“Io non sopporto nessuno dei due”. Michele Santoro si è sfogato, ieri sera a DiMartedì davanti a un Giovanni Floris che cercava di rintuzzarlo, in realtà gongolando per l’attacco ad alzo zero contro i “due”, che sarebbero poi Lucia Annunziata e Fabio Fazio. “Professionisti validi”, ci mancherebbe, ma con il vizietto, secondo il giornalista ex Rai, di dare di sè stessi “narrazioni sempre un po’ farlocche”. Fazio, ad esempio, “non è vero che è stato quarant’anni ininterrotti in Rai, è andato via a lavorare a La7 quando era di Telecom, non ha fatto nemmeno una puntata”, uscendone, sottolinea ironicamente, “devastato” ma “più ricco di prima”. “Io – sottolinea con il dente avvelenato - non rientrai in Rai, lui, invece, sì. Non è rientrato solo per i buoni uffici del suo agente, è rientrato anche perché la politica ha voluto che lui tornasse…”. L’agente senza nome, per la cronaca, è Beppe Caschetto, che con la sua ITC 2000 rappresenta, oltre a Fazio, anche lo stesso Floris, e la Gruber, Gramellini, Formigli e, guarda caso, pure la Annunziata. È Caschetto, che si contende con Lucio Presta il podio degli impresari con il vero potere in tanta parte dei palinsesti, è lui la mente dietro la ritirata strategica dalla tv di Stato di alcuni dei sunnominati. Lui lo stratega, eminentemente commerciale, al di là di tutte le dichiarazioni pubbliche da parte di Fazio, Annunziata e Gramellini sulla loro estraneità al nuovo indirizzo di centrodestra a viale Mazzini.
Sarebbe interessante sapere da quanto tempo Santoro non li sopporta, i due farloccatori. Fazio, come anche Lucianina Littizzetto, è una creatura di Bruno Voglino, capostruttura di Rai 3 ai tempi della direzione di Angelo Guglielmi, fra fine ’80 e inizi ’90, una rete che sfoggiò grandi risultati con una programmazione schieratissima a sinistra, in quota Partito Comunista, e di alto livello culturale. Da quel brodo sorse anche la fortuna di Santoro, che con Samarcanda, grazie a Guglielmi e Voglino, decollò come conduttore di talk show che hanno oggettivamente fatto la storia della televisione italiana. Fazio è sempre stato quel che è: un finto buono, un animatore di salottini autoreferenziali, la faccia piaciona della ferrea presa di una certa sinistra di spettacolo, mainstream, comoda e accomodante, sul piccolo schermo. Santoro, politicamente parlando, è stato il campione dell’anti-berlusconismo televisivo, ma non mancò di entrare in urto con le compagnie di giro della sinistra catodica, tanto che nel 1996 sbarcò, per una breve parentesi, financo a Mediaset. Diciamo che fra Santoro e Fazio passa la differenza che c’è fra una sinistra moderata e lietamente consociativa, e una più radicale, polemica e potenzialmente destabilizzante. Ma in Rai la stessa legge è sempre valsa per tutti, ed è la legge della lottizzazione. Nessuno le è mai sfuggito e, finché le regole rimarrano queste, nessuno le sfuggirà mai.
Con la Annunziata, salernitana come lui, Santoro aveva già scazzato di brutto due anni fa quando, ospite della collega a Mezz’ora, dopo un diverbio accesissimo sul rapporto fra scienza e informazione riguardo la pandemia, si era alzato e se n’era andato in preda ai fumi. Uno dei non pochi interventi da opinionista che il grande epurato ha disseminato in questi anni posizionandosi al di fuori dell’establishment propriamente detto, bersagliando il “sistema” con critiche che si ritrovano pari pari nell’underground giornalistico, specialmente online (dove infatti Santoro è rifugiato, con la app Servizio Pubblico). Ieri contro l’Annunziata è andato a ripescare un ricordo biografico che non avrà fatto piacere alla Nostra: “Quando lasci la Rai dicendo che non sei d’accordo con questo governo, uno si deve ricordare che è stata il presidente di garanzia quando a governare era Silvio Berlusconi. Lucia Annunziata è subentrata a Paolo Mieli, che si dimise dopo aver posto come condizione il rientro di Enzo Biagi, Daniele Luttazzi e Michele Santoro. Lucia Annunziata è subentrata”. Il riferimento è al 2003, l’anno successivo al famigerato “editto bulgaro” con cui l’allora capo del governo Silvio Berlusconi da Sofia licenziò, di fatto, i tre professionisti sgraditi al regime. E in effetti, tanto per dirne una, la satira che Sabina Guzzanti fece allora, somigliantissima in una maniera inquietante, a Lucia “presidende di garanzzzia”, manifestava un certo diffuso malumore a sinistra (che però non avrebbe dovuto darsi a tanto stupore, visto che la finta opposizione a Berlusconi sul conflitto d’interesse fra media e politica era già da anni acclarata).
A ogni modo, se Santoro concede che “l’azienda avrebbe fatto bene a tenerseli” (anche se sono loro ad essersene andati…), alla fine ecco la rasoiata: “Io però non sono l’azienda e non sono un servizio pubblico che tiene fuori un pensiero diverso, che era fuori anche prima, quando loro erano al centro del babà…”, loro che “sono stati il perno attorno a cui è ruotata una politica culturale in Rai di esclusione, fatta di ammazzamento del pluralismo”. Floris invano cercava di far notare, maliziosamente, che sembra una bega fra pezzi grossi della tv, e per un verso non avrebbe neanche torto, il Vespino di sinistra. Tuttavia, depurato da astii e conti in sospeso personali, quel che sostiene Santoro è inattaccabile: la censura, dura o morbida, è inoppugnabilmente trasversale. Ma per il semplice motivo di cui dicevamo prima: se la vita della Rai consiste nel cambio della guardia a ogni elezione, lottizza tu che lottizzo anch’io, è logico che sarà premiata la fedeltà e solo poi la professionalità – per non parlare del diritto-dovere di fare del giornalismo critico, cioè del giornalismo. E parafrasando il famoso detto di Nenni sui più puri che epurano, ci sarà sempre uno più fedele di te che garantisce un quantum in più di fedeltà. Perché non c’è limite all’umana capacità di non disturbare mai davvero il manovratore.