di 5 milioni di auto a fine 2022. La situazione non è certo messa meglio per l’Italia: il nostro Paese lo scorso febbraio ha registrato un calo del 22,6%, mentre a regnare sovrana è l’incertezza. Per quanto annunciati oramai da qualche tempo, gli incentivi per l’acquisto di veicoli ad alta sostenibilità non sono ancora realtà. Questo comporta un rallentamento della domanda.
In questo martoriato contesto mondiale, il 15% dei veicoli europei (ovvero circa 700 mila unità) rischia seriamente di non arrivare sul mercato. A mancare sono soprattutto i cablaggi, di cui l’Ucraina è ricca: basti pensare che sul territorio sono presenti ben 17 aziende che si occupano di questo business. Chiaramente, senza fili elettrici e relativi connettori costruire una macchina è impossibile. La manodopera qualificata meno costosa di cui l’Ucraina dispone è un altro dei motivi per cui la domanda europea soleva fare affidamento su questo Paese. Perfino la giapponese Fujikura, la francese Nexans e la tedesca Leoni hanno sedi da quelle parti.
Una soluzione potrebbe essere quella di trasferire la produzione. Ma dove? Paesi come Romania, Serbia o Tunisia non avrebbero i requisiti per soddisfare in pieno le richieste di mercato perché l’operazione richiederebbe l’acquisto e l’installazione di nuovi macchinari specifici. Senza contare le difficoltà logistiche: fino ad ora, la componentistica ucraina veniva trasportata a sud, lungo il confine con la Romania, ossia in una zona per il momento non ancora sconvolta dal conflitto armato. Ma per quanto tempo rimarrà tale? Una variabile che gioca un ruolo di peso riguardo all’opportunità di dislocare le fabbriche in altri territori.
Nel frattempo, per via dell’interruzione delle forniture, Volkswagen e Bmw hanno già tagliato la produzione in Germania e sono alla ricerca di fornitori alternativi, guardando verso il Messico e la Cina. Mercedes-benz, invece, ha ridotto la produzione all’interno dei propri stabilimenti tedeschi e ungheresi. Stellantis, inoltre, ha scelto di smuovere le proprie fonti di approvvigionamento dall’Ucraina ad altre zone europee. Infine, tira una brutta aria anche in casa Vw che sarà costretta, afferma il Ceo Herbert Diess, “rivedere al ribasso le sue prospettive finanziarie”.