Quando hai un bisnonno a cui hanno intitolato lo stadio di Torre Annunziata, un nonno presidente della Corte dei Conti, un altro ammiraglio (come tuo padre) e uno zio che ha doppiato in barca a vela Capo Horn, potresti forse sentire una leggera ansia da prestazione in quel delicato momento in cui, ancora adolescente, inizi timidamente a muovere i primi passi lungo un sentiero che potrebbe trasformarsi nella strada asfaltata a doppia corsia della tua professione. E quando hai un bisnonno a cui hanno intitolato lo stadio di Torre Annunziata, un nonno presidente della Corte dei Conti eccetera eccetera, ci vuole coraggio per decidere di imboccare la strada della stand-up comedy. Ancora più coraggio se sei in Italia. Aggiungiamoci che sei donna e giungiamo alla conclusione che ci vogliono proprio due palle quadrate. Michela Giraud ce le ha. 33 anni, gli ultimi cinque li ha impiegati a consolidare il suo ruolo come figura di primo piano del pantheon in espansione della “new wave” comica italiana. Da un canale YouTube con milioni di views (Educazione Cinica) alla tv generalista (Colorado, La Tv delle Ragazze di Serena Dandini, Quelli Che il Calcio, il Posto Giusto) Michela si è fatta le ossa sui palchi di tutta Italia recitando monologhi personali e irresistibili, che gli sono valsi la conduzione di uno show tutto suo: quel “CCN, Comedy Central News” – che tornerà in onda con la seconda stagione in primavera – che per quattro edizioni era stato la casa di Saverio Raimondo (con cui per Mownucci ho fatto quattro chiacchiere qui). Nonostante la sua fitta rete di impegni – sarà anche tra le protagoniste di Lol, Chi ride è fuori, su Amazon - riusciamo finalmente a fare quattro chiacchiere in diretta su Instagram, ma lei aspetta a collegarsi per godersi il modo goffissimo in cui affronto i terribili momenti iniziali di ogni livestream, quelli in cui aspetti che un pò di gente si colleghi e non sai cosa minchia dire, e a chi. Una volta entrata fornisce una delle più belle definizioni mai date di me in 45 anni di vita: “artigiano della fantozzinaggine”. Come si fa a non amarla?
Mi ricordo benissimo quando cazzeggiando su YouTube incappai in un video di Educazione Cinica. Tu interpretavi la direttrice di una scuola che a una madre che vorrebbe iscrivere suo figlio lì dice: “ce lo vogliamo levare dal cazzo il bambino eh?”. Due cose mi piacquero molto: il fatto che eri una bella ragazza che usava in modo disinvolto le parolacce ma soprattutto il fatto che guardandoti, nella mia mente, non sono mai balenati pensieri come “fa ridere per essere una donna” o “oh, finalmente una tipa che spara volgarità come un uomo”. Eri una persona che faceva ridere e basta. Il tuo sesso era totalmente ininfluente. Immagino però che tu abbia incontrato delle difficoltà nel portare al pubblico la tua comicità.
Mamma mia questa è la cosa più bella che mi abbiano mai detto Alessa’, mi eviti tutto il discorso sul femminismo che volevo farti! Ne parlavo ieri con Riccardo (il suo compagno, nda): io ho occupato un vuoto. Secondo me non c’era il diritto per una ragazza di dire le cose come le avrebbe dette un ragazzo. Io questo diritto me lo sono preso, non ci ho pensato molto. Ho sempre avuto una certa sicurezza intellettuale, di pensiero, sempre fatto quello che mi pareva. Ho ovviamente trovato degli ostacoli. Non palesi ma subdoli. Come quando facevo le serate e sentivo dire “Chiamiamo Michela, ci serve perché almeno c’è una donna”. Ennò bello, io te servo perché faccio ride'! Io ho sempre avuto bisogno di stare sul palco, un’esigenza fortissima. Così forte che quando ci vai ti dimentichi di tutte le sovrastrutture. Poi ovviamente capita quello che ci prova, quello che dice “per esser lì sarà andata a letto con questo”, ma questo capita a tantissime donne al centro dell’attenzione. Non si tratta comunque di problemi insormontabili, magari giusto un pò di fastidio nel sentire che c’è sempre qualcuno che parla alle tue spalle. Per fortuna sono cresciuta nell’alta borghesia romana, uno dei luoghi più subdoli che esistano, sono stata forgiata al Mamiani, un liceo di sinistra di un’ipocrisia straordinaria pieno di gente con la kefiah e la servitù a casa, e non sto scherzando. Quindi, per quanto sia una che ama lamentarsi (sono di Roma dopotutto), preferisco non chiamarle “difficoltà” ma banali fastidi.
Parliamo del tuo bisogno di stare sul palco…
Te lo dico sinceramente, non ce l’avrei mai fatta, non sarei qui ora se non fosse per Saverio Raimondo. Lo considero il mio mentore, gli devo tanto. Saverio mi ha permesso di stare sul palco con la sicurezza di me stessa, mi ha motivato e si è fidato di me in un momento in cui forse non l’avrebbe fatto nessuno. Io quando ho iniziato ero molto diversa da oggi: venivo dal teatro, i miei pezzi erano molto più macchinosi. Lui mi ha preso a lavorare con se a CCN, mi ha inserito all’interno della sua programmazione delle sue serate.
Ti sei laureata in storia dell’arte e poi ha preso un master in drammaturgia e sceneggiatura. Quando hai capito che quella della comedy sarebbe stata la tua strada?
