La Maturità nei ricordi di chi l'ha fatta ha sempre il sapore della malinconia. Delle cose che sono passate, che appartengono a un tempo a cui non vorresti fare ritorno (perché dai, chi mai davvero vorrebbe rifare la Maturità?), ma che allo stesso modo fanno parte di quel qualcosa che con un po' di tristezza non ci appartiene più: le ore da dedicare alla lettura, all'imparare, le estati lunghissime, il continuo confronto con gli altri, con i voti, con le valutazioni fatte di numeri e di errori.
È un esame di Stato, una prova che negli anni è stata cambiata, discussa, insultata, voluta. Ma per tutti in Italia ha preso il nome di una condizione, di una componente dell'essere, come se l'arrivare davanti a un foglio bianco, seduti per l'ultima volta al proprio posto con i gomiti su un banco rovinato, fosse un passaggio di consegne per giungere alla propria, precaria, maturità. Dal prima al dopo, da quel tempo a un altro tempo. E figlia di questa "maturità" è più di tutto la prima prova , con il terribile e temutissimo tema. Sarà perché è il primo step, sarà la paura di non essere preparati, o abbastanza profondi, o sarà semplicemente perché il confronto con il figlio vuoto - e con quello che abbiamo da dire su un argomento - assomiglia al guardarsi dentro.
Non importa che sia una terzina dantesca della Divina Commedia, un tema libero sull'immigrazione o un articolo di giornale sul terrorismo in Europa: è il foglio bianco, sempre, a farci paura. Non è questione di valutazioni, di metodi e conteggi per cercare di sopravvivere agli esami, così come non è questione di studio o conoscenze portate con fatica fino alla fine dei cinque anni.
E quest'anno i temi d'esame proposti dal Ministero per la Maturità 2023 ne sono l'esempio perfetto. Non sono argomenti, o almeno non sono solo questo, ma sono tracce per il futuro di ragazzi che a questa maturità devono ambire. Non è un voto, non è un pezzo di carta, a dire qualcosa su di loro, ma è piuttosto la capacità di leggere quello che questi grandi personaggi - scelti per i temi della prima prova - hanno detto, scritto e fatto, e provare a tirare fuori qualcosa da lì.
"Non si arriva mai a studiare Moravia, a volte neanche Quasimodo, perché proporli come traccia allora?" si legge oggi tra i commenti dei più critici dopo l'uscita dei temi di questo 2023, tra gli insulti verso un programma scolastico che consegna gli studenti nella mani del proprio destino con tante nozioni, un programma che spesso si ferma alle porte del 900, e poca capacità di analisi. Ma Gli Indifferenti di Alberto Moravia alla Maturità è uno spettacolo di bellezza e malinconia, un regalo per chi questo autore non lo conosce, per chi non ha letto - neanche a scuola - e per chi forse deciderà di farlo proprio ora.
Moravia è l'emblema di un 900 che già nella sua prima fase (il libro è edito nel 29) ha perso ogni interesse, ogni capacità di guardare oltre. Gli inetti di Svevo perdono ancora valore e si trasformano in ombre di personaggi, indifferenti - per l'appunto - a una vita borghese che gli scorre addosso senza smuoverli. Viene chiesto ai candidati, all'interno della prova, di descrivere "il mondo borghese rappresentato in modo critico da Moravia" sulla base di uno dei passaggi più rappresentativi del libro e per farlo sono chiamati a una lettura profonda della società, a qualcosa che scava oltre ciò che di Moravia possono o non possono conoscere.
Che l'autore sia l'emblema di un tempo che in qualche modo è ancora il nostro, è un processo di riconoscimento non facile, sia chiaro, soprattutto per chi, a 18 anni, si trova tra le mani una lettura ben più intricata dei lineari passaggi su cui la scuola solitamente pone l'accento. Un uomo superficialmente addormentato dalla noia borghese di cui la sua società è vittima che di sé ci regala stralci di romanticismo grazie a una delle storie d'amore più tormentate della letteratura italiana: quella tra lui ed Elsa Morante. Quando verrai sarò felice, il titolo del libro che raccoglie le loro lettere, in un gioco di silenzi e non detti che viaggia dentro 30 anni di corrispondenze scritte.
E da Moravia, in questa prima prova del 2023, si passa all'analisi del testo poetico con Alla nuova luna di Salvatore Quasimodo. Un testo che si aggancia alla storia, scritto in occasione del lancio del satellite Sputnik, e che unisce sacro e terreno, in tempi e linguaggi, temi e parole. È la contrapposizione tra progresso scientifico e rimando alla spiritualità, il centro di questa poesia, a cui i maturandi sono chiamati a girare intorno per trovare un aggancio con un tempo - il nostro - che da quel 1958 non ha mai smesso di innovare, forse smettendo di porsi quei dubbi dell’eticità a cui Quasimodo faceva tanto riferimento.
