Il primo a dirlo apertamente e senza finire travolto dai soliti invasati è stato Akio Toyoda: “L’elettrico è una moda pericolosa, che rischia di far perdere di vista il vero tema centrale, ossia la necessità di tutelare il pianeta attraverso lo sviluppo di tecnologie che mirino con concretezza alla salvaguardia dell’ambiente”. Parole, quelle del capo supremo di Toyota, che sembrano aver aperto un fronte verso un dibattito più aperto, ma scremato dalle emotività e dalle argomentazioni da tifosi da stadio. La questione, infatti, è seria e la soluzione per muoversi senza danneggiare l’ambiente non è ancora stata inventata. Perché, ormai è chiaro a tutti, la mobilità elettrica non rappresenta di certo la strada più felice, visto che sul lungo termine si dovranno fare i conti con batterie da smaltire, sostanze altamente inquinanti e invariato sfruttamento di risorse “obsolete” per generare elettricità.
L’autorevolezza del personaggio, i modi garbati tipici dei giapponesi e la concretezza delle argomentazioni sembrano aver finalmente fatto superare il muro del politicamente corretto che nel settore dell’automotive e della mobilità in genere si traduceva con un “guai a dire una parola fuori posto contro l’elettrico”. Da quell’intervento, infatti, in molti, soprattutto sulla stampa di settore, sono tornati a sollevare dubbi, spesso supportati da studi scientifici. E’ il caso, ad esempio, della rivista tedesca Autobild, che ha messo a confronto i dati sulle emissioni e sui consumi di tre veicoli ibridi plug-in con i dati ufficiali forniti dalle case. Risultato? +400% di media rispetto a quanto dichiarato. E’ chiaro, infatti, che l’autonomia limitata dei motori elettrici pone gli automobilisti davanti ad un dato inconfutabile: il peso di due motori da portare a spasso con il solo carburante quando le batterie non hanno più energia da restituire.
Sempre dalla Germania, anche Franz Fehrenbach, presidente del consiglio di sorveglianza di Bosh, il colosso mondiale in tema di componenti per autovetture, è stato molto chiaro e ha rotto gli indugi: “Tutti sanno che anche le auto elettriche non sono climaticamente neutre. Eppure sono considerate come veicoli a zero emissioni di CO2 solo perché chi fa le leggi non tiene conto del bilancio energetico per generare la corrente di carica e delle batterie prodotte ancora nelle centrali a carbone”.
Anche Fehrenbach non è certo l’ultimo arrivato, ma la possibilità che i governi e la politica, a livello mondiale, decida di lasciare la strada dell’emotività per intraprendere quella della concretezza deve inevitabilmente prendere sostanza. Anche perché lo spreco di risorse per agevolare gli acquisti in tema di mobilità elettrica è faraonica e, di fatto, aggrava una situazione economica senza risolvere minimamente i problemi. Ma solo rimandandoli. E la questione non riguarda solo le auto o l’eterno (e improduttivo) conflitto tra ultras del motore termico e nuovi seguaci di Sant’Elettrico.
L’ultima sorpresa, che in verità una sorpresa non è, riguarda infatti le biciclette e i monopattini elettrici. Dai dati di uno studio di Arcadis, è emerso che un monopattino emette mediamente 105,5 grammi di CO2 a chilometro. Appena 5 grammi in meno di un'automobile con tre persone a bordo che ne emette mediamente 111 per persona e addirittura di più di un'auto elettrica con una sola persona a bordo (103 gr/Km). Lo studio, bisogna dirlo, ha riguardato i piccoli mezzi a due ruote proposti in sharing dalle tante aziende che operano nelle città italiane e tengono conto, quindi, anche dello smaltimento e dell’inciviltà di molti utenti. Ma sono, anche questi, problemi con cui bisogna fare i conti senza ricorrere alla solita pratica di nascondere lo sporco sotto il tappeto.