Le popolazioni Inuit e Yupik, quelle che genericamente noi chiamiamo eschimesi, hanno oltre cinquanta parole per indicare la neve. Dovessi trovare una e una sola parola per descrivere il concetto di musica, io che non sono né Inuit né Yupik, userei quello di Giorgia. Ecco. Iniziamo subito col far capire al lettore, cioè a voi, a cosa sta andando incontro, uso una accogliente prima persona plurale non perché il mio sia un nome collettivo, tipo Luther Blissett o Wu Ming, e neanche perché queste prime poche righe siano state scritte appunto da più persone, ma per prendere in qualche modo le distanze dalle medesime, includendo anche voi che leggete in quel noi, senza per altro avervi consultato. Questa, la faccenda degli eschimesi e delle cinquanta parole per dire neve, è una storiella, vera, che più volte vi sarà capitata di leggere, in genere come incipit di articoli di costume, di quelli che un tempo si trovavano nella colonnina di destra dei quotidiani, intrisa di poesia. Una frase a effetto, giusto un po’ inasprita da me con questo abuso di relative che proprio non riesco a dosare. È ovviamente vera, verissima anche la faccenda della musica e di Giorgia, ieri sera sono stato al Forum di Assago per assistere alla prima data del suo “Blu Live Tour” nei palasport, e come sempre sono rimasto abbagliato dal suo talento cristallino, immenso, da una voce che, sia scolpito sulla roccia come un monte Rushmore che invece che rappresentare facce a caso di presidenti celebri la forma d’arte più diretta al mondo, e la celebri nella forma più diretta al mondo, quella della canzone, e a sua volta la celebri attraverso la nostra voce più bella, Giorgia. Insomma, una partenza contorta, vero, che parte anche bene, almeno stando a standard popolari, e Giorgia è popolare, Dio mio cantavano tutti a squarciagola, a tratti anche io, che fatico non poco a mettere in mostra il mio lato sentimentale, quello di chi si commuove di fronte alla bellezza, di chi si lascia trasportare lontano da una voce, e se avete presente come io sia fisicamente capirete che trasportare me, non solo con la voce, volendo anche a mano, non è esattamente impresa alla portata di tutti, ci vuole un fisico bestiale. Sto continuando. Ironizzo, stempero, svio. Riparto. “C’è Monina di là che dice che dobbiamo fare veloci, che c’è gente che aspetta”. A pronunciare questa frase, che dal tunnel cogliamo nitidamente, perché detta con voce squillante e senza esitazioni, è Ildo Damiano, giornalista di moda, e molto altro, che al momento staziona nei camerini insieme a altri uomini di moda...
Lo dice perché ha appena ricevuto una telefonata, da me, che invece sto fuori, nel tunnel, nulla a che vedere con Caparezza, in buona compagnia, in attesa di essere chiamato da Giorgia. La cosa è andata così, finito il concerto, come previsto, insieme a un piccolo drappello vengo condotto nel backstage, per salutare Giorgia, sì, conosco Giorgia da una vita, e sì, è mia amica e scrivo bene di una amica, così poi non rompete il caz*o dicendo “eh, ma lui scrive bene degli amici e male degli altri”, sono amico di Giorgia a partire dal suo talento, non perché io definisca l’amicizia a partire dal talento, ho anche amici non talentuosi o almeno non nel campo della musica, ma siccome ho conosciuto Giorgia da grande, cioè quando entrambi eravamo adulti, perché ero incuriosito dalla sua incredibile capacità di usare la sua voce, non abbiamo fatto le scuole insieme, non andavamo in vacanza nello stesso lido, quindi è mia amica perché la stimo, e spero la cosa sia reciproca, anche se nel suo caso suppongo non sia la mia incredibile voce a averla indotta a conoscermi. Comunque, finito il concerto, come previsto, insieme a un piccolo drappello vengo condotto nel backstage, per salutare Giorgia. Superata la porta di metallo che separa il backstage dal parterre del Forum ci siamo resi conto che prima di noi erano arrivate lì parecchie altre persone. Ma il concerto, vi starete chiedendo? Pazientate, santo Dio. Ci sono addetti ai