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Mownucci: Saverio Raimondo,
il satiro parlante che resta in pigiama

  • di Alessandro Mannucci Alessandro Mannucci

19 dicembre 2020

Mownucci: Saverio Raimondo, il satiro parlante che resta in pigiama
L'intervista all'indomani di Pigiama Rave (il lunedì alle 23,15 su Rai4), un late night show che sposa la didattica a distanza figlia del lockdown, dove sono tutti in pigiama e le scenografie sono gli appartamenti degli ospiti

di Alessandro Mannucci Alessandro Mannucci

Tra gli esponenti della nuova generazione di stand up comedian italiani un posto di particolare rilievo spetta a Saverio Raimondo. La sua gavetta inizia come autore nientemeno che per Serena Dandini e prosegue, stavolta come volto comico, per Sabina Guzzanti (collaborerà poi anche con gli altri fratelli Guzzanti, Caterina e Corrado). Diviene poi uno dei volti più noti di Comedy Central, conducendo per 5 stagioni Comedy Central News, telegiornale satirico sul vago modello di Last Week Tonight con John Oliver (nell’ultima stagione ha passato il testimone a Michela Giraud). Nel frattempo, i suoi interventi impreziosiscono tanti programmi televisivi di informazione, da La Gabbia a Porta a Porta. Del resto, Raimondo non fa mistero della propria ispirazione: la sua satira pungente muove i passi dalla grande tradizione americana che trova nella formula del “late night” il suo habitat naturale. Primo comico italiano di questa new wave ad essere approdato con un suo spettacolo (Il Satiro Parlante) su Netflix, Raimondo si contraddistingue per uno stile che privilegia l’analisi del grottesco quotidiano a scapito della battuta secca: come scrive Aldo Grasso “non fa parodie, non ammicca, non si spersonalizza nella creazione di personaggi. È solo Raimondo, Saverio Raimondo: la sua ironia sa sempre trasformarsi in risorsa culturale, senza darlo a vedere”. Anche visivamente sembra diverso da tanti suoi colleghi in felpa e jeans: le sue dimensioni da utilitaria sono sempre contenute in completi eleganti e mocassini lucidi e il suo timbro vocale da cartoon on steroids lo renderebbe perfetto per interpretare il Joker in un remake romano della pluripremiata pellicola di Todd Phillips.

Lo contattiamo all’indomani della sua nuova avventura, Pigiama Rave (lunedì alle 23,15 su Rai4), un late night show che sposa la didattica a distanza figlia del lockdown, talmente late che sono tutti (lui e gli ospiti) in pigiama, e talmente figlia del lockdown che le scenografie sono gli appartamenti degli interessati.

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saverio Raimondo in Pigiama Rave

Saverio, partiamo dalla recensione di Grasso sul Corriere di Pigiama Rave. Di solito è abbastanza temibile ma nel tuo caso ha speso parole d’elogio.

Forse è come un messaggio di Zodiac, il serial killer dello zodiaco: forse è una stroncatura criptata!

Non credo: nello stessa recensione cita Steve Colbert, Jon Stewart e John Oliver.

Ma infatti il mio primo pensiero dopo aver letto questa recensione è stato: io mi ritiro. Che tra l’altro è il mio vero sogno bagnato professionale. Non è condurre Sanremo, è ritirarmi. Ma ti faccio una confessione in esclusiva, quindi scrivila: il mio senso del ritiro secondo me è molto legato alla mia educazione cattolica… per me la croce (si ferma e irrompe in una risata luciferina, nda) è simbolo di sollievo. Perché Cristo su quella croce cosa fa? Dice “tutto è compiuto”, e spira. Ecco, io vorrei tanto poter provare nella vita questa sensazione qui: ho fatto, sono a posto. Perché è una sensazione che professionalmente non provo mai: mi sembra sempre che mi manchi un pezzo, che non sia mai abbastanza, che si potesse fare meglio. E l’ansia che genera tutto questo, è quella che mi fa andare avanti di progetto in progetto ma è anche una tortura.

E pensa che non hai ancora avuto figli! 

