“Ma ogni tanto dormi?” chiedo a Francesco Costa dopo aver ascoltato il suo infinito elenco di impegni. Siamo seduti nella redazione de Il Post - giornale di cui è vicedirettore - e a lui viene un po’ da ridere “in questo periodo non tanto”. Alle elezioni del 3 novembre manca sempre meno e i temi da approfondire e raccontare sono sempre di più.
Ma quello di Francesco è un impegno nato nel 2015 per “continuare a seguire la politica statunitense nonostante gli impegni da giornalista siano soprattutto altri”, una promessa che si è oggi trasformata in una newsletter settimanale, un podcast seguitissimo e un libro - Questa è l’America - edito da Mondadori.
Cronaca di un successo (meritato) che nasconde un segreto: raccontare gli Stati Uniti per quello che sono, così come - in Italia - non faceva nessuno.
Convention, dibattiti e October surprise
Può ancora succedere di tutto. Negli Stati Uniti è un vero e proprio genere: le October surprise, le sorprese di ottobre
Partiamo dalla fine: il 3 novembre, giorno delle elezioni americane. Quali sono le fasi che ci separano da quella data?
Dal punto di vista degli appuntamenti fissi che scandiscono la campagna elettorale siamo nell’ultima fase: dopo le convention, che si sono concluse da poco, rimangono i dibattiti televisivi. Ce ne saranno quattro: tre tra Biden e Trump e uno tra i candidati alla vicepresidenza.
Però questi sono solo gli appuntamenti fissi, tutto il resto riguarda la campagna elettorale e al momento ci sono due grandi storie che stanno guidando gli sviluppi - almeno in termini di attualità - delle campagne: la pandemia, con le relative ricadute economiche, e le proteste contro il razzismo, con la dialettica tra chi dice che si tratta di teppisti e chi invece li difende. Attorno a questi due macro temi si stanno sviluppando una serie di altre storie che saranno fondamentali nello sprint finale di queste elezioni: grandi rivolte nelle città, ripresa o caduta economica, l’arrivo del vaccino su cui Trump sta puntando molto…
E poi ci sono le October surprise. Sono un vero e proprio genere della politica americana perché a ottobre può potenzialmente succedere di tutto. Nel 2016 ci fu il video con cui Trump si vantava di poter molestare le donne da una parte e WikiLeaks che pubblicò le mail di Hillary Clinton dall’altra. Quelle furono due grandi storie che dominarono l’ultimo mese della campagna, vedremo che cosa succederà quest’anno.
Le convention appena concluse sono state - causa Covid - piuttosto sottotono rispetto al solito. Qualcuno ne è uscito vincitore, o meglio, meno perdente?
Noi tendiamo a cercare sempre un vincitore. Chi è andato meglio alla convention? Chi ha vinto il dibattito televisivo? Ma le persone non decidono che cosa votare sulla base di un singolo risultato o di un solo motivo.
Solitamente però per determinare i risultati delle convention si guardano gli ascolti televisivi che, neanche a dirlo, sono in calo da anni. In queste elezioni si è raggiunto il minimo per entrambe le parti. I democratici sono andati leggermente meglio ma, essendo una convention online che è andata in diretta su YouTube e le cui clip sono finite ovunque, è davvero difficile misurarle.
Quattro anni fa Trump era l'outsider, oggi è l'uomo più potente del mondo
Di che cosa si è parlato di più?
Sia democratici che repubblicani hanno detto che in queste elezioni si deciderà la vita o la morte dell’America: è una frase fortissima, che fa capire tanto del momento storico in cui ci troviamo e dell’estremizzazione a cui siamo arrivati. E poi entrambi hanno deciso di parlare a quella parte di popolazione che non è sicura di votarli, o di andare a votare. I disillusi, chi ha votato per Trump ma non è più convinto, chi è sempre stato democratico ma non si fida più… insomma il messaggio che sembravano voler comunicare è “anche se non sei contento di noi l’altro è molto peggio, quindi vieni a votare e non startene a casa”.
