“Stiamo bruciando i ponti con la cultura italiana. E i media ci parlano dei Måneskin o Maneskot”. Il j'accuse di Riccardo Muti è arrivato durante la presentazione dei prossimi appuntamenti della sua Muti Italian opera Academy, il progetto rivolto a giovani musicisti che si esibiranno a novembre alla Fondazione Prada a Milano. Ad amareggiare il celebre direttore d'orchestra, e voce autorevole che merita sicuramente di essere ascoltata, ci sarebbe quindi la grande attenzione che i giornali riservano a quelli che definisce “rapper”, dopo che nell’ultimo periodo per esempio è stato arrestato il trapper Shiva accusato di tentato omicidio dopo un agguato subito fuori dal suo studio di registrazione, e appunto la band dei record, preferita dai mezzi d’informazione rispetto a ciò che, secondo lui, meriterebbe più attenzione. Per esempio la vicenda della casa di Lorenzo Da Ponte, celebre librettista di opere come Don Giovanni, Così fan tutte e Le nozze di Figaro di Mozart: “Uno scrittore e poeta che dovrebbe essere studiato al liceo”. “E invece di Da Ponte non se ne parla”, prosegue amareggiato Muti, soprattutto ora che è in corso “una vergogna”, a proposito della casa del compositore a Vittorio Veneto trascurata come altre eccellenze del patrimonio culturale italiano. “E non parliamo della casa di Paesiello o di Verdi... I fari sono puntati sui cosiddetti eventi del momento, sulle aperture, ma non sono quelli i momenti culminanti della cultura di un Paese, sono mondanità…”.
Un affondo che sembra accodarsi a quello di Uto Ughi, lo ricorderete: “un insulto alla cultura e all'arte”, questo il giudizio netto del maestro violinista su Damiano e compagni. Una domanda a questo punto che sorge spontanea per chi, come la sottoscritta, immagina che i generi musicali siano molteplici e variegati, e non dei compartimenti stagni incapaci di comunicare tra loro o addirittura complici del mancato upgrade culturale di un Paese in cui, per racchiuderla in breve, chi fa rock non fa classica, chi fa classica non fa pop e chi fa pop non fa rap e via dicendo. Quindi, a quale cultura fa riferimento il maestro Muti? Per dire, ha senso accusare dei ragazzi di vent'anni, che non mi fanno certo saltare dalla sedia, ma che hanno tutto il diritto di suonare la loro musica? Davvero sono loro il problema? Troppo comodo questo capro espiatorio. Come qualsiasi cosa che è al centro della scena, perlomeno nei risultati, i Måneskin scatenano attenzione anche sui media; e anche i Måneskin fanno arte, come saprà perfettamente il maestro, essendo entrato a piè pari sulla questione. Eppure alimenta ulteriori polemiche da due soldi e scissionismi superflui, mentre sarebbe perfino più utile fare pressioni sul mondo della politica: chi se non questi possono mettere davvero mano sulla questione?
Detto fatto, la polemichetta sui Måneskin torna comunque utile allo scopo, e forse usata proprio in tal modo: per la vendita della casa di Da Ponte arriva prima la risposta di Vittorio Sgarbi, sottosegretario alla Cultura, pronto a chiedere aiuto a una banca “attenta alla musica”. Poi quella del ministro Gennaro Sangiuliano: “Ho dato disposizione agli uffici di seguire la vicenda per accertare se sussistono i presupposti per l'esercizio del diritto di prelazione da parte dello Stato”. Appunto, tutti contro i Måneskin, “al lupo al lupo”, almeno adesso sotto tutti al corrente della vicenda della casa di Da Ponte in vendita da anni. Una vergogna sì, ma per un Paese che dedica sempre meno spazio, meno fondi, meno interesse alla cultura, ambito che comprende la classica come il pop come il rock come il rap e via dicendo...