E non ne voglio! Dalla mia peraltro ho un varicocele che non ho mai operato e che dovrebbe riuscire, spero, a far fallire qualunque tentativo.

Guarda te lo auguro di tutto cuore! È bellissimo essere padri eh, però insomma…

(Saverio ride, effettivamente sembra la risata di un giocattolo Mattel, un cattivo nemico di Big Jim, che rideva ogni volta che tiravi il suo cordino, nda)

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Saverio Raimondo

Ma torniamo a noi. Hai parlato di ansia. Ne hai scritto anche un libro (Stiamo Calmi, edizioni Feltrinelli, 2018). L’ansia è un ingrediente importante per il tuo lavoro?

L’ansia è talmente congenita per me, mi arriva da mia madre, che non so come starei senza. Quando sono rilassato mi preoccupo. È un paradosso ma è così. Sembra quasi una battuta ma quando dico che questa pandemia non mi ha scioccato così tanto tutto sommato è perché da ansioso io certe catastrofi le immagino, anzi, nella scala delle mie catastrofi immaginarie da 1 a 10 questo è un 4. Quindi tutto sommato non è così grave. Muoiono tutti? Certo che muoiono tutti, è una vita che lo dico!

Esiste davvero una “nuova scena” di comici in Italia? E in cosa si differenzia da quella vecchia, secondo te?

Direi che esiste e mancava da un bel po’. L’ultima “scena” era quella degli anni ’90 e quindi noi abbiamo uno iato - senti che parole che uso! - di quasi 20 anni in mezzo. Un buco che un po’ si è colmato con una nuova generazione di comici. La gran parte, non tutti, fa stand up comedy. Quindi possiamo dire che sì, la stand-up comedy è arrivata negli ultimi anni in Italia. La differenza rispetto ai comici passati è che salendo sul palco, senza maschere, senza interpretare personaggi, lo stand up comedian col proprio nome e la propria faccia si “sputtana”: una cosa tendenzialmente nuova nel nostro paese, figlia anche di una aumentata autoreferenzialità. Una cosa che rende l’idea e che dico sempre è che “la stand up comedy sta alla comicità come il selfie sta alla fotografia”. La comicità prima scopriva le differenze regionali, poi quelle socioeconomiche, poi quelle sessuali. Ma Benigni non ci ha mai parlato di Benigni, era una maschera. Grillo non ci ha mai parlato di Grillo, Luttazzi non ci ha mai parlato di Luttazzi. Non è che sia una differenza così radicale eh, però lo stand up comedian attinge sostanzialmente da se stesso. Si racconta e si sputtana. Non tutti sono stand up comedians, pensa a Valerio Lundini, nel filone Frassica, Lillo & Greg… ma fanno tutti parte della scena nuova.

Ricky Gervais afferma che si può ridere di tutto e che ridere di cose brutte non fa necessariamente di noi persone brutte. In Italia di cosa si può ridere e di cosa no secondo te?

Sicuramente in Italia come altrove esiste un sentire comune che considera lecite certe cose e illecite altre. Ma negli ultimi tempi un criterio univoco non mi sembra esista più: ciascuno ha il proprio, è come la morale. E se uno deve tener conto della morale di ciascuno, non ne esce vivo. Quindi la mia risposta è: anche sticazzi! Cioè, se uno si offende, alla fine mica succede niente no? Sai quante volte non mi piace una cosa? Ebbene io volto pagina e non ci penso più. Un tipico retaggio culturale italiano, anche se mi sembra si stia diffondendo anche nei paesi anglosassoni, è il fatto di pensare che se io sto ridendo di una cosa, quella cosa io la stia sminuendo. Ma non è vero! Ridere di qualcosa significa innanzitutto affrontarla e riconoscerla. L’umorismo è uno dei codici espressivi che abbiamo per comprendere e analizzare il mondo.

E questo mi porta a una domanda originalissima che nessuno ti ha mai fatto. Qual è il ruolo della satira?

Ammesso che abbia un ruolo, è un ruolo socialmente inutile. Non ha mai cambiato i destini dell’umanità. Non ha portato la pace nel mondo, non ha impedito l’elezione di Trump. La satira fa divertire, in maniera piuttosto piccante, nel senso che la battuta satirica può risultare irritante in chi ha già il colon irritato. La satira porta la risata dove non c’è, ma è tutto qui. È intrattenimento.

