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“Epigenetica” di Battocletti è un racconto sugli errori dei genitori scritto finalmente con franchezza

  • di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

10 settembre 2023

“Epigenetica” di Battocletti è un racconto sugli errori dei genitori scritto finalmente con franchezza
“Epigenetica” (La nave di Teseo) non è un romanzo vero e proprio, quanto piuttosto il diario di una scrittrice, Maria, che non sa spiegare la storia della sua famiglia senza ripercorrerla alla luce del suo rapporto mancato con il figlio. Un gioco di specchi fatto senza intellettualismo e con onestà

di Riccardo Canaletti Riccardo Canaletti

Se l’incipit di un romanzo è metà del lavoro di uno scrittore, Cristina Battocletti con Epigenetica ci dà un indirizzo forte di quale sarà la presa tematica e stilistica del suo nuovo libro pubblicato da La nave di Teseo: “Se mio padre avesse rivolto il suo fucile da caccia contro di noi sarebbe stato meglio. Papà non sapeva che uccidendoci avrebbe arginato l’infelicità dell’infelicità: quella della mamma, dei miei fratelli e di tutti coloro che sarebbero discesi dal nostro ceppo infestato”. A volte l’equilibrio lo trovi con facili espedienti e senza troppe acrobazie. Se la scelta del tempo presente per i verbi rischiava di rendere il testo fin troppo elementare, l’andamento diaristico (ogni capitolo inizia con una data) trovare per essere una giustificazione semplicemente da accettare. Epigenetica, in altre parole, non si mostra stilisticamente ostico. La scrittura è chiara e franca. Persino la lunghezza non ammorba con inutili panegirici intorno a una trama che ha indubbiamente degli ingredienti già presenti nella letteratura recente (la protagonista scrittrice, una famiglia scucita, franta e così via).

Epigenetica (La Nave di Teseo)
Epigenetica (La Nave di Teseo)

Proprio per questo andava fatto qualcosa di diverso. Non tornare sui contrappunti di un dramma familiare su cui già hanno saputo dire tanti grandi, tra tutti Joyce Carol Oates. Non dilungarsi in inutili descrizioni poco funzionali all’obiettivo. Battocletti punta tutto sul dramma con un grado di concretezza valorizzato dalla scrittura scarna e dalla brevità di un romanzo che a dispetto di caratteristiche facilmente orecchiabili sa stupire. La chiave di volta è ovviamente il ritrovamento del figlio di Maria, la scrittrice al centro della storia che, non avendo potuto contare sui propri genitori, segue silenziosamente i passi di Emanuele ormai adulto. Trova delle scuse, come una conferenza su Zanzotto in Puglia. Quello che conta è vederlo, in qualche modo fingere di prendersi cura di lui, silenziosamente, in apparente contraddizione con il ruolo “pubblico” della donna, professionista della parola. La morale è chiara e ben sintetizzata dal sommario all’anticipazione uscite per Il Sole 24 Ore: quanto pesano i comportamenti dei genitori sui figli? La risposta è chiara. Tutto. Ma questo non significa che le conseguenze siano totalizzanti, che non esista cioè “alcun figlio” al di fuori dell’ombra di mamma e papà. Il nuovo romanzo di Cristina Battocletti è una perla costruita in modo puntuale e sobrio, tanto da non trovare nel libro parti superflue e frasi aggiunte per puro orecchio, per far funzionare la musica del paragrafo. In questo senso il romanzo si inserisce in una linea sempre più condivisa in Italia, quella che trova nelle frasi breve e in una narrazione piana un buon punto di partenza per concentrarsi sui contenuti. Quanto sia un percorso condivisibile e fruttuoso è difficile da dire. Il rischio è di costringere la storia nelle maglie di un linguaggio involuto, ma non è questo il caso. Si tratta forse più di un racconto lungo che non di un romanzo, qualcosa che deve essere letto, come ho fatto, in una sola volta. Si tratta di una storia raccontata senza -ismi e sociologia tascabile all’evenienza. E tanto dovrebbe bastarci per poter premiare questo libro.

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