Trump è lo stesso di quattro anni fa?
Tanti pensavano che Trump, una volta diventato presidente, sarebbe diventato più simile a un normale presidente degli Stati Uniti. Ma lui è rimasto lo stesso. Proprio qualche giorno fa ha detto alla gente di andare a votare due volte, incitandoli alla frode, quindi da questo punto di vista è rimasto esattamente quello che è sempre stato.
Dall’altro lato però nel 2016 aveva la forza dell’outsider, era quello che non aveva niente a che fare con la politica, che aveva dovuto lottare contro il suo stesso partito, era l’anti-establishment. Oggi è l’uomo più potente del mondo, è lui l’establishment. Ed è per questo che a volte le sue due figure cozzano, perché non sempre riesce a trovare il modo di far combaciare le due cose. Vuole rimanere l’outsider - che dice cose dell’altro mondo e prende in giro Biden perché usa la mascherina - ma allo stesso tempo deve fare il presidente e quando sono gli altri a scrivergli i discorsi, come nel caso delle convention, lui si ammoscia. Lo deve fare ma si annoia perché quello non è lui.
Quello che non capiamo di Trump
Sono tantissime le persone che in Italia non si capacitano di come faccia ad essere presidente e di come sia addirittura in corsa per il secondo mandato. Ma cos’è che non capiamo di Trump?
La premessa del mio libro Questa è l’America è che noi sappiamo pochissimo degli Stati Uniti. Quando dici alle persone che tra Washington e Portland c’è la stessa distanza che separa Catania da Baghdad rimangono sbalordite. È un luogo che non possiamo paragonare all’Italia e, facendolo, sbagliamo punto di vista. Questo è sicuramente uno dei motivi per cui non riusciamo a capire le loro scelte politiche, Trump in primis, ma c’è anche una componente che noi dovremmo capire benissimo.
Sono tanti gli americani consapevoli dei suoi limiti come presidente ma, come conservatori, preferiscono votare un candidato imperfetto con idee comunque simili alle loro. Quanti di noi italiani hanno, almeno una volta, votato per un candidato che non gli piaceva purché non vincesse un altro? In questo momento in Italia ci sono al Governo due partiti che si sono odiati e detestati ma che si sono poi uniti per non far vincere un loro nemico comune.
Spesso pensiamo che gli americani venerino Trump ma moltissimi di loro lo hanno votato in quanto "meno peggio".
Anche sui giornali è difficile trovare racconti esaustivi quando si tratta di politica americana. I giornalisti hanno gli stessi limiti?
Premetto che non mi piace parlare male dei colleghi: io voglio dimostrare il mio valore con il mio lavoro, certo non denigrando quello degli altri. C’è però una forte mancanza di consapevolezza di come sia cambiata l’America in questi anni. In Italia il ruolo di inviato negli Stati Uniti è stato a lungo considerato - e lo è ancora - un premio alla carriera per un giornalista. Questo significa che seppur molto bravi questi inviati, spesso anziani, non hanno la fame di mettersi in viaggio, uscire da New York, scoprire quello che succede davvero negli Stati Uniti.
L’altro problema che la stampa del nostro paese ha nel descrivere la politica e l’attualità negli Stati Uniti è lo stesso che ha anche con l’Italia: fanno il titolone sul singolo sondaggio - che conta pochissimo ai fini dei risultati elettorali - perché lo fanno con tutto. Anche la stampa più istituzionale tende a spararla grossa, ad essere sensazionalista, a voler creare notizie.
Joe Biden e Kamala Harris
Kamala Harris era allo stesso tempo l'opzione più sicura e meno convenzionale. Se Biden avesse scelto un uomo, bianco, si sarebbe messo nei guai
Biden-Harris. Che coppia sono?
