Che fine ha fatto Giulia Innocenzi, “figlia” televisiva di Michele Santoro e nota al (più o meno) grande pubblico anche per la sua passata relazione con Pif? Una bella fine, giornalisticamente parlando. L’altra sera, via “Report” (Rai 3), ha calato l’asso controverso: “I monatti”. Protagonisti del servizio – crudi e raccapriccianti – i mercati umidi nel sud della Cina, dove vengono ancora venduti cani e gatti per essere macellati. E i maiali, stipati in allevamenti monstre e di cui, letteralmente, non si butta via nulla, naso (“ricercatissimo”) e orecchie incluse. Ma se questa prima parte del servizio, la più corta delle due, ci potrebbe regalare uno strano senso di conforto nazionalista (eh, vai a sapere cosa diavolo combinano i cinesi nei loro wet markets), la seconda parte, che riguarda la diffusione della peste suina africana in Italia, è un colpo in testa. La nostra, però.
Chi è Giulia Innocenzi
Santoro lancia Innocenzi ad “Annozero” (anno 2008, spazio “Generazione Zero”) e la riminese, classe 1984, lo ripaga con la sostanza di una che in tenera età si è comunque fatta un giro al Parlamento Europeo e che, proprio in quel 2008, mette il naso per la prima volta nella politica attiva (si candida come segretario dei Giovani Democratici del Partito Democratico; quando il Pd era ancora un’ipotesi plausibile). Nel luglio 2011 Santoro passa dalla Rai a La7 e lei dichiara, mostrando i necessari denti: “'Vorrei rimanere al fianco di Michele Santoro, sarebbe un piacere e un onore. Lui disposto a restare in Rai per un euro a puntata? Per quanto mi riguarda il lavoro deve essere retribuito: mi appassiona, ma devo pensare anche a campare!”. Insomma, in breve tempo capisce che aria tira, lei non è della generazione del posto fisso. Capisce che deve lottare. Prova ad allargarsi. Si tuffa in un mondo editoriale che, dopo alterne fortune, avrebbe comunque premiato la sua passione per la causa animalista-ambientalista (il già citato “Tritacarne. Perché ciò che mangiamo può salvare la nostra vita. E il nostro mondo”).
Giovane, bionda e politicamente troppo “cangiante” (le si attribuiscono “militanze” in An, Radicali e Pd, neanche avesse avuto tre vite)? Nel 2015, in un’intervista a Panorama, si difende: “Chi non ha niente da scrivere si diverte con poco. La storia di An, per dire, si riferisce a una riunione a cui ho partecipato a 16 anni”. Nella stessa intervista – rilasciata ad Annalisa Chirico – rivela ciò che in genere il cittadino comune (leggi anche: ingenuo idealista) scopre quando si ustiona con la politica. Quella vera, mica quella in tv che ci ripete ciò che vogliamo sentirci dire: “I partiti non sono luoghi meritocratici, ma di cortigiani”. Nel 2019, dopo un altro testo particolarmente bollente (“VacciNazione. Oltre ignoranza e pregiudizi, tutto quello che davvero non sappiamo sui vaccini in Italia”), la bordata che poteva stendere un bisonte. Arriva da Dagospia, a firma di Giuseppe Candela, che riporta a galla uno scivolone datato 2013: “L'ex santorina dirige leiene.it senza essere giornalista, infatti non risulta iscritta all'Albo come pubblicista e nemmeno come professionista. Era stata bocciata all'esame (valido per iscriversi all’elenco professionisti dell'Ordine dei Giornalisti, nda), notizia che le era valsa più di una presa in giro”. Innocenzi, nel 2013, mostrò online l’elaborato che l’aveva condannata alla bocciatura, ma solo un anno prima aveva detto: “Sono per l’abolizione dell’Ordine dei giornalisti, che è obsoleto, liberticida e corporativo, e attualmente risulto come praticante perché Santoro è uno dei pochi che applica contratti giornalistici”. Scaltra, ma brava. Come dimostrato dal servizio dell’altra sera su Report. Potente, persino devastante a tratti. E se una carriera che è un saliscendi può fare storcere il naso, non dimentichiamoci che essere intoccabili è privilegio che, in campo giornalistico (ma non solo), in genere non tocca ai classe 1984. Apprezziamo la lottatrice, piuttosto. E i reportage che ci scuotono non per il solo gusto, molto social, dell’indignazione fine a sé stessa, ma per indicarci l’orizzonte di una presa di coscienza.
