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La città dei vivi di Nicola Lagioia
è il libro più potente del 2020

  • di Giorgetta Pipitone Giorgetta Pipitone

22 dicembre 2020

La città dei vivi di Nicola Lagioia è il libro più potente del 2020
Parla dell’omicidio nel 2016 del 23enne Luca Varani, seviziato e ucciso da Manuel Foffo e Marco Prato, non ancora 30enni. L’autore non si limita alla cronaca, ma ci fa entrare nelle sue stesse ossessioni

di Giorgetta Pipitone Giorgetta Pipitone

La città dei vivi di Nicola Lagioia è probabilmente il libro più potente del 2020.

Ti colpisce forte alla bocca dello stomaco e ti lascia stordito per giorni.

465 pagine che si insinuano sottopelle e ti scorrono dentro risvegliando paure ataviche e nascoste che non pensavi neanche di avere.

La storia la conosciamo tutti. 

Nel 2016 il ventitreenne Luca Varani viene seviziato e ucciso da Manuel Foffo e Marco Prato.

Un omicidio spietato, inspiegabile, di quelli che ti fanno sentire male persino a guardarti allo specchio nella remota possibilità di ritrovarsi simili a chi è capace di tanto orrore.

Il palcoscenico è Roma, una città stanca, disordinata e al limite del collasso.

In quell'anno era stata commissariata per l’indagine giudiziaria “Mondo di mezzo”, lo scandalo aveva coinvolto un numero considerevole di politici e uomini di potere, così la città eterna si era ritrovata senza un sindaco da incolpare ma con due Papi ancora in vita.

Era l’anno del Giubileo straordinario della Misericordia, i turisti si riversavano nelle strade scomposte, il caos era totale, i rifiuti ricoprivano ogni superficie, i monumenti si stagliavano alti sopra cumuli di spazzatura, "per strada i topi. E i gabbiani mangiavano i topi".

Lagioia, premio strega 2015, descrive lo stato di abbandono in cui versava Roma non come semplice constatazione di fatti contingenti e volubili ma come una condizione ormai cronica e immutabile.

Una città ormai finita, allo stremo delle forze ma non per questo mera cornice degli eventi ma parte attiva nel susseguirsi delle vicende umane.

Come se la città intera in tutte le sue storture e incoerenze facesse da cassa di risonanza a frustrazioni, paure e sentimenti di morte accumulati per secoli e confluiti quel fatidico giorno di marzo in quell’appartamento al decimo piano della Collatina.

“Una città dei morti” che trasuda ormai da tempo presentimenti da fine del mondo dove però paradossalmente la vita scorre ancora con più forza.

In fondo "sono le città dei morti le uniche dove la vita abbia ancora un senso".

Lo stesso Nicola Lagioia narra il suo rapporto di odio-amore con Roma che lo spinge a trasferirsi a Torino ma a ritornare dopo poco più di un anno.

Una città che ti porta all’esasperazione ma che è impossibile da lasciare.

Questo libro non è uno sterile reportage da cronaca nera, non si limita a riportare documenti, testimonianze e referti in ordine cronologico. Lagioia è ossessionato da questa storia, si immerge completamente nelle acque scure della miseria umana per ricostruire non solo i fatti ma anche i contorti meccanismi mentali che in qualche modo hanno portato al compiersi di questa tragedia.

La descrizione dei protagonisti è puntuale e privo di moralismi, il profilo psicologico prende forma in modo naturale senza forzature.

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La città dei vivi

La vittima, il giovane Luca Varani ritrova la sua dimensione terrena, con tutte le sue complessità e le sue contraddizioni.

Non più soltanto il bravo ragazzo ingiustamente assassinato né l’uomo dalla doppia vita e dai trascorsi torbidi che un po’ se l’è cercata. Nicola Lagioia riesce nell’arduo compito di spogliare i colpevoli, Manuel Foffo e Marco Prato dalle vesti di mostri che, in queste situazioni, la società impone al solo scopo di disumanizzarli e in qualche modo poterne prendere le distanze.

Una volta che il velo della mostruosità cade allora è fatta: i due ragazzi riacquistano la forma umana, il divario tra noi e loro si annulla e li riconosciamo in tutta la loro desolante normalità.

Cosa ci differenzia in fondo dai due responsabili? Anche noi con tutte le nostre contraddizioni, frustrazioni e paure ci siamo trovati almeno una volta nella vita a fiancheggiare l’oscurità, l’unica differenza è che loro hanno, più o meno consapevolmente, deciso di attraversare la linea di confine e immergersi nell’ombra. Cosi in tutte e sei le parti del libro si sente sempre forte la sensazione di camminare sull’argine di un fiume in piena, e che un passo falso potrebbe fare la differenza tra una vita “normale” e una vita dannata.

Da una parte la vittima, dall’altra i due responsabili materiali, in mezzo tutti gli altri, anche loro in qualche modo responsabili e vittime, in un complesso gioco di equilibri persi e tensioni.

Nicola Lagioia, come Virgilio ci accompagna in un viaggio infernale alla scoperta degli orrori e delle storture della natura umana.

Un percorso catartico che, come la tragedia per Aristotele ci purifica, ci libera dai nostri demoni interiori e ci aiuta a proseguire le nostre esistenze forse con un pizzico di consapevolezza in più.

 

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