La Nazionale azzurra si è qualificata con pieno merito agli ottavi di finale dei campionati europei e il tabellino parla chiaro: tre vittorie, sette gol segnati, nessuno subìto. Difficile dunque presentare qualsiasi obiezione all’eccellente lavoro di Roberto Mancini, che si è preso il compito di restituire dignità e competitività a una squadra devastata dalle follie di Ventura e Tavecchio. Ora l’Italia può puntare davvero in alto, però il Mancio da uomo di calcio getta un po’ di acqua sul fuoco su eccessivi entusiasmi ed esagerate aspettative, cazziando i suoi dopo la partita contro il Galles, rei di troppa confidenza in attacco, dove sono apparsi leziosi e poco cattivi, estetizzanti al punto da voler entrare in porta con il pallone. E questo da sabato prossimo non si potrà più fare, perché nell’eliminazione diretta un errore può risultare fatale.
All’Italia in effetti manca un bomber di livello internazionale, questo Mancini lo sa. Né Ciro Immobile né il Gallo Belotti hanno lo standing da fuoriclasse e allora tocca far forza sul centrocampo titolare (l’inamovibile Jorginho, il dinamico Barella e Locatelli con Verratti, pronto a dare il cambio, e il giovane Pessina più che un semplice ricambio), su esterni di spinta e una difesa blindata. Nella terza partita, dove è andato in scena un ampio e giusto turnover, ci è piaciuto molto Bernardeschi, una croce nelle ultime stagioni alla Juve, completamente rivitalizzato in azzurro. Questo colore indubbiamente può fare miracoli.
Il gruppo è compattissimo attorno al mister che durante la partita ci ha deliziati con un meraviglioso colpo di tacco dalla linea di fondo. Chi sa giocare al calcio non lo dimentica neppure a una certa età. Gli azzurri sono scesi in campo con il lutto al braccio in memoria di Giampiero Boniperti, che noi bianconeri identifichiamo come essenza della juventinità e che peraltro in Nazionale giocò 38 partite segnando 8 gol. Onorare la memoria di un grande campione serve a sottolineare il concetto di appartenenza, a differenza di altre manifestazioni di solidarietà imposta per fini pubblicitari senza che nessuno ne senta davvero la necessità o il bisogno. Non ha proprio senso continuare a imporre alle squadre di inginocchiarsi per sottolineare di essere contro il razzismo. Chiunque abbia un po’ di sale in zucca, ovvero la stragrande maggioranza degli atleti e dei tifosi, non è razzista, e proprio per questo non necessita di colpevolizzarsi in eurovisione. Il caso George Floyd ormai è vecchio di un anno, chi più chi meno tutti abbiamo espresso la nostra solidarietà ma ora differenziare chi si inginocchia da chi resta in piedi ha assunto i tratti di una barzelletta. Secondo il giornalettismo attuale le squadre che rifiutano di genuflettersi a inizio partita vanno iscritte all’album dei cattivi. Da mesi va avanti questa storia ma prima gli stadi erano vuoti e c’era bisogno di un surplus di spettacolo, ora stanno tornando i tifosi e non tutti, in particolare gli inglesi, vedono di buon occhio questo spot che di autentico ha ben poco.
Così domenica alle 18 è successo che metà azzurri si sono comportati da buoni e l’altra metà no. C’è forse una divisione politica nella squadra? Mi sembra pretendere troppo da ragazzi di vent’anni. Qualcuno davvero non è d’accordo oppure sarà stato troppo concentrato per l’inizio della partita? O magari non ci sta proprio e vuol decidere di testa sua?
Apriti cielo. Ora gli opinionisti si metteranno a fare la conta sul grado di responsabilità sociale dei nostri giocatori, a cominciare dall’immancabile Claudio Marchisio, uno che sul buonismo stucchevole sta tentando di costruire un’imminente carriera politica, chiaramente a sinistra, uno che dice che l’Italia fa schifo perché è razzista però commenta le partite in tv, alla faccia della coerenza. Non bastavano i francesi a romperci l’anima perché non abbiamo un solo giocatore di colore in rosa (proviamo a spiegarlo: noi non siamo come i francesi, la nostra storia è diversa, e non è certo colpa di tecnici e dirigenti se i principali calciatori di pelle scura approdati in Nazionale, Balotelli e Kean, si sono rivelati teste calde, umanamente deludenti, sacrificabili per il bene comune). Non contenti di un’Italia che vince devono trovare il pelo nell’uovo e scassare le scatole a chi sta facendo il proprio lavoro.
Ovviamente se il risultato finale dovesse premiarci, inginocchiarsi o meno sarebbe a quel punto irrilevante e torneremo tutti a fottercene del razzismo o dell’antirazzismo. Per una volta ha ragione Orban, quando ha spiegato che ci si inginocchia davanti a Dio (per chi ci crede) o alla donna che ami per chiederla in sposa. Non certo in un campo di calcio.