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Lettera a Venezia, una puttana sul mare da 1.600 anni

  • di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

25 marzo 2021

Lettera a Venezia, una puttana sul mare da 1.600 anni
Venezia è la vita che muore, la bellezza che è troppa. Venezia è meglio lasciare la pagina bianca, perché è impossibile riempirla con lei. È una puttana, Venezia. Che più fa l'amore e più diventa puttana. Lo sa chi ci abita, lo vede chi la visita. Lettera d'amore da chi è nato 28 anni fa proprio qui, nello stesso giorno della sua città

di Cosimo Curatola Cosimo Curatola

Venezia è l’unica forma di patriottismo che io conosca. Venezia è meglio lasciare la pagina bianca, perché riempirla è troppo difficile. Pretende che tu la conosca per farsi capire, non è mai stata democratica.

È già morta, ma da quanto tempo? Forse da quando l’hanno comprata i cinesi, o da quando la gente ha smesso di abitarci in cambio di una vita normale. Qualcuno dà la colpa a Napoleone, qualcun altro a Colombo e alle sue tre caravelle. Per Guccini, comunque, era già morta negli anni Ottanta. Forse allora è sempre stata morta, o magari morirà domani. È una città in costante equilibrio, che regge le sue fondamenta su palafitte affondate in un terreno limaccioso.

Venezia è rara, perché non penseresti che qualcosa di antico possa invecchiare. Invece perde i gatti dai tetti come fossero denti in bocca. Si riempie di chiazze dov’era più bella, chiazze con in mano un selfie stick e un tramezzino tonno e uova. E si ripete, come un malato d’Alzheimer, dando sempre la stessa risposta. Trecento case con lo stesso padrone, trecento negozi con lo stesso portacarte.

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Gianni Berengo Gardin, Mostri a Venezia, 2013, courtesy of Fondazione Forma, Milano

Venezia è innamorarsi di una puttana. Una puttana che più viene scopata e più si imputtanisce. La vedi così bella e ricca che ti chiedi come abbia fatto, tra tutto, a vendersi senza poesia né mistero. Enormi navi da crociera come grossi cazzi pieni di piccole teste entrano per violentarla, a volte a turno e altre insieme. Stanno un’ora, pagano bene e se ne vanno. Venezia, amici miei, è più bella di notte. Perché capita che ti regali un momento intimo, la folle idea che siate voi due da soli.

Ma come può essere morta, lei? Sono due città, Venezia, perché non basta una vita a piedi per conoscere le sue strade d’acqua. L’acqua sale per sei ore, poi scende per altre sei. Segue la luna e la città respira. Il canale, il rio, la fondamenta. Il campiello, la calle, la corte. Ha le sue parole Venezia, ci sono una sola piazza ed una sola via. C’è una città viva e una città morta.

I veneziani sanno essere sboccati anche quando commentano una coppia di delfini nel bacino di San Marco. Ma a loro la città perdona tutto. C’è chi vuole chiudere il mercato del pesce, quello in cui si perdeva Ernest Hemingway, perché alcuni turisti lamentano il cattivo odore. L’odore, ecco, quello è certamente vivo. Quello delle alghe che macerano al sole, degli spruzzi d’acqua che si alzano da una barca, dei masegni che si asciugano dopo la pioggia.

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Ernest Hemingway al mercato di Rialto, Campo de le Beccarie..

Io la detesto, Venezia. Provo sempre a scapparle e lei mi riprende, anche nel giro di anni, come fosse eroina. Lo ha fatto mentre vagavo per Sydney e ho sentito l’odore dell’acqua del porto, così simile a quello dei canali d’estate. Uno schiaffo. Torna a casa, coglione. Poi di nuovo, quando ho scoperto che sarei diventato padre. A vent’anni, quando vuoi fare dell’altro, quando ero altrove. Sono tornato nella casa in cui sono cresciuto, vuota e odiata dall’intera famiglia me compreso, perché non c’erano altre scelte. Mia figlia è nata a Venezia. E di nuovo, nell’ennesima ripetizione, me ne sono andato convinto di non tornare. Eccomi invece, in una casa diversa però, che scrivo guardando la calle.

Qui ho degli amici preziosi, innamorati sofferenti come me. La conosciamo la nostra puttana che apre le gambe ai turisti. La amiamo tutti. E detestiamo il turista, merdoso, godiamo a vederlo mangiare una pizza surgelata per poi pagarla troppo. Li odiamo per aver riempito lo zaino di stronzate prese in un negozio dove prima ce n’era un altro, più umano. Odiamo l’amministrazione che munge la città come un magnaccia.

Ma ci vogliamo bene tra di noi, come fossimo sopravvissuti ad un disastro aereo. A Venezia la tabaccaia ti chiama amore, gli amici ti chiamano amore. Anche la vicina di casa, vedova novantenne, ti chiama amore. Incontri le persone per strada, ti fermi per fare due chiacchiere. Si esce nel tardo pomeriggio, si va a bere in Fondamenta degli Ormesini o nella zona dei Frari, perché abbiamo un luogo per ogni lato dell’acqua che è il Canal Grande. Poi magari ci si ferma a cenare, in un flusso di incertezza che sveglia la vita. Puoi bere il tuo spritz Campari e andare a casa, puoi berne quattro e tornare la notte. C’è chi ha la barca per raggiungere una delle tante isole sparse nella Laguna, c’è il Morion. C’è chi riempie le ceste per chi ha bisogno. Di cibo, di pannolini, di profilattici. C’è un senzatetto davanti al Disney Store augura buon natale alle famiglie bestemmiando in rima. O almeno c’era. Nonostante tutto, a Venezia c’è un sacco di vita.

Venezia la maledici quando traslochi, quando devi comprare la lavatrice, quando ti serve una caffettiera. Quando cerchi una casa in affitto, o più banalmente un ristorante in cui andare a cena. Venezia è come la ballata dell’amore cieco, la perdoni anche se ti vuole ammazzare.

La perdoni sempre.

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Campo San Giacomo, Sestiere Santa Croce.

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