Si intitola “A Promised Land” – “Terra promessa” – il libro di memorie di Barack Obama in uscita oggi, primo dei due volumi previsti come sorta di commento successivo al suo mandato di Presidente degli Stati Uniti, dal 2009 al 2017. Edito dal colosso Crown Publishing, mira a “stilare un resoconto onesto della mia presidenza, delle forze con cui siamo alle prese come nazione e di come possiamo sanare le nostre divisioni e far funzionare la democrazia a vantaggio di tutti”, per dirla con le parole utilizzate dallo stesso Obama.
Concordata da autore e casa editrice, la data scelta per l’uscita potrebbe giocare incredibilmente a favore del libro, la cui prima tiratura contempla 3,4 milioni di copie tra Stati Uniti e Canada, e 2,5 milioni di copie a livello internazionale. Cifre che, unite al richiamo mondiale di un ex presidente USA in un momento così delicato, sembrano pronte a preparare la strada al titolo di maggior successo dell’anno, con il New York Times che non ha esitato a definirlo come “virtualmente già il più venduto” e “ricco di dettagli vividi”.
Si aggiunga poi un lavoro editoriale senza precedenti, con traduzioni in 24 lingue, dall’albanese al cinese, dal rumeno al norvegese, dal vietnamita al polacco. Un libro secondo molti capace di intercettare con intuiti quasi premonitori tratti delle attuali vicende dello scenario socio-politico statunitense, allarmi nei confronti di un “panorama dei media diviso” e in continuo “pericolo di una destabilizzazione della democrazia”.
Proprio l’universo mediatico rappresenta uno dei principali focus delle pagine di Obama, che richiama echi perfettamente inseribili nel processo post-elettorale in corso in questi giorni e nella riluttanza di un Donald Trump per nulla deciso a sganciarsi dalla Studio Ovale della Casa Bianca.
Un processo che lo stesso ex presidente ha spiegato così nel corso di una recente intervista rilasciata al giornalista di The Atlantic Jeffrey Goldberg, definendolo senza mezzi termini “la più grande minaccia alla nostra democrazia”:
“Il processo che mi porta al termine di questo libro mi vede estremamente preoccupato per il fatto che gli Stati Uniti non abbiano più una base comune di fatti, né una storia comune. Non c’è più un Walter Cronkite che descriva la tragedia dell’assassinio di Kennedy, ma che dica al contempo ai sostenitori e ai detrattori della guerra del Vietnam che le cose non stanno andando come ci racconta la Casa Bianca. Senza questa narrativa comune, la democrazia diventa molto difficile. Penso che proprio questo rappresenti la più grande minaccia alla nostra democrazia”.
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