Questo lavoro è l’amore della mia vita. Sapevo che scegliere questa strada avrebbe sconvolto tutto quello che ero e quindi ho tardato molto a fare questa cosa. È come avere appuntamento con quello che diventerà tua moglie o tuo marito: cerchi di procrastinare, di dribblarlo, di sfuggire al tuo destino. Quindi io ho fatto varie cose prima: chitarra, danza, finché a un certo punto accade che sono a Bilbao in un viaggio d’istruzione organizzato da La Sapienza (avevo una borsa di studio), e la professoressa mi convince a raccontare una storiella divertente ai miei compagni di corso, ovviamente autobiografica, cioè di quella volta che ottenni due biglietti per andare a vedere Tiziano Ferro ma quando andai al botteghino vidi che li avevano riservati sotto il nominativo di “Vitela Giraldi”. Io lo raccontavo in modo molto divertente. Uno dei miei compagni, Simone, terminato il racconto, mi fa: “scusa ma perché non fai teatro?”. Io tergiverso, passa l’estate e quando finalmente mi iscrivo a teatro: BAM! Amore a prima vista. La mia vita cambia. Mi laureo e come riflesso condizionato provo a fare il dottorato di ricerca. All’esame capisco che qualcuno deve vincerlo sto dottorato, ma che quel qualcuno, chiaramente, non sono io. E così decido di fare l’attrice.
E in famiglia tutto bene?
No. Qualche giorno fa mio padre è venuto a casa mia dicendomi: io ho paura che tu soffrirai a fare questo lavoro così incerto, così poco sicuro. Io allora ho preso il premio della satira che ho vinto a Forte dei Marmi e gli ho detto: papà, io devo fare questo. E lui ha pianto. I miei sono fieri di me ma sono preoccupati, ovviamente, sognano per me il posto fisso. Ma sono di un’altra generazione.
Qual è la cosa più sbagliata che hanno detto sul tuo conto?
Che sono una stronza e che sono cattiva. Lo sono come in parte lo siamo tutti. Ovviamente le mie cose che hanno avuto più successo sono quelle che mettono in luce alcuni miei aspetti più cinici, più ferini. Ovviamente sono una comica: il vestito comico che indosso mi appartiene, sono io. Però sono un’attrice. Piuttosto, se mi devo riconoscere un difetto direi che sono permalosa: non mi si può dire niente, diciamo che sono l’ultima che avrebbe dovuto fare questo lavoro. Sono permalosa e credulona.
Una dei primi pezzi tuoi che ho visto e che ho trovato irresistibile è quello sugli amici che si fanno di cocaina.
Sai che io non ho mai fatto uso di droghe? Diversi miei amici negli anni mi hanno offerto della cocaina ma senza risultato. La cosa che mi indispone è che dietro la cocaina c’è spesso una sorta di sacralità: tanta gente che ne fa uso si comporta come se fosse uno sciamano, un maudit, hai presente no quelli che dicono: “ahò io sono un pò pazzo, ho avuto una vita difficile”. A questi io vorrei dire: a zì non stai a fa gnente, stai a pippà. La gente lo fa da un secolo. Se proprio devi, fallo e non ci rompere i coglioni! Io non lo voglio fare ma non ti giudico, non mi sento meglio di voi. A nessuno frega niente.
Di recente hai anche scritto un libro, “Tea. Storia (quasi) vera della prima messia” (HarperCollins, 2020).
Si, non mi sono fatta mancare nulla. L’ho scritto con Daniela delle Foglie, Laura Grimaldi e Serena Tateo ed è stato come far rinascere una parte di me. Scrivere narrativa è come srotolare una parte di me, come stendere la pasta. Mi placa. E’ stato un processo che mi ha elevato, è stato bellissimo.
E quando scrivi i tuoi pezzi?
In genere avviene che mentre mi faccio la doccia, prima di andare a letto, mi venga in mente uno spunto: allora in genere me lo appunto su un foglio o in una nota del telefono. A ogni spunto da un numero, poi provo a mettere in ordine i numeri fra di loro e costruire una struttura, trasformando alcune frasi in battute.
Cosa ne pensi dei cinepanettoni?
Guarda, quando a Settembre del 2020 mi hanno premiato al Premio della Satira Forte dei Marmi hanno dato anche un premio a Christian De Sica, e la motivazione con cui gliel’hanno dato è assolutamente calzante, secondo me: è riuscito nella sua lunga carriera, come nessun altro, a raccontare quell’italiano marcio, vile, ipocrita che tutti noi abbiamo incontrato almeno una volta nella vita. E in ogni caso io credo che ogni cosa sia fatta per generarne un’altra: senza il Bagaglino, la tv di Serena Dandini non sarebbe mai esistita. Credo che tutte le persone che snobbano i cinepanettoni siano gli stessi che poi sghignazzano guardando la scena in cui Christian dice: “Machetteridi? Hai rifatto i denti?”. C’è tanto snobismo e lo snobismo uccide la comicità. Noi siamo dei pagliacci. Se avessi voluto giudicare qualcosa o qualcuno nella mia vita avrei fatto il magistrato come voleva mio nonno, al quale in punto di morte dissi che ero magistrato per farlo morire sereno mentre invece ero laureata in storia dell’arte. Credo non ci sia niente di peggio di un comico che si prende sul serio. Pensa che noia, pensa che palle! In Italia ci sono anche altri problemi: la condanna verso il successo, il fatto di essere definiti quasi solo da certe scelte che facciamo… che palle!
Mi hai fatto venire in mente uno dei miti assoluti della musica, David Bowie. Tra le mille cose fatte in una carriera stellare c’è anche un western per la regia di Giovanni Veronesi dove recita a fianco di Harvey Keitel, Pieraccioni e Alessia Marcuzzi. Il senso è che forse non dobbiamo pensare troppo alle scelte che facciamo, bisogna farle e basta.
È vero! “Il Mio West”! Ognuno deve agire in piena libertà secondo i propri principi e il proprio ethos. Meno snobismo e meno ipocrisia.