Un nuovo esordio, un nuovo spettacolo, e la vita degli attori di teatro che va avanti, di palco in palco su e giù per un’Italia spaccata e indebolita ma non ancora seppellita. E che cerca nelle risate non il modo più sereno per seppellirsi, per obliterarsi, ma la strada più semplice per ritrovarsi. Tullio Solenghi e Massimo Lopez tornano in teatro con “Dove eravamo rimasti”. Fino a domenica 12 saranno al Teatro Comunale di Ferrara con uno spettacolo che vede anche la partecipazione della Jazz Company diretta dal maestro Gabriele Comeglio. “Questo nostro nuovo show – hanno dichiarato i due – proporrà numeri, sketch, brani musicali, contributi video, con alcuni picchi di comicità come una lectio magistralis di Sgarbi/Lopez, un affettuoso omaggio all’avanspettacolo, l’inedito Renato Zero di Solenghi o il confronto Mattarella/Berlusconi, inseriti nella nostra ormai collaudata dimensione dello show”. Abbiamo quindi cercato di saperne qualcosa di più proprio da Tullio Solenghi, un terzo di quel Trio (Lopez-Marchesini-Solenghi) che per anni ha fatto ridere una nazione.
Tullio Solenghi, Il nuovo spettacolo si fonda, al solito, sulla vostra grande e naturale intesa. Quando sul palco si trascorre tanto tempo a fianco di un partner, è proprio obbligatorio andarci d’accordo?
No, non necessariamente. Ci sono esempi clamorosi, nel passato, di coppie percorse da un rapporto non esattamente armonioso. Renato Rascel e Walter Chiari nella vita privata non si sopportavano, ma in scena avevano un sodalizio stupendo. Fra me e Massimo – e così con Anna (Marchesini, nda) – non si è mai verificato nulla di simile. Portiamo sul palco una coesione che è frutto di una un’amicizia vera, anche giù dal palco.
Dove eravamo rimasti è il continuum di quel Massimo Lopez e Tullio Solenghi Show che avete portato in scena fino a qualche mese fa. Si tratta di uno spettacolo “poco scritto”, dove il cosiddetto mestiere gioca un ruolo decisivo?
Ci siamo serviti del mestiere sufficiente per scrivere un buon spettacolo, mettiamola così. Io e Massimo non stacchiamo mai la spina. Ci sono pezzi creati per altri contesti (vedi le ospitate da Fabio Fazio) che vengono buoni nel momento in cui creiamo uno spettacolo-contenitore. Non si tratta mai di partire completamente da zero. Galleggiamo sempre fra varie situazioni e vari spunti, che poi infiliamo nello spettacolo.
Cosa le fa ridere di Massimo Lopez dopo tutti questi anni insieme?
La sua componente marziana, che credo di avere anch’io. Una sorta di imprevedibilità, la sua capacità di andare contromano, di far ridere anche dove non te l’aspetti.
Marziani. Ogni tanto (uno dei vostri colpi di genio assoluti) sembrate atterrati su un palco per sbaglio...
L’abilità è quella. I nostri pezzi sono sempre stati studiati in modo quasi scientifico. Tutte cose molto preparate, ma con l’idea, a tratti, di farle apparire quasi casuali.
La sensazione è che la vostra comicità sia sempre stata molto stratificata. Gli adulti, di voi, coglievano soprattutto l’eleganza formale, il talento recitativo, l’allusione colta. I giovani catturavano meglio alcune cialtronate da urlo, il tono talvolta folle e delirante…
Sì, punto centrato. Pensate ai nostri Promessi sposi (Rai 1, 1990). Al debutto fece 14.5 milioni di spettatori, numeri degni della Nazionale di calcio. Quando hai un pubblico così vasto significa che hai intercettato tutte le generazioni, dai nonni ai nipoti. Poi in teatro si passava alla verifica, constatando come l’anagrafe del pubblico fosse la più diversa. Senza alcuna strategia alle spalle, ci è sempre riuscito facile esprimerci in modo da raggiungere non solo varie fasce d’età, ma anche vari strati sociali: l’universitario e il muratore, il docente e l’imbianchino. Sono magie rare. Fare uno show di nicchia, destinato a un pubblico selezionato, è più facile che essere davvero popolari.
