“Giro di giorno fra le anime perse”, si potrebbe dire, rivisitando il celebre verso dei Litfiba. Perché guardando Dimmi che c’è, l’ultimo pregiato video di thasup – la regia è di Tommaso Fares, in arte Late Milk, romano classe 1994 che ha già stampato il proprio distintivo timbro su diversi video della scena rap italiana – si nota che la notte proprio non è protagonista. C’è un angelo errante (Thasup), chiuso in un cappuccio viola, senza volto ma con la sua aureola perennemente appiccicata sopra la testa, che vaga per Milano, sotto il sole di una giornata ordinaria, con una chitarra acustica a tracolla. Non c’è la notte in cui Kelly Hutchinson se ne andava in giro con un grande cuore in mano (letteralmente) alla ricerca dell’amore. In quel video (il brano era Another chance di Roger Sanchez, parliamo di più di 20 anni fa), il sorriso della Hutchinson riceveva solo indifferenza e rifiuti. Cosa diavolo voleva quella bella e simpatica ragazza, persa per New York – N.Y. ha sempre tanto da fare, no? Come avrebbe potuto prestarle attenzione? – con un gigantesco cuore rosso fuoco stretto fra le braccia? In Dimmi che c’è questo angelo sceso dalla Luna ha pretese più terrene. In fondo Another chance era una splendida e oscura fiaba che svelava tutto il gelo che attraversa lo scintillare di una metropoli, mentre “Dimmi che c’è è un lieve atto di speranza dedicato a una persona amica, in difficoltà: “Dimmi che c’è, cerco il motivo per cui sei sad, sai che non lo dirò giuro a nessuno mai, mai, mai, ma-mai”.
Parchi, strade, campi da basket. L’angelo gira, gira. I passanti, quasi infastiditi, lo guardano storto, ma lui non si ferma. Osserva una coppia: prima litigano poi tornano a camminare assieme. Seda una rissa. Sul finale chiama a sé un coro improvvisato da gente qualunque che ha il solo bisogno (urgente) di un momento collettivo e salvifico grazie al quale elevarsi. Tutto molto poetico, tutto molto pop e meno criptico del solito. Non che di solito le produzioni di thasup siano imperscrutabili, tutt’altro (il suo successo è la prova evidente), è solo che questa volta il suo cantato – tranquilli, l’effetto “due biglie in bocca ricoperte da gommose alla liquirizia” c’è ancora – è più comprensibile e tutta la produzione, particolarmente dritta, suona più come balsamo che come una scossa. Beats puliti su una chitarra innocua, alla Jack Johnson, per una manciata di versi che suonano come una gentile liberazione, una fuga dalla notte (assente, appunto), una carezza per chi quella notte l’ha vissuta e rivissuta troppe volte, magari all’ombra di una diagnosi di depressione. È thasup in versione docile, è thasup che esce dalla consueta narrativa egocentrata del pop trap-izzato per guardare anche all’altro, al prossimo. La melodia, insidiosissima, c’è tutta. E c’è anche Tedua, che a un certo punto – senza eccedere – spara una chiazza nera dentro a questo disegno a tinte pastello. Pochi versi, riconoscibili: “lo smog che offusca l’alba” e “l’ansia (che) mi bussa alla porta”. L’ansia. Il cancro della Generazione Z. Quell’ansia di cui, forse a sorpresa, quasi non c’è traccia in Dimmi che c’è.