Sono una coppia molto singolare. Le primarie democratiche sono state vinte da Biden che, piaccia o no, era il candidato più scontato, più famoso, più prevedibile. Come vicepresidente ha scelto, a sua volta, la candidata più prevedibile: Kamala Harris. Quello che stupisce però è che la Harris è, allo stesso tempo, la scelta più sicura politicamente e quella più non convenzionale. Nella storia degli Stati Uniti infatti ci sono state solo due candidate donne alla vicepresidenza e lei è la prima non bianca. Questo ci deve far riflettere suoi cambiamenti dell’America negli ultimi anni: la scelta meno convenzionale era quella più sicura. Se Biden avesse scelto un uomo, bianco, si sarebbe messo nei guai.
Insieme comunque funzionano e sono l’espressione della miglior tradizione dei democratici essendo dei politici che hanno sempre saputo rappresentare la maggioranza del loro partito, anche cambiando idea nel corso del tempo. Biden fa politica da 50 anni ed è ovvio che abbia più volte cambiato opinione, così come è cambiata la società intorno a lui, ma allo stesso tempo questa sua longevità politica gli ha attirato l’accusa di essere un po’ opportunista, di aver cambiato idea in base alla popolarità o meno di una questione. Comunque sono una coppia solida, che funziona molto bene, ma che ha tutti i punti deboli di chi oggi è visto come espressione dell'establishment e che quindi potrebbe non rappresentare - penso ai democratici DOC - una buona fetta di popolazione.
Il ruolo di Obama
Che ruolo ha avuto Barack Obama nella campagna elettorale di Biden? Ha fatto abbastanza o poteva fare di più?
È una questione molto interessante perché Obama è stato un po’ accusato di aver tramato dietro alle quinte di questa campagna nel tentativo di aiutare Biden. Bisogna partire dal fatto che un ex presidente non si schiera apertamente in campagna elettorale - tranne casi eccezionali tipo Clinton con sua moglie - ed è giusto che sia così perché sono figure che uniscono tutti. Quello che noi sappiamo oggi, da fonti vicine a entrambi, è che Obama aveva sconsigliato a Biden di candidarsi, perché non pensava fosse il candidato più forte. Molti raccontano che dentro lo staff di Biden ci sia un po’ questa voglia di far bene per dimostrare a Obama e ai suoi che possono vincere. Da quando Biden ha vinto le primarie però Obama ha fatto tutto quello che gli è stato chiesto, compreso un discorso importantissimo durante la convention.
Nei prossimi due mesi lo useranno tanto ma sarà davvero difficile dosare la presenza di una figura importante come la sua perché le critiche potrebbero essere molte: diranno che usano Obama perché Biden è troppo debole, il rischio di oscurare gli altri con Obama è sempre altissimo e potrebbe nascere anche un dissidio diretto tra l’ex presidente e Trump, una cosa che Biden non vuole assolutamente. D’altronde lui è carismatico, ancora amatissimo, afroamericano, potente. Serve ma non bisogna abusarne.
Black Lives Matter
Tornando alla questione razziale, perché secondo te le proteste del Black Lives Matter hanno avuto così tanta risonanza e non si sono trasformate in un fuoco fatuo come successo in passato?
È stata una tempesta perfetta. Come prima cosa non dimentichiamo che si veniva da due mesi di stravolgimento della vita, lockdown, pandemia, messa in discussione delle proprie priorità, quindi credo che problemi sociali che in America già c’erano siano improvvisamente apparsi come più urgenti. In secondo luogo poi proprio la pandemia ha colpito in modo sproporzionato le minoranze etniche e gli afroamericani, che negli USA sono il 12-13% della popolazione, ma che in percentuale hanno subito un danno economico e un numero di licenziamenti molto più alto rispetto ai bianchi. Perché? Fanno i lavori più fragili, meno protetti, senza la possibilità di fare smart working.