lavori, che saluto, più o meno calorosamente, ci sono sconosciuti, per me, c’è parte del suo staff. Con me, nel senso che è entrato con me in quanto parte del gruppetto lì introdotto dalle due addette stampa, Maria Anna e Mary, che ovviamente ringrazio, ci sono tre miei amici, Paolo, Serena e sua mamma Rossella, e c’è Ildo Damiano, di cui sopra. Lui si è aggregato, sfoggiando la sua solita simpatia e anche un pizzico di facciacu*aggine, quando l’ho invitato a seguirci, non aveva previsto di venire a salutarla. Con noi anche Paola Gallo, mitica voce storica radiofonica e firma di tutto rispetto, non che sia rilevante, ma il mio rispetto arriva davvero a pochi colleghi, e suo marito. Paola è in ambasce, è un dettaglio importante, fidatevi, perché sono già le undici e trentacinque, e la metropolitana chiude a mezzanotte e venti. Io, che anche se non sembro sono un uomo previdente, sono venuto in auto, parcheggiata proprio davanti al Forum. Mi viene a salutare Diana Winter, e qui introduco la band. Diana Winter della band è corista e chitarrista acustica, altro corista è Andrea Faustini. Due portenti, capaci di tenere testa al talento di Giorgia, e di creare con lei delle amalgame di voci che metterebbero a nanna un po’ tutti. Grande padronanza dello strumento vocale, Diana, e anche del palco, come un po’ tutti i suoi colleghi. Suoi colleghi che rispondono al nome di Gianluca Ballarin al piano, alle tastiere e alle macchine, Fabio Visocchi alle tastiere, Andrea Rigonat alle chitarre e una sezione ritmica che Dio mio, Mylious Johnson alla batteria e Sonny T, ex New Power Generation, la band di Prince, per intendersi, al basso e alla direzione musicale del tutto. Una delle formazioni più black, nelle intenzioni e nella resa, che mi sia capitata di sentire, andatevi a cercare la versione di Di sole e d’azzurro che è arrivata nel finale per strapparvi il cuore e gettarlo in una bacinella, così da poter assistere al miracolo di un cuore che continua a battere anche in assenza di un corpo intorno. Lo dico a scanso di equivoci, se mai dovessi decidere di andare in uno di quei locali dove si sa che poi finisce in rissa, tipo peggiore bar di Caracas, io vorrei con me la sezione ritmica di Giorgia, perché quei due sono capaci di stendere metaforicamente, neanche tanto, a tappeto chiunque, sbalorditivi. Tornando al tunnel, lo sapete già vero che intanto vi sto buttando lì elementi del concerto, mica sono un megalomane che parla d’altro e basta, faccio due chiacchiere con Diana, che in realtà conoscevo solo virtualmente, sui social, palesandole il mio entusiasmo, per il concerto tutto e anche per la sua presenza sul palco, lei nel mentre sta cercando di capire come sia possibile fare un gin tonic in assenza di acqua tonica, presto aiutata da una delle ragazze dello staff. Passa qualche minuto, e noi siamo ancora lì. Ildo ha chiacchierato parecchio col mio amico Paolo, una palestra condivisa qualche anno addietro, Serena e la mamma attendono trepidanti di incontrare Giorgia, importante per essere stata la colonna sonora di una parte importante della loro vita, Paola è in ansia perché ha paura di rimanere a piedi al Forum, seppur io mi sia offerto di accompagnarli a casa, in caso si faccia tardi. Ma io non voglio fare tardi, metro o non metro, domani, che poi è oggi, quando scrivo sono le sette e cinquantaquattro dell’8 novembre. Vedo che, di colpo, Ildo è davanti ai camerini, con il gruppetto dei modaioli, noi ancora all’ingresso del tunnel. Sono passati un po’ di volti conosciuti, da Marco Nuzzi, manager di Simona Molinari, a Luca Guido, al momento numero due di Warner ma a lungo al fianco di Giorgia, in Sony. Prendo la situazione in mano, e guido un’azione di sfondamento verso la porta del camerino, seguito ovviamente dai miei compagni di viaggio. Ci piazziamo davanti alla porta proprio nel momento in cui Ildo e company entrano, lasciandosi la porta chiusa alle spalle. Si avvicina mezzanotte. Passano i minuti e la porta non si apre, da fuori si sente la voce squillante di Ildo, che non sembra intenzionato a uscire. Si sente lo squillo di un cellulare. Ildo risponde.
