“Un ubriaco di bellezza che inciampa e cade in acqua”. È l’uomo in Deliquio veneziano, il primo racconto di Gotico Rosa, il nuovo libro di Luca Ricci (La Nave di Teseo 2024) a parlare. Un uomo che tenta il suicidio dopo aver perso quasi tutto e prima nell’ordine delle cose la sua amata. Ma un qualsiasi canale, anche dal punto di vista di uno che sa di non poter restare per più di sette giorni – con i soldi che ha – nell’albergo difronte al ponte Rialto, è troppo “verdognolo”, troppo lugubre, troppo simile alla sostanza che si prepara ad accogliere. Il primo racconto è una chiave per tutto Gotico rosa, che si sviluppa ad arte in dieci racconti solidissimi, una lezione di scrittura che arriva in forma breve dopo la quadrilogia sulle stagioni, un unicum nella letteratura italiana recente. E c’è indubbiamente in Ricci, oltre alla forma distesa del romanzo, proprio questa capacità di valorizzare il racconto, un genere che oggi crediamo troppo americano da avere una storia italiana. Si dovrebbe leggere un’altra sua raccolta, I difetti fondamentali – possiamo aggiungere degli scrittori – per capire quest’ultima, una lezione di scrittura creativa di un autore che si specchia già nella sua opera, in cui torna topica la figura dell’uomo abbattuto dal desiderio, l’uomo senza volontà. Un uomo, tuttavia, che esiste sulla scorta della letteratura italiana del Novecento, di un sentire che può essere il sentire di Flaiano e Buzzanti, non solo di Cheever.
L’amore, anche quello convenzionalmente sbagliato, viene raccontato con pacato senso di testimonianza, che non si traduce mai in sconfitta o rassegnazione verso altre pretese della vita, che si rivelano quasi sempre pretese della buona società più che del buon animale desiderante. In Gotico rosa, ancora una volta, è impossibile chiedersi se manchi il desiderio, perché è onnipervasivo, è accanto all’intelletto nella sua forma spinoziana, di pura potenza (fare) e di scarsa capacità decisionale. Luca Ricci riesce a creare personaggi con una debolezza, una mancanza manifesta, ma mai apatici. La scrittura si sviluppa in modo coerente in tutti i racconti. Si chiama stile. Allo stesso modo, la presenza dell’amore, o meglio, della concezione amorosa (e romantica) dei rapporti, porta a galla contraddizioni e storture, che operano nel libro come uno strumento di vera indagine, di decostruzione. Luca Ricci gratta dalla superficie dei “modelli” tutto ciò che c’è di patinato e di già raccontato, per scoprire che “amare è venire meno alle promesse di qualcun altro”. In Gotico rosa c’è un po’ di Mann, il sentore di quell’insindacabile debito con il Novecento continentale, che è anche un Novecento filosofico, che ha resistito, talvolta, alla mania del “sistema” dell’epopea in stile americano, riuscendo, per virtuosi frammenti, a ricomporre un puzzle esistenziale che non si è mai dato unitario fin da subito. Luca Ricci è in ricerca e quest’ultimo libro è una parte fondamentale della sua opera, il cuore di un palazzo, la barchetta al centro del canale, un portone blindato. Una figura nitida da cui partire, dopo aver già fatto il contorno, per affrontare lo sfondo confuso di un’immagine ridotta in scala su un cartone, che è poi l’immagine della vita. Chissà allora, dopo Gotico rosa, cosa ci aspetta.