Alla scienza si resta ancorati anche per la proposta B2, con un testo tratto da Dieci cose che ho imparato, di Piero Angela. L'eredità di un uomo (è il suo ultimo libro, edito nel 2022) che è stato divulgatore e padre di intere generazioni di giovani italiani, dentro a un eterno legame con la conoscenza e con la ricerca di comprensione dell'altro, del diverso, di colui che non ci assomiglia. Perché in questo passaggio del suo testo Piero Angela, uomo di scienza e di cose terrene, parla dell'importanza fondamentale della "creatività umana nella corsa verso l'innovazione" con il tema della distruzione creativa, ossia l'uscita di scena di attività obsolete e l'ingresso di altre, con l'esempio lampante del declino di un colosso come Kodak, e l'attenzione da rivolgere quindi sempre al domani, all'altro, a quei "piccoli cervelli creativi che hanno abbattuto un colosso planetario". Perché è nell'innovazione intelligente, e in una creatività che non si bassa sui canoni, che giovanissimi menti come quelle dei maturandi possono trovare il loro spazio per agire e cambiare le regole delle cose.
Sembrano collegate da un filo rosso queste tracce della Maturità, con la proposta B3 che riparte da dove una domanda: "La storia è fatta da tutti o da pochi? Dipende da leggi universali o da alcuni individui e basta?". A porla è nel 1974 (data di pubblicazione della prima edizione del libro Intervista con la storia) una Oriana Fallaci già grande, enorme, giornalista e corrispondente di guerra. Criticata o amata, da sempre divisiva nelle sue idee, nel suo modo di raccontarle ed esporle, ma senza alcun dubbio una delle giornaliste più famose che abbiano cavalcato il mondo della carta stampata nella storia del nostro paese. Leggere quella data per chi la conosce fa emergere un'immensità di paragoni con il tempo che ha vissuto, con quello che visto e con i nomi che compaiono nel libro tra gli uomini che la Fallaci ha intervistato: Henry Kissinger, Yasser Arafat, Golda Meir, Giulio Andreotti e il grande, grandissimo amore di una vita, Alexandros Panagulis a cui dopo la sua morte dedicherà il libro Un uomo. In quel 1974 non aveva ancora fatto il massimo gesto, Oriana Fallaci, strappandosi nel 1979 dal capo lo chador davanti all'ayatollah Khomeini in segno di protesta contro la condizione delle donne in Iran, ma aveva già capito che cosa fosse per lei la storia, la guerra, la faccia di un mondo che - ci chiediamo ancora oggi - non sappiamo se sia fatto dagli individui o dalle leggi universali sopra di noi.
Me li vedo questi ragazzi di 18 e 19 anni che combattono tra i personaggi stanchi di Moravia, la luna di Quasimodo e le domande complesse, irrisolvibili di Oriana Fallaci davanti a una società che non riconoscono come loro. E capisco la loro confusione, la loro incapacità di prendere tutto e trasformarlo così come gli hanno insegnato negli anni delle scuole superiori. Ma non devono rispondere alle domande di questi grandi, vorrei dirgli, così come vorrei dire alla me stessa che la Maturità l'ha portata a casa nel 2016, neanche poi così tanti anni fa, e che a sua volta davanti a una traccia su Umberto Eco (mai studiato a scuola in quegli anni) si sentiva persa e senza mezzi di comprensione. È entrare dentro le domande, il vero segreto, non trovare a tutti i costi una risposta da consegnare tra le righe di quel foglio piegato su lunghe colonne bianche.
Perché sono tracce verso il proprio futuro, quesiti che ogni tanto andrebbero riproposti anche a chi "maturo" pensa di esserlo da molto tempo. Per il gusto di sedersi e leggere, apprendere, comprendere, dedicare del tempo a qualcosa che all'apparenza è fine a se stesso e basta. Per poi scoprire di poterlo usare anche nella vita di ogni giorno, quella dei banchieri e dei matematici, degli insegnanti e dei giornalisti.
Una piccola nota di demerito solo alla Proposta C1: Lettera aperta all'ex Ministro Bianchi sugli esami di Maturità. Egoriferita, noiosa, abbastanza inutile in un periodo storico di grandi - e più importanti - temi sui quali chiamare i giovani ad esporre il proprio senso critico. Ma forse anche questo fa parte del nostro tempo.