Poi dice: “C’è Monina di là che dice che dobbiamo fare veloci, che c’è gente che aspetta”. Si sentono delle risate. Si apre la porta, Ildo e soci escono, entriamo noi. Ripongo il cellulare in tasca, ha funzionato. Giorgia è dentro, con l’ottimo Massimo Recine, che uscito incredibilmente da Warner con l’avvicendarsi della dirigenza, l’arrivo appunto di Luca Guido e di Pico Cibille, cui hanno fatto seguito una marea di altri ex Sony, incredibile come abbiamo rinunciato a un vero talento della promozione come lui, mica a caso ora lavora con Giorgia, sorvoliamo poi sui modi disumani che hanno usato, l’idea che il mondo dello spettacolo sia un luogo divertente alberga solo in chi di quel mondo segue solo la parte pubblica, fidatevi, e qualche altro amico. Paola Gallo riesce a salutare, prima di correre verso la metro. Poi è il nostro turno. Giorgia si dimostra come una delle rarissime persone che non cambia personalità una volta scesa dal palco, irradia positività e soprattutto è esattamente come la si sente e vede, un concentrato di empatia e semplicità che però sa usare la voce come poche al mondo e nel farlo, ti spoglia di tutte le tue sovrastrutture e ti costringe a stare lì, nudo, in mezzo agli altri, nudi a loro volta, senza neanche la voglia di coprirsi, perché l’anima non prevede orpelli. Sto mettendo un sacco di parole, millenovecento fin qui, tra me e la mia capitolazione. Statemi vicino, non è facile per chi ha costruito negli anni una immagine da duro, di quelli che non si fanno problemi a dire che un disco fa cagare, nel caso faccia cagare, a volte, per paradosso, anche quando non fa esattamente cagare, ma semplicemente abbastanza cagare. Un duro, direbbe Norman Mailer, che è una citazione un po’ prêt-à-porter, certo, ma comunque a effetto nel contesto di un pezzo che parla di musica, non sarei così sicuro che tutti i presenti al Forum abbiano letto Pubblicità per me stesso, e ora sto provando a stento a ricostruire quella credibilità da duro facendo lo stron*o, lo so, è un tentativo vano, perché è dichiarato, e perché comunque, è un fatto, a me la voce di Giorgia commuove sempre, e se è vero, come diceva Norman, che i duri non ballano, non specificando se i duri non piangano anche, io forse non sono così duro come mi disegno, e a volte mi ritraggono, perché a sentirla cantare mi commuovo, e mi sento parte di un grande cuore collettivo che batte anche grazie a quella voce, la sezione ritmica e il resto della band, e va detto anche una scaletta molto ben costruita, che alterna momenti emozionanti a momenti più da palasport, vibranti e anche danzerecci, ma no, non ho ballato. Dopo la botta del Covid, confesso, andare ai concerti mi costa fatica. Molta più di quanto già non me ne costasse prima, l’idea di uscire di casa la sera, la sveglia è sempre alle sei e quaranta, quattro figli questo impongono, e soprattutto l’idea di stare in uno stesso luogo nel quale si trovano sedicenti colleghi, ieri non ne ho visti, grazie a Dio, non ho visto quelli di cui sto parlando ora, che eviterei anche mi ritrovassi nelle condizioni di dover sopravvivere a un attacco di zombie, figuriamoci ora che di zombie non ce ne sono, il dover stare poi seduto immobile per un paio d’ore, ripeto, il Covid mi ha spinto a divenire parsimonioso anche con i concerti, io che già lo sono di mio nei confronti delle conferenze stampa e delle altre occasioni mondane, ma Giorgia non me la sarei persa per niente al mondo, infatti sono qui, e non me la sarei persa perché Giorgia è un talento unico, una che sul palco, citazione, ci mette l’anima, e che pretende, con garbo e dolcezza, che chi la ascolta faccia altrettanto, credo che nessuno ieri sia uscito anche solo tiepido dal Forum, nonostante Assago, diciamolo apertamente, si trova esattamente al confine tra Incu*andia e Fancu*onia, disperso in mezzo al niente, lì, tra Buccinasco e Rozzano o dove min*hia si trova. Sentire