Cosa ha raccontato Innocenzi nel servizio di Report sui maiali?
Dici Wuhan e c’è un Nord Italia che al solo pensiero subito trema, a partire dalla piccola Codogno, nel Lodigiano. Ve lo ricordate il Covid, no? Materia troppo recente per essere dimenticata nel tempo di uno starnuto (allora infetto). Troppi morti, tutti insieme. Anno 2023, il Covid c’è ancora ma è sparito dalle prime pagine, impallinato da altre morti. Si tratta di guerre vere, stavolta, non metaforiche. Se Wuhan è tornata a far paura dobbiamo però ringraziare Giulia Innocenzi, che l’altra sera, via Report (Rai 3), ha calato l’asso controverso: “I monatti”. Protagonisti del servizio – crudi e raccapriccianti – i mercati umidi nel sud della Cina, dove vengono ancora venduti cani e gatti per essere macellati. E i maiali, stipati in allevamenti monstre e di cui, letteralmente, non si butta via nulla, naso (“ricercatissimo”) e orecchie incluse. Ma se questa prima parte del servizio, la più corta delle due, ci potrebbe regalare uno strano senso di conforto nazionalista (eh, vai a sapere cosa diavolo combinano i cinesi nei loro wet markets), la seconda parte, che riguarda la diffusione della peste suina africana in Italia, è un colpo in testa. La nostra, però. Nella seconda parte del servizio inizia infatti un agghiacciante viaggio fra le campagne di Pavia. Un viaggio che riguarda anche altre regioni (Veneto, Emilia Romagna; l’anno scorso era arrivata in Piemonte e Liguria) e altre zone della Lombardia. Perché se in Cina qualcosa si sta muovendo (le giovani generazioni pare si stiano disabituando a mangiare cani e gatti), da noi i casi di peste suina rintracciata negli allevamenti protagonisti di Report sono stati gestiti in modo quantomai discutibile, e infatti l’infezione non si ferma. Anzi, rischia di dilagare. Tante le immagini del servizio che – come si dice – parlano da sé: migliaia di maiali fatti fuori con l’elettrocuzione, rischi biologici dietro ogni angolo, vasconi – colmi di liquami animali potenzialmente infetti – non adeguatamente recintati. E questo non accade a Nanning, bensì a Zinasco e Pieve del Cairo. Un allarme per tutti: per gli animalisti, che denunciano migliaia di capi abbattuti, ma ovviamente anche per allevatori e Confagricoltura. Interrogato sulla questione, il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida si limita a dire che quello che si poteva fare si è fatto, ma il problema appare evidente: tante recinzioni sono state costruite in ritardo o (in alcuni casi) non sono state costruite affatto.
Innocenzi da Facebook sottolinea che “1.3 milioni di persone […] hanno potuto vedere quello che facciamo agli animali, globalmente. Per il maiale, che stia al 26simo piano o al piano terra, non cambia niente: trascorrerà la sua misera vita rinchiuso in un recinto o in gabbia, e poi andrà al macello”. Un servizio che è figlio di una missione. Perché Innocenzi ha da sempre nel cuore la causa animalista. Nel 2016, per Rizzoli, pubblica Tritacarne, libro-denuncia sugli allevamenti intensivi, l’anno seguente si presenta su Rai 2 con le sei puntate di Animali come noi. Giornalismo d’azione, potremmo dire, visto che Innocenzi, in occasione del sopra citato servizio per Report, ringrazia Lca Europe (Last Chance for Animals), “organizzazione internazionale no profit – recita il relativo sito – che lotta per eliminare lo sfruttamento degli animali attraverso informazione, investigazioni, legislazione e media”. La divisione italiana di Lca nasce nel maggio 2023. Nello stesso mese, e grazie ad immagini ottenute proprio da Lca Europe, Innocenzi confeziona per la Rai “Che porci!”, servizio in cui si mostra un allevamento di maiali, in provincia di Cremona, infestato dai topi. Poco dopo si mobilitano Ats Lombardia e i Carabinieri del Nas, ma la sensazione è che questa volta, dopo “I monatti” di manzoniana memoria, la nostra politica dovrebbe inventarsi qualcosa di diverso. Perché il viaggio di Innocenzi è sì partito da Wuhan, ma è arrivato a Pavia.