Avete attraversato varie fasi della nostra Storia recente. Quanto è diverso il mondo dello spettacolo rispetto ai vostri esordi?
Il mondo – parlo in generale, non solo di quello dello spettacolo – cambia sempre, ma è anche bello provare ad attraversarlo conservando il proprio stile. Normale che le persone accanto a te invecchino, come che nascano i figli o i nuovi comici. Io sono nato con Walter Chiari e oggi guardo Fiorello. Ho assistito a vari passaggi del testimone che ci hanno portato a un modo diverso di intendere la comicità. Oggi mi sembra tutto più epidermico, più mordi e fuggi. Mentre una volta c’era un monopolio che offriva due o tre reti televisive, adesso c’è una varietà, una competizione globale, che impone al comico di essere efficace subito, senza lasciare il tempo di ragionare, pena uno spettatore che, spazientito, tira dritto e va oltre. Queste nuove condizioni hanno modificato profondamente la costruzione di un pezzo comico. Noi, in tv, veniamo dalla comicità di situazione, dalla parodia. Il teatro, per dire, è cambiato meno. All’abbonato viene ancora proposto sia Angelo Pintus, il nuovo, sia Solenghi e Lopez.
Le leggiamo, pensandola in veste di frequentatore dei palinsesti Rai, queste considerazioni di Corrado Augias tratte da una recente intervista per la Repubblica”. Dopo 60 anni ha detto addio a viale Mazzini anche con queste parole: “Il dilettantismo, le scelte improvvide, la presunzione che una pedina valga l’altra, l’inconsapevolezza che l’efficacia televisiva è una delicata miscela di professionalità e congruenza con l’argomento, la dimenticanza che l’egemonia culturale non si può imporre piazzando un fedele seguace qua e uno là”.
Mah, il servizio pubblico è sempre stato intaccato dalla politica, sin dai tempi nostri, quelli in cui c’era la famosa “lottizzazione”: Rai 1 alla Dc (che oggi è vicina a Meloni e Salvini), Rai 3 al Pci (che oggi è vicina al centro-sinistra, o ciò che si individua come tale). La differenza è che una volta era presente una preparazione, soprattutto a livello autorale, ben superiore. Posso dire con orgoglio di aver esordito, in tv, a 21 anni, con Marcello Marchesi. Allora c’era Umberto Eco che scriveva per la televisione. Queste figure professionali oggi non esistono più, oggi è sufficiente saper compilare una scaletta e fare ascolti. Non esiste più “l’indice di gradimento”, c’è l’indice di ascolto, a scapito della qualità. E così professionisti di questo tipo hanno cambiato mestiere. In Rai non ci vanno più, ma perché non sono più richiesti.
Si sente in difficoltà rispetto alla contemporaneità: se le diciamo Måneskin, fugge a gambe levate?
No, affatto. Come padre, per esempio, ho sempre cercato di non instradare troppo i miei figli. C’è una splendida canzone di Giorgio Gaber che invita i genitori a non insegnare ai bambini, se non la voglia di scegliere, addirittura di sbagliare. Per cui, ben vengano i Måneskin e persino TikTok. Certo, quando penso ai grandi del mio passato noto con piacere che sono stati accolti, con enorme favore, anche dal presente. Qualcosa di buono devono averlo fatto, no?
Senta, le chiediamo un pensiero sulla grande Anna Marchesini.
Credo che il pubblico abbia perso forse la più grande attrice della sua generazione, noi invece abbiamo perso un’amica e una sorella. Qualsiasi evento caratterizzasse la mia vita privata trovava una sponda in Anna, nel confronto con lei. Fatti personali, ma anche notizie gigantesche, di portata storica, erano materia di confronto. Nella vita non è facile trovare una persona alla quale lanciare una palla, certi che quella persona te la rilancerà indietro con grande precisione. Trovare l’affidabilità di un dialogo costante, di una confidenza preziosa. E infatti mi manca e ci manca. Tanto.