Sono circa venticinque anni che Vasco Rossi viene spesso ritenuto colpevole di ripetersi con canzoni, talvolta indistinguibili fra loro, prive di quei sapori piccanti, persino urticanti, che avevano caratterizzato la sua produzione giovanile e quella degli anni della prima maturità. Venticinque anni in cui improvvisi bagliori, momentanei flash, hanno solo interrotto una sequenza di canzoni e album impeccabilmente prodotti, formalmente inattaccabili, ma, di fondo, forse poco interessanti. “Gli sbagli che fai”, il nuovo brano che fa da traino a “Il Supervissuto. Voglio una vita come la mia”, la serie prodotta da Netflix con la regia di Pepsy Romanoff (anche autore, insieme a Igor Artibani e Guglielmo Ariè), rientra nella categoria dei flash.
Al centro c’è un riff squillante e glorioso di Vince Pastano. Attorno, il Vasco limpido e lapidario degli ultimi anni. Testo asciutto, sound pulito e prodotto con gusto. Tutto calibratissimo, ma meno asettico del solito. Perché in mezzo c’è un Vasco trascinato dalla band verso quelle vette da cui si ammira tutto così nitidamente: la vita trascorsa, gli sbagli commessi, le occasioni perdute e quelle colte appieno. Così Vasco, in “Gli sbagli che fai”, interpreta di nuovo quella figura friedrichiana che spesso gli riesce bene: il viandante su un mare di nebbia che scruta il mondo sottostante. Sono anni che Vasco scruta, riflette, rumina, ripassa. Il video della canzone è lì per confermarlo, con il suo mix di frammenti tratti dalla serie Netflix. Tutto, ripetiamo, calibratissimo. A differenza di quanto è spesso accaduto, specie a livello di video, in questi “ultimi” benedetti venticinque anni. 2001, “Stupido hotel”: brano così così, ma da salvare in corner. Poi vedi il video e c’è Vasco con una camicia assurda, assurdamente sgargiante, che canta dentro le Grotte di Frasassi (!), una cosa che neppure i Monty Python o The Mighty Boosh in acido si sarebbero potuti inventare.
Qui non si sgarra, invece. “Gli sbagli che fai”, pur viaggiando su rotte super-sicure – ma del resto Vasco non si prende un rischio dai tempi di “Sally” e del sottovalutato “Nessun pericolo… per te” (1996) – ha il respiro profondo delle canzoni vere perché non rifiuta la malinconia. La cavalca, la doma, la celebra. Al di là dei precetti elementari (“…alla fine vedrai che imparerai dagli errori che fai”), “Gli sbagli che fai” è la colonna sonora di un roboante brindisi. Calici alzati per celebrare tutto il Vasco di cui abbiamo goduto. Per celebrare “Il Supervissuto”.