anche la sua Parole dette male, presentata all’ultimo Festival di Sanremo, qui che inizia per sola voce e piano, portata a casa con una maestria che solo Giorgia credo si possa permettere nel pop italico, mi ha fatto anche interrogare proprio sui miei sedicenti colleghi, decisamente ingenerosi in riviera nei suoi confronti, lei così poco incline a far parte dei circoletti e dei salottini, questo nonostante sia in tour con Friends and Partners, intendiamoci, non esattamente i miei amici del cuore, non è che gira con una compagnia differente dal mainstream italiano, mi ha fatto interrogare sul perché quel brano, Blu tutto, avrebbe dovuto indurre l’unanimità di chi scrive di musica a esultare, per la voglia di una artista che ha superato i cinquanta e che per altro quei cinquanta superati, certi indossati con una eleganza unica, ce li fa vedere tutti, quando sui maxi schermi appaiono le sue immagini che non nascondono le rughe d’espressione, quelle intorno agli occhi come le altre, giuro, vorrei tanto che il tutto fosse in mondovisione, perché è un atto di femminismo assai più radicale dei tanti effimeri cui ci tocca assistere nell’era social, mi ha fatto interrogare perché quel brano, come Blu tutto, avrebbe dovuto indurre l’unanimità di chi scrive di musica a esultare, per la voglia di una artista che ha superato i cinquanta e ha ancora voglia di mettersi in gioco, non sottostando alle regolette che quel mainstream sta imponendo come un giogo a tutti, ma facendo la musica che ama anche ascoltare, e facendola come una Dea, ci fossero dubbi a riguardo, generosamente. Insomma, no, non credo di essere in grado di raccontare cosa è successo realmente ieri sera al Forum di Assago, mentre a Milano per altro succedeva di tutto, dal concerto a sorpresa dei Green Day a quello non a sorpresa di Willie Peyote, passando per Milan-PSG a San Siro, Forum di Assago trasformato per due ore da costruzione dall’estetica discutibile sputato nel bel mezzo del niente, a lato della Tangenziale Ovest di Milano a cuore pulsante al ritmo di Mylous Johnson e Sonny T, la voce di Giorgia a fare da spirito guida per le migliaia di spettatori presenti. Non sono in grado perché fatico, nonostante gli anni e nonostante io sia abbastanza avvezzo alla spudoratezza, a raccontare di come un concerto in un palasport possa essere estremamente intimo, come esperienza, se a cantare è chi è in grado di abbattere le tue difese, emotive e non, e perché mi viene sempre e comunque più semplice usare i paradossi per smantellare il Male che per evidenziare e celebrare il Bene, evidentemente interpreto la mia missione di moralizzatore con molta più coerenza di quanto io stesso non voglia. Di fatto se non andate a vedere una delle prossime date del “Blu tour” nei Palasport, temo, avete dei problemi di amor proprio, nel senso che vi volete molto meno bene di quanto quel weekend alle terme che vi concedete ogni tanto vi lasci intendere. Di più, se non ritenete che Giorgia sia un unicum della nostra discografia, quindi un “oggetto” che va trattato con la cura che si rivolge verso ciò che è prezioso e che dovremmo non solo salvaguardare, ma porre lì in alto, ben visibile a tutti, non dico per dar vita a una venerazione, ma quanto meno a una celebrazione, beh, avete un’idea di musica piuttosto dozzinale, come di chi si accontenta di mangiare junk food non perché sia alla portata di qualsiasi tasca e veloce da consumare, ma perché è convinto che sia la quintessenza della gastronomia, il top del top. Vogliate tutti bene a Giorgia, sì, sono passato alla seconda plurale, voi, perché io gliene voglio già di mio, e anche parecchio, non solo un bene privato, ma parlo di bene artistico, perché abbiamo la fortuna di averla dalle nostre parti. Una boccata d’aria pura che ha soffiato sullo smog che aleggia sopra la Tangenziale Ovest di Milano, nel punto esatto dove si trova il confine tra Inculandia e Fancu*onia, dove ieri sera anche un cieco avrebbe potuto vedere distintamente battere un cuore gigante.