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Saverio Raimondo

Anche io come tanti rimasi male quando non si concretizzò la tua partecipazione al Dopofestival del 2019. È passato solo un anno ma la RAI mi sembra già cambiata da allora…

Ma guarda con la mia esclusione Sanremo c’entrava. Io avrei dovuto realizzare un progetto per RaiPlay che si sarebbe dovuto chiamare “Una Notte A Rai Uno” e consisteva in una serie di contenuti audiovisivi non lineari e iconoclasti sul mondo di Rai Uno. Dopo sette mesi di lavoro mi fecero: aspettiamo Sanremo e partiamo. Nel giro di sette giorni questa cosa cessò di esistere. Mi dissero che “non c’era il clima adatto”. Che voleva dire? Io avevo controllato il meteo, dava bel tempo! In una classica dinamica da scaricabarile nessuno si assunse la responsabilità della scelta, io sospetto che non sia partita da nessuno: tizio ha sentito caio che ha sentito Sempronio che forse è meglio evitare… l’essere trattato in questo modo, pur essendo l’ultimo dei cretini, anche se con questa cretineria pago le tasse e ci vivo, mi fece irritare non poco. Ma ormai l’episodio è archiviato. Per quanto riguarda i programmi in RAI di Ferrario, Lundini e il mio, penso che per quanto possano esserci, non dico resistenze, ma disattenzioni nei confronti di certi fenomeni, è inevitabile che se uno di questi fenomeni resiste e persiste (io e Edoardo alla fine sono 10 anni che facciamo roba, quindi se vuoi è già tardi!) la Rai ne prenda atto. La Rai, ed è questo il suo bello, è come una grande casa piena di infiltrazioni che non riesce ad essere mai realmente impermeabile, quindi dai e dai si comincia a formare una piccola macchia di muffa. Insomma, stiamo ammuffendo la Rai!

Pigiama Rave è lì a dimostrarlo. Da dove nasce?

Dopo 5 anni davanti alla scrivania di un late night su Comedy Central volevo qualcosa che mi rispecchiasse ma fosse radicalmente diverso: l’ho trovato in questa dimensione amatoriale e “sciupata”, la stessa dei social durante il lockdown. Ho preso quel linguaggio disarticolato e ho cercato di strutturarlo facendone un programma. Ma Pigiama Rave è quasi una critica alle dirette Instagram: le dirette durano tanto, i tempi sono dilatati mentre noi siamo veloci, abbiamo una scaletta fitta e molto serrata, maciniamo ospiti. E poi, nel mio piccolissimo, volevo dare uno scossone alla tv italia classica: l’idea che debba avere un impianto teatrale, un pubblico in studio, ancora oggi mi fa venire da ridere. Io quando vedo “le quinte” impazzisco. Ma ancora?!?! Scherziamo?!?! (Risate)

Quanto ti piace improvvisare e quanto invece scrivere?

L’improvvisazione è figlia della scrittura. Una buona improvvisazione può nascere solo se tu hai scritto bene il programma. Per “bene” intendo la capacità di rendere l’imprevisto un contenuto. Una scrittura cioè jazzistica, che lascia spazio a imprevisti e divagazione. L’improvvisazione è una forma di scrittura.

Cos’è che ti fa più paura? E un’ambizione che hai?

La paura credo sia la più terra terra: quella che alla fine non mi chiamino più, che io finisca i soldi e stia in fila alla Caritas. Perché noi tutto questo, non dimentichiamocelo, lo facciamo per il bonifico. L’ambizione? Allora di recente ho girato un film (è un film che deve ancora uscire) nel quale io interpreto un cattivo e picchio una persona (hanno dovuto spiegarmi come si fa perché io non ho mai picchiato nessuno), inseguo della gente, faccio varie cose ma non scopo. Ecco, la mia ambizione è girare una scena di sesso, perché nella vita reale ho scopato, ma nella fiction no, e vorrei scoprire com’è.

 

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