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"LOL: chi ride è fuori"
non parla a chi non lo capisce

  • di Micol Ronchi Micol Ronchi

8 aprile 2021

"LOL: chi ride è fuori" non parla a chi non lo capisce
Non è un format comico, ma è nato per divertire, l'obiettivo dei suoi protagonisti erano i propri colleghi e non il pubblico a casa, e lo strumento scelto è quello dell'improvvisazione, un registro non adatto a tutti. LOL è il programma dell'anno (fino ad ora), ma in pochi sembrano aver capito davvero di che si tratti. Compreso Aldo Grasso (che però può dire tutto)

di Micol Ronchi Micol Ronchi

"LOL: Chi ride è fuori” non è solo il titolo dell’ultima fortunatissima trasmissione distribuita on demand da Amazon Prime Video Italia, ma anche uno dei trending topic che più abbiamo visto spopolare, su Twitter, negli ultimi giorni.

Si è scritto e detto di tutto su questo format (nato in Giappone) ma un aspetto fondamentale sul quale nessuno pare essersi soffermato è che LOL non è esattamente un programma comico, quanto piuttosto un programma creato per divertire - e no, non è la stessa cosa. Non sto cercando di sminuire il lavoro di nessuno, chiariamoci, ma quello che abbiamo abbiamo visto è un momento da camerino, quello che succede normalmente nel dietro le quinte di uno show di cabaret in cui i protagonisti sono più o meno affiatati tra di loro. "Esempio di complicità” potrebbe essere uno dei modi migliori per descrivere questo prodotto, ma anche "esempio di editing fantastico” perché mi ha ricordato quasi una versione più rilassata e meno incazzosa di Masterchef: in effetti un Pintus à la Cannavacciuolo nel programma c’è, quindi il collegamento potrei non averlo visto solo io.

Andando oltre, quello che abbiamo visto sono dieci persone che nella vita fanno ridere per lavoro impegnate nel tentativo di divertirsi a vicenda e questo è un punto fondamentale sul quale soffermarsi: le battute erano fatte per far ridere gli altri comici presenti, non per far ridere il pubblico a casa. Noi abbiamo riso soprattutto per le loro facce, per le loro reazioni e per qualche stacchetto comico già strutturato (vedi Luca Ravenna e il suo monologo). Per i lamentoni da bar (ah! in questo momento mi mancano pure loro) e da tastiera (loro invece no, vorresti che mi mancassero, perché vorrebbe dire che almeno per un po' si sarebbero levati d...i torno), per quelli che borbottano “a me non ha fatto ridere, non c'erano battute esilaranti” vorrei ricordare che molto è lasciato all'improvvisazione e chi ha un minimo di confidenza col mondo del teatro e della stand up comedy sa che l’improvvisazione è estremamente difficile e che a tratti può risultare forzata e stridente. Inoltre: l’improvvisazione non è per tutti, motivo per cui probabilmente questo show, alla fine della fiera, non risulta adatto a tutti i palati. Com’è giusto che sia in realtà. Per chi è abituato a una comicità molto strutturata e televisiva e non ha la benché minima confidenza coi format comici che vengono dai palcoscenici non mainstream o dal web, “LOL” è uno show che parla in russo con accento neozelandese (lo so: state provando a immaginarlo - auguri!).

Continuando a riflettere sul programma e su come sia stato accolto, c'è da soffermarsi su come Aldo Grasso abbia criticato lo spettacolo sottolineando alcune cose che mi hanno lasciato un po’ perplessa, come il fatto di non aver riso perché “non conosce molti dei partecipanti” (“e quindi?” aggiungo sonoramente io) o come il definire Lillo, un uomo di sessant’anni, una specie di “giovinastro”, commento che mi è risultato quasi inquietante. A onor del vero, il noto critico è stato piuttosto morbido nella sua analisi: chi segue con costanza i suoi editoriali sa che può essere molto più crudele e lapidario di così. Alla fine si è limitato a una piccola valutazione un po’ severa giusto per poter dire “anche questa è fatta”, senza, secondo me almeno, prestarci manco troppa attenzione. Le sue parole però hanno scatenato la reazione piccata di Matano e Fedez, personaggi che normalmente stimo, ma che mi hanno fatta storcere il naso con questa piccola caduta di stile, avendo trattato il Grasso pubblicamente come un nonnetto al quale dedicare giusto un po’ di comprensione e di sufficienza: “Vabbè è vecchio. Cita Bramieri. Probabilmente penserà che un hashtag sia un giocatore del Chelsea”. Ecco questo mi ha fatto ridere molto poco lo ammetto. C’è anche da dire che se Aldo Grasso, uno dei critici televisivi più importanti d'Italia, ti degna di uno sguardo, una finta reazione sdegnata per mascherare un certo grado di compiacimento in effetti ci può stare: si mettono visualizzazioni nel fienile dell'engagement, che al tempo dell'algoritmo non fanno mai male, mentre si gongola lontani dalle luci delle telecamere.

A proposito di Fedez, molti hanno criticato la sua performance. Pure Grasso. 

Io ho invece sempre pensato che questo ragazzo, pur se nato cantante, morirà conduttore: i suoi modi sono piacevoli, la sua presenza in video continua a convincermi e il suo ruolo, così come quello della Maionchi, è sì marginale, ma retto molto dignitosamente. Al centro c’è il cast, questi dieci elementi più o meno esplosivi, che, miscelati insieme come in uno dei cocktail che Pintus prepara durante il programma, ti fanno l’effetto di un mojito a stomaco vuoto: ti svuotano la testa e fanno sghignazzare scomposta sul divano. E quando qualcuno riesce a farmi scomporre, io ringrazio sempre.

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