È uscito il nuovo album di Prince, Welcome 2 America.
Ma Prince non è morto?
Sì.
E allora sarà la solita mezza truffa raffazzonata fatta di scarti.
No. È un album vero, registrato nel 2010, che però Prince poi non ha voluto pubblicare.
Perché?
Perché era Prince, perché non si sa cosa avesse in testa, così come non si sa perché nel 2016 abbia combinato quel casino con il Fentanyl che gli è costato un’overdose accidentale fatale.
Quel che si sa è che invece qualcuno sta provando oggi a “spiegarci” cosa pensasse Prince e a strumentalizzarlo a fini politici, accostandolo a Black Lives Matter. “Ci parla dalla tomba”, si legge in qualche recensione, con riferimento alla questione razziale.
C’è chi parla di opera profetica, attaccandosi al riferimento a Orwell che aveva fatto in una dichiarazione all’epoca della registrazione.
In realta è “solo” un album di Prince, e come tutti gli album di Prince affronta (o meglio tocca) uno spettro di argomenti che vanno dall’apocalisse alla salvezza messianica, dal razzismo ai party, dalla schiavitù (sia sociale che artistica) alla megalomania (in primis sua, comunque fondata), dalla geopolitica all’amore (solitamente il far l’amore). Senza dimenticare ovviamente quello è che probabilmente il fulcro principale della sua produzione: la figa. Il tutto in una trascinante chiave funky e solare, anche in caso di testi tendenti al pessimismo.
Anche se in verità non è un album di Prince, perché per qualche motivo lui aveva deciso di non farlo uscire, quindi di non farlo esistere, quindi non avrebbe voluto che lo ascoltassimo. Però noi non avremmo voluto che lui morisse e quindi per ripicca lo ascoltiamo. Perché non possiamo fare altrimenti.
Com’è nato questo non-album comunque meritevole che è stato pubblicato dai gestori del suo lascito (dai quali dipendiamo per l’uscita di eventuali altri inediti meritevoli tra i qualcosa come ottomila brani in cassaforte di cui si parla)?
Nel 2010 Prince ha assunto una nuova sezione ritmica (il bassista Tal Wilkenfeld e il batterista Chris Coleman) e, mentre suonava con loro nel suo studio di Paisley Park, ha registrato diversi brani strumentali semi-improvvisati fortemente influenzati dal jazz e dal funk degli anni '70. Dopodiché ci ha aggiunto testi da un lato impegnati e dall’altro giocosi, raffigurando una nazione fatta di persone illuse che lo status di individuo libero coincida con quello di consumatore.
Dopo aver terminato Welcome 2 America (ammesso che fosse effettivamente finito, cosa di cui alcuni dei suoi collaboratori non sono così sicuri), Prince ha intrapreso il tour di due anni Welcome 2..., nel quale però le canzoni dell’album (e solo alcune) rappresentavano una minima parte della scaletta. E l’album non uscì. Eppure, pur non essendo tra i migliori in assoluto della sua vasta e geniale produzione, non è nemmeno tra i peggiori, soprattutto se paragonato ad altri lavori di quel periodo.
La title track è uno di quei pezzi con i quali a cadenza regolare Prince faceva il punto sullo “stato del mondo” (come Sign O' The Times o Planet Earth), e contiene frecciate contro la gente affetta da dipendenza da iPhone e le aspiranti celebrità.
Running Game (Son of a Slave Master) rivisita un altro dei temi ricorrenti di Prince: il problema dello sfruttamento del lavoro creativo da parte di corporazioni avide e miopi.
Dopodiché Welcome 2 America procede con altre dieci canzoni che spesso combinano musica rilassata e sbarazzina con testi pungenti, sempre con la spinta verso una risoluzione gioiosa e pacifica (lo dice lui stesso in 1000 Light Years from Here, “I'm talkin' about a peaceful resolution”), quindi nulla a che vedere con le devastazioni portate avanti sotto l’insegna del Black Lives Matter.
Tornando al quesito iniziale e ricorrente: perché Prince non ha pubblicato questa miscela di musica divertente e vitale? Nemmeno chi era nella cerchia ristretta di Prince sembra conoscere la risposta. Ma non può sfuggire che un album così pieno di giusta critica riguardo ai valori americani sia stato registrato durante il primo mandato da presidente di Obama. Strumentalizzando al contrario (ma in maniera più fondata) rispetto a ciò che vari stanno provando a fare ora, si potrebbe dire che forse Prince non voleva disturbare il “manovratore” sottolineando che alla propaganda su “hope” e “change” non erano seguiti fatti concreti. Ma non volendo farlo, e non ritenendo giusto speculare sull’imperscrutabile e ormai purtroppo irrecuperabile pensiero dell’artista, c’è solo una cosa da dire: Prince non era e non sarà mai incasellabile e, se proprio volete mettervi sul suo stesso piano ideologico, diventate testimoni di Geova. Perché Prince lo era di sicuro.