Un conto è leggere su un giornale dell'uccisione di un afroamericano, un altro è guardare un video di 8 minuti in cui un uomo terrorizzato viene soffocato
La terza questione riguarda Trump: manifestazioni e proteste politiche ci sono state anche in passato ma il presidente è sempre intervenuto per calmare tutti con promesse, anche piccole, per cambiare la situazione sociale e dare dei segnali. In questo caso Trump non solo non ha aiutato, ma ha gettato benzina sul fuoco dando dei teppisti ai manifestanti, dicendo che non esiste il razzismo di cui si parla e stando sempre dalla parte della polizia. Una posizione che ha esasperato i manifestanti negli ultimi mesi ma che ha anche fatto venire a galla dei malcontenti che continuano da quattro anni di amministrazione Trump, quattro anni in cui il presidente appena può dire una cosa razzista la dice, appena può difendere la polizia violenta lo fa.
Chiudo con il quinto punto che credo abbia contribuito in modo fondamentale a questa tempesta perfetta, il video dell’uccisione di George Floyd. Un conto è leggere su un giornale che un uomo viene ucciso dalla polizia, un altro è guardare un uomo morire in un video di 8 minuti. Ci sono altri video è vero, come quello di Jacob Blake, ma nessuno ha la stessa forza di quello di Floyd. In altri casi è sempre possibile dire “sì ma magari voleva scappare” / “perché non si è fermato” / “magari era armato” ma George Floyd era terrorizzato, come tutti i neri davanti alla polizia negli Stati Uniti, e viene soffocato mentre la gente filma la scena con i cellulari e il poliziotto guarda in camera. La forza di queste immagini non poteva diventare un fuoco fatuo.
Da Costa a Costa
Una newsletter, un podcast, un libro. Com’è nato il progetto di Da Costa a Costa?
Mi ero già occupato di Stati Uniti quando ho iniziato a fare questo mestiere ma nel 2015 stava iniziando la campagna elettorale e mi sono reso conto che non avevo più il tempo di seguire le vicende statunitensi come prima, perché con il mio lavoro di giornalista al Post - dove sono vicedirettore - mi occupo di tante altre cose. Non volevo lasciare la politica americana, a cui sono molto legato, così mi sono preso un impegno per continuare a seguirla, con me stesso ma soprattutto una promessa pubblica, e ho iniziato a scrivere la newsletter.
Ho avutola una grande fortuna perché la newsletter è partita un mese prima che si candidasse Trump e quindi mi sono trovato nel mezzo della più assurda campagna elettorale della storia degli Stati Uniti. Al posto giusto nel momento giusto.
Poi è diventata un podcast e infine un vero e proprio progetto giornalistico finanziato da lettori e ascoltatori, un lavoro che mi ha permesso di fare dei viaggi negli Stati Uniti per seguire la politica con un’attenzione che oggi nelle redazioni è difficile farsi dedicare.
Ti aspettavi questo successo?
No, assolutamente no. Le donazioni raccolte nel 2017, la seconda stagione di Da Costa a Costa, sono state di 33mila euro mentre quest’anno quei soldi li ho raccolti nel giro di un mese e mezzo. Non sono ricco purtroppo (ride, ndr) perché il mio è un progetto personale e ci sono tanti costi come la produzione del podcast, i viaggi negli Stati Uniti… però queste raccolte fanno capire quanto il progetto stia funzionando. Anche il libro Questa è l’America ha venduto molto bene e a otto mesi dall’uscita è ancora in classifica. Io mi spiego questo successo guardando chi sono i lettori di Da Costa a Costa e del libro: c’è una fascia di pubblico giovane, dai 18 ai 35 anni, che non si riconosce nei media tradizionali e non trova lì quello che cerca. Spesso durante le presentazioni del mio libro mi hanno detto “mai visti così tanti giovani” e credo sia perché quando un ragazzo sfoglia un giornale il prodotto che gli viene offerto non lo rappresenta più. Non parla con lui, quello che invece provo a fare io.
Ultima domanda: ma ogni tanto dormi?
In questo periodo veramente poco ma sapevo che il 2020 sarebbe stato così. Da Costa a Costa va avanti a stagioni quindi a fine anno finirà, l’anno prossimo non farò newsletter e podcast e riprenderò un ritmo di vita più normale. O, almeno, lo spero!