Per inceppare l’ingranaggio della colossale industria dell’auto a quanto pare non serve molto: basta un piccolo granello di sabbia. Un microchip. La carenza di microchip sta obbligando gli stabilimenti a lavorare a singhiozzo e di conseguenza ritarda le vendite, proprio ora che i mercati sembrerebbero dare qualche timido segnale di ripresa. Il settore non trova pace: dopo i lockdown, ora c’è questo nuovo problema da fronteggiare: il risultato sono centinaia di migliaia di auto “perse” ogni mese e quindi, sebbene gli ordini a quanto dicono gli addetti ai lavori ci sarebbero (anche in Italia), i concessionari non possono garantire date di consegna.
“Nel cuore dell’Asia, in Malesia – riferisce La Stampa – c’è una fabbrica di microchip che è costretta a rallentare la produzione a causa di un focolaio di coronavirus: troppi operai ammalati. Di conseguenza, il fornitore che si occupa di costruire un componente elettronico che va montato nella portiera della Fiesta non riesce a completare i moduli. Nemmeno il fornitore polacco che assembla le centraline motore di alcuni modelli Peugeot e Citroën riceve i chip dalla Malesia. E così dall’altra parte del pianeta, a Colonia, lo stabilimento Ford non può fare altro che fermarsi per cinque giorni, l’ultima settimana di agosto. Contemporaneamente, in Francia, si arrestano anche le fabbriche Stellantis di Rennes la Janais e Sochaux”.
Problemi anche per le tedesche: Audi “ha annunciato che estenderà lo stop estivo di circa 10.000 lavoratori nei suoi stabilimenti di Ingolstadt e Neckarsulm a causa della carenza di chip. I dipendenti lavoreranno a tempo ridotto, con un taglio nella produzione di diverse migliaia di auto previste. Solo una settimana fa il gruppo Daimler, proprietario del marchio Mercedes, aveva annunciato lo stop nella fabbrica di Brema e la cassa integrazione per migliaia di operai”. Costretta a rallentare anche Volskwagen.
Soffre anche Toyota: “primo gruppo mondiale per vendite, si appresta a ridurre la sua produzione di settembre del 40%. Lo riferisce Nikkei, secondo cui il gruppo giapponese sarebbe stato costretto a rivedere al ribasso il suo obiettivo mensile da 900 mila a 500 mila veicoli proprio a causa della crisi dei chip, cui si sommano i disagi causati dalla diffusione della variante Delta nel sud-est asiatico”.
Secondo AutoForecast Solutions in una settimana a livello mondiale a causa della carenza di chip sono stati prodotti 107 mila veicoli in meno e dall’inizio della crisi sarebbero stati “abortiti” 5,96 milioni di mezzi su una produzione di una novantina di milioni l’anno.
Secondo AutoForecast Solutions in una settimana a livello mondiale a causa della carenza di chip sono stati prodotti 107 mila veicoli in meno e dall’inizio della crisi sarebbero stati “abortiti” 5,96 milioni di mezzi su una produzione di una novantina di milioni l’anno.
Non tutto però è legato alla fabbrica malese, perché tutto il comparto dei semiconduttori è sotto pressione: “Assistenza alla guida, elettrificazione e sistemi di infotainment sempre connessi hanno bisogno di microchip per lavorare: se nel 1998 i microprocessori che equipaggiavano le auto valevano 120 euro, dice l’azienda, tre anni fa – riporta il quotidiano torinese – valevano 500 e nel 2023 [varrano] almeno 600”.
Come si evolverà la situazione è difficile da prevedere: “A marzo, l’associazione dei costruttori europei Acea aveva inviato una lettera aperta al commissario europeo Thierry Breton per chiedere supporto nel braccio di ferro con i fornitori asiatici, da cui il Vecchio Continente dipende. La crisi sarebbe stata lunga e complessa e avrebbe colpito l’industria continentale, pronosticava l’Acea. Se oggi l’Europa inizia lentamente ad attrezzarsi – Bosch, per esempio, ha da poco inaugurato una nuova fabbrica a Dresda – le notizie che arrivano dai produttori di microchip non sono buone: all’inizio di agosto il ceo della tedesca Infineon, Reinhard Ploss, ha detto che la domanda e l’offerta – conclude La Stampa – non si metteranno in pari fino al 2022 inoltrato”.