C’è chi aspetta il primo di ogni mese per ascoltare una nuova puntata Spotify di Indagini e chi mente. Sappiamo tutti (vero?) che Stefano Nazzi è un giornalista, lo fa da tanti anni, e che si occupa di cronaca nera e cronaca giudiziaria. Molti dei casi di cui parla ci sono ormai familiari. Di altri invece, nonostante tutto, non ne abbiamo mai sentito parlare. È grazie al lavoro di ricostruzione, alla sua sobrietà e alla sua precisione che ha il successo che ha. Lo stile è inconfondibile, sì, e per un motivo ben preciso: l’autore parla spesso di quanto la cronaca nera sia stata per lungo tempo giudicata come una sorta di giornalismo di serie b. Le cause sono tante, sicuramente fra queste spicca un certo tipo di narrazione televisiva – e di stampa – indirizzata alla spettacolarizzazione e alla morbosità della crudeltà e del sadismo. Finalmente possiamo ascoltare, e ora leggere, un esperto che punta alla sobrietà, al fatto di cronaca puro. Come dovrebbe d’altronde fare ogni giornalista.
Il volto del male (Mondadori, 2023) nasce quindi dall’idea di raccontare le vicende in questo modo, senza sensazionalismi o moralismi alcuni. I fatti vengono messi in ordine, spogliati dalle ipotesi e dal sentito dire. Poi ognuno si farà la sua idea. Il male di cui parla, e che per propria ammissione non sa definire, si esplicita in questa raccolta di storie in dieci casi di cronaca nera. Si manifesta spesso in persone insospettabili, come un vero e proprio istinto a voler fare del male. Nazzi ci racconta le vicende di dieci individui che rappresentano – e hanno commesso – del male: sono tutti diversi, uomini, donne, giovanissimi e meno giovani, provenienti da estrazioni sociali e culturali agli antipodi. Passiamo dalla storia delle bestie di satana, al serial killer Stevanin, al mostro di Foligno, alle tre adolescenti che uccisero a Chiavenna una suora, a Donato Bilancia – di cui abbiamo parlato nell’articolo sul nuovo romanzo di Piano – alla coppia dell’acido, al delitto del Circeo. Nazzi dà notizia sulla storia personale di ognuno di loro, sui passi che hanno compiuto per arrivare al delitto, e soprattutto quello che a loro è capitato poi.
C’è chi ha continuato a uccidere, chi continua a proclamare la propria innocenza, chi non si rende conto di ciò che ha fatto, chi ha voluto scomparire. Mette l’accento su come i media abbiano influenzato, e siano a loro volta stati influenzati, questi casi di cronaca nera: raccontare certe storie è così importante perché, come una fotografia, rappresentano lo spaccato della realtà culturale del nostro paese. Alla fine dimostra come sia possibile – e necessario - togliere dai casi di cronaca nera ultra noti quella distrazione voyeuristica e pruriginosa a cui ci siamo abituati e fare un ottimo lavoro giornalistico. Unico neo? La lunghezza. Il libro di Nazzi è forse troppo breve, finendo per incuriosire molto i lettori ma rischiando di rimanere troppo sulla superficie delle storie. Approfondire ogni caso avrebbe richiesto un tomo ben più poderoso e dettagliato. Possiamo prendere questo come libro/accalappiamento che aumenta il desiderio di scoprire di più questi casi.. insomma, Nazzi ha gettato l’esca e noi abbiamo – volentieri - abboccato all’amo.