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“La verità, lo giuro!”: Michela Giraud su Netflix non fa ridere

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

12 aprile 2022

“La verità, lo giuro!”: Michela Giraud su Netflix non fa ridere
Encomi e lodi sperticate per la prima stand up comedian italiana ad aggiudicarsi uno special in proprio su Netflix. Ma siamo sicuri che questa sia una buona notizia per la comicità (al femminile) nostrana? Ecco perché crediamo proprio di no

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Dallo scorso 6 aprile, Michela Giraud è su Netflix con il suo special di stand up comedy “La verità, lo giuro!”. Un’oretta di show di cui si legge bene in ogni dove. Non c’è testata che non abbia tessuto le lodi della trentaquattrenne romana, the next big thing, anzi, ora finalmente consacrata al successo che merita. E poi è una donna, la prima a guadagnarsi uno spazio così di prestigio e individuale sulla piattaforma della grande N. Prima di lei, solo Francesco De Carlo, Edoardo Ferrario e Saverio Raimondo erano arrivati così in alto, disponibili nei 180 Paesi che Netflix abbraccia. Ebbene, tra lodi sperticate, encomi infiniti e chi sta pensando di restaurare la monarchia solo per farla regina, ma pure Papessa, vorremmo solo dirvi la verità, lo giuriamo: Michela Giraud non fa ridere. 

 

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Non in senso assoluto, certo. Come lei stessa dice di sé nel corso dello special, durante la sua lunga gavetta/carriera ha “scritto battute incredibili”. Poi ha vinto il Premio della Satira nell’anno del Signore 2020, organizzato da quello stesso Festival della Satira che l’anno successivo avrebbe allungato un award a Pio e Amedeo per la Satira Politica. Non solo, a suo dire, se mette fretta a una sciura in fila dal panettiere, i siti di informazione online ne scrivono perché è costantemente sotto l’occhio del ciclone mediatico. Ve ne eravate accorti? No, ecco. Nemmeno noi.

Insomma, la prima ventina di minuti di show passa con una serie di complimenti auto-celebrativi, come se la Giraud stesse leggendo la propria pagina LinkedIn, intimando al pubblico in sala di ridere. Essere truce, anche con gli spettatori, è un suo marchio di fabbrica. Ma questa prima parte dello special sembra un disperato tentativo di autolegittimazione. “Sono qui perché sono famosa. Ma famosa famosa, capito?”. Immaginiamo quanto questa preziosa informazione possa interessare un tabaccaio di Minneapolis che appiccia Netflix per farsi due risate e: “Ah, capisco. Questa è una famosa in Italia. Ma non era mica uscita la nuova stagione di Elite? Eh”.

 

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Un post condiviso da Michela Giraud (@michelagiraud)

Si parte malino, dunque. Però si prosegue peggio. La Giraud si concentra su una shitstorm di Twitter che l’aveva travolta qualche mese fa quando, in merito al coming out “non binario” di Demi Lovato, la stand up comedian cinguettò: “Demi Lovato vuole farsi dare del ‘Loro’... Come il Divino Otelma!”. Gli utenti insorsero contro di lei, rea di non aver rispettato il mondo LGBTQI finché la nostra, con un film a tematiche rainbow in uscita di cui non era “protagonista”, come invece si definisce nello special, ma a malapena comprimaria, non arrivò a cancellare il maledetto cinguettio. Rimpiazzandolo con le classiche scuse: “Ho ancora molto da imparare”. Un comico che chiede scusa, per quanto con l’accetta dell’ufficio stampa sulla collottola, in quel momento sacrifica il proprio lavoro a un altro altare. Nello specifico di quella boutade, poi, una sola cosa: se è vero che la reazione di Twitter sia stata esagerata, e torni utile come unità di misura del segno dei folli tempi in cui stiamo vivendo, il problema della battuta in sé era il tasso di scorrettezza, sì. Ma semplicemente perché al Mago Otelma, a volerlo assecondare, al massimo si dà del “Voi”, non dell’”Loro”.

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Vi ricordate Lorena Cesarini, l’attrice che condusse una delle puntate dell’ultimo Sanremo? Forse il nome non vi dirà granché, ma se aggiungessimo: “Sì dai, quella che fece un monologo di mezzora all’Ariston sul fatto di avere la pelle nera?”. “Ah, quella nera!”, rispondereste. Bene, la Cesarini ci teneva così tanto a non essere etichettata solo per la pigmentazione della propria epidermide, che, parlando però solo di quella tematica nel suo momento della serata sanremese, ora non ci si ricorda di lei che per quello. E lì si trattò di 20-30 minuti. Qui, tornando alla Giraud, abbiamo praticamente un’ora intera di riferimenti incrociati al fatto che le piaccia il prosciutto, che le persone la trattino come fosse una portatrice di handicap per via del suo peso, che i bambini si spaventano quando vedono le “curvy”, che avere una taglia 50 è una specie di crimine per la società tutta e che però, insomma, a lei piace magnà. Ah, e ha un bel viso. Questo lo ricorda a ogni piè sospinto. Menomale, dai. 

 

La sorella con l’Asperger (lei sì, la vorremmo conoscere), i genitori borghesi e iper-cattolici che non l’hanno mai incoraggiata a calcar palchi, anzi. Pure la maestra Pina delle elementari che, parrebbe, non la trattasse col rispetto dovuto a una futura star del suo calibro. Michela Giraud è un gigantesco e faraonico “Io” coi piedi che parla di sé come se non esistessero al mondo tematiche più rilevanti del proprio stesso fulgido ombelico. E come se l’empatia da creare col pubblico quando si sta su un palco, non fosse tra le regole auree di questo gioco della stand up. Ma tanto a lei cosa importa? Lei è Michela Giraud. 

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E invece, Michela, purtroppo o per fortuna non è l’ombelico del mondo. Che qualcuno la avverta, per cortesia. L’unico motivo per cui si parla tanto (e bene) di lei è riconducibile proprio al suo physique du rôle che, senza volerlo essere, viene considerato un inno alla body positivity, nume tutelare tra i trend Instagram oggidì e quindi legge. Poi, come dimenticarlo, è una donna. La prima donna con uno special su Netflix in proprio. Elogiarla meramente perché ha una vulva, non fa di lei una fuoriclasse della comicità. Anzi, tende a far spronfondare ancor più nella nicchia il genere tutto: essere una donna e avere uno special su Netflix non è una qualità tout court. Neanche se si appiccicano allo show titoli di testa e coda fucsia glitter. La comicità tutta e nello specifico quella al femminile merita qualcosa di più rispetto a questi fragorosi applausi non per i testi, le battute, ma perché guardate che lingua lunga ha questa “ragazza tosta”. 

Siamo senza dubbio certi che arriverà un riscatto per la comicità al femminile. Ovvero quando si riderà, e pure di gusto, per quello che viene detto sul palco e non per via di chi lo dice, se femmina, maschio o triceratopo non binario. Quel giorno, quel riscatto, semplicemente, non è oggi. Ad maiora. 

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