Pietrasanta somiglia molto alla casa di Barbie che avevo da bambina: perfetta, così finta da desiderare di diventare minuscola per poterci vivere anch’io, in mezzo a tutti quei mobili rosa che ieri, come adesso, non mi potevo permettere. Pietrasanta è come la mamma rifatta di Regina del film "Mean Girls": così finta da fare il giro e diventare così bella e ordinata che quasi viene paura a toccare anche un muro. A MOW ci sono arrivata un po’ per caso. Come capita in tanti casi ho mandato il cv e ho ricevuto la classica risposta: “oh, sei fighissima, tutto bellissimo, ma non ci interessi”. Me la metto in tasca e dentro di me penso “oh, ma vaffancu*o”. Entra a gamba tesa Moreno, con cui poi alla fine mi vedo e facciamo un colloquio surreale, perché io mi presento con la mia maglietta portafortuna di Ganni, pagata una cifra illegale a Parigi, che metto nei momenti in cui ho bisogno di una botta di cu*o, e lui sembra uno che si è appena svegliato (e probabilmente è così). Passeggiamo, parliamo, ci beviamo un caffè e comincia così questo viaggio folle, che mi porterà a Pietrasanta per tre giorni di “Paura e Delirio in Toscana”. Io e Moreno siamo complementari. Lui un punk vestito male, io una punk vestita bene (definizione che mi ha dato lui, che probabilmente metterò come bio di Instagram). Soprattutto, Moreno si fida di me. E lo dico perché mi ha dato tutti i suoi accessi, dalle PEC alla mail, fino al suo pc. Sì, ho una sorta di pc specchio di Moreno sul mio macbook. È tutto bellissimo. La privacy a noi non interessa, e va benissimo così. Moreno mi mette in mano tante cose della tua vita professionale, e io questa responsabilità me la prendo. A trent’anni voglio essere vestita bene, ma punk. Provo a sbattermene, e anche se ancora non ci riesco completamente, Pietrasanta è il posto giusto per provare a farlo. È così perfetta, carina, quasi artificiale, da rendere la mia presenza, o meglio la nostra, così folle da farmi dire: non potrei voler essere da nessun’altra parte. Arriviamo di venerdì pomeriggio, con un tempo strano. Siamo ad ottobre ma qui sembra essere appena finita l’estate. Io sono raffreddata da far caga*e, sento il corpo che si decompone lentamente. Ci ritroviamo io, Moreno, Luca e Gianni, i nostri attori e Peppe, il videomaker di MOW, nella casa che ho affittato per la nostra permanenza di tre giorni. Un appartamento bello, di quelli che ti sembra un sogno aver pagato meno di quattrocento euro. Un luogo curato ma punk, come noi, visto che il bagno è in corridoio e manco si chiude la porta. Ci sono due stanze, più un salotto sistemato per farci dormire due persone. Siamo in sei (manca Cosimo, arriverà), di cui cinque uomini. Così, mi auto assegno la camera con due letti singoli e dormo con Peppe. Scoprirò solo più tardi che il nostro videomaker, oltre a montare video della madonna semplicemente con CapCut, russa come una mietitrebbia. Me lo faccio andar bene, sarà peggio lui che russa o avere praticamente l’unica doccia disponibile in camera nostra? È tutto così imperfetto, anche in questa casa. Noi di MOW siamo arrivati a Pietrasanta per un motivo: la presentazione a Libropolis di Resistenza Intellettuale, il nuovo libro di Moreno che uscirà il 15 dicembre per NFC edizioni. Il libro lo potete già preordinare, ma ancora non esiste.
E allora, che cosa abbiamo presentato? Il libro che sarà, un’idea che già esiste ed è concreta, anche se ancora non la potete tenere in mano. Se ancora non è chiaro, siamo uno di quei gruppi male assortiti. Di quelli che fanno girare la gente in una città come questa, dove ti guardano male se hai le Hugan invece delle Hogan. Anche il tarocco fa stile. Sono andata ad una sfilata d’alta moda con delle Converse tarocche perché quelle vere ai tempi non me le potevo permettere, e ho fatto comunque bella figura. Chi ci incontra a volte si rivolge a me per dirmi “poverina, ma come fai?”. La risposta è “tanta pazienza", ma in realtà queste situazioni al limite sono le mie preferite. Tutto quello che esce fuori dall’ordinario, dal nostro tracciato preconfezionato ci spaventa. Come sono spaventosi i giovani per i vecchi, che pensano che passiamo tre quarti del nostro tempo a mettere like alle foto delle influencer, quando loro sono i primi ad avere il feed intasato di culi e tette. Il nostro gruppo male assortito è qui per presentare il libro di Moreno e vogliamo fare casino, ma come ha detto Cosimo registrando l’audio che proveremo a mandare in diffusione prima della performance ufficiale: “Non vogliamo farvi del male, vogliamo farvi resistenza intellettuale”. Anche perché, a ben guardarci, forse un po’ di paura la facciamo, e Gianni Miraglia con i suoi occhialetti e la canottiera non è esattamente uno spettacolo edificante, ma a noi piace così. Non siamo di certo qui per presentarci come sei ripuliti. Moreno ha sempre su i suoi occhiali veloci. Io ho portato una delle venti magliette bianche che lavo e riutilizzo come se non avessi altro. Cosimo è il nostro dio greco, difficile trovargli un difetto. Peppe con la felpa di MOW perché ha freddo in casa, Luca, che è il più “classico” di tutti, e Gianni, che basta guardare le foto: si commenta da solo. Siamo a Pietrasanta per realizzare delle performance che non vogliono mettere paura a nessuno, ma far riflettere. Perché sì, ci siamo disabituati a pensare, a costruire una nostra opinione personale che non sia ultra filtrata, di plastica, un po’ come questa cittadina. Non siamo più abituati a vedere persone che urlano senza prenderle per pazze. Noi abbiamo portato la nostra attitudine punk all’interno di Libropolis, che è una manifestazione figa, per intellettuali e per chi, soprattutto, vuole costruire un pensiero che vada oltre la superficie. Che vada oltre quello che ci raccontiamo per sentirci meno “freak” e più omologati, finendo per diventare invisibili. Ecco, noi non siamo per nulla invisibili.
Abbiamo scelto inizialmente il Bar Michelangelo come base, per poi spostarci al Bar Duomo, esattamente davanti. È diventato il nostro quartier generale alcolico, dove discutere della provenienza dei gin, brindare, fare il punto su cosa avremmo fatto nelle ore successive. È diventato il nostro punto di riferimento un po’ pettinato, perché saremo anche punk, ma bere bene e fare colazione ci piace, come a Moreno piace bere prima il caffè americano e subito dopo un espresso. Il “Bar Duomo” diventa improvvisamente la parola che dirò più spesso in questi tre giorni, quando al decimo “dove siete?” sentirò il desiderio di lanciare contro un muro il cellulare. Alla fine avrò sempre il telefono in mano, risponderò a decine di messaggi e telefonate, posterò storie, farò foto, scriverò a una mia cara amica la poesia che ci ha recitato “Luca il poeta”, personaggio tra il surreale e l'iperrealismo che incontriamo la prima sera. Una poesia dedicata a Benito Mussolini, che secondo lui era un cocainomane. A Pietrasanta mantengo la calma, quella di facciata che mi ha permesso in questi anni di non finire in guai (troppo) grossi. Rimango pacata, ma è solo una maschera, anche perché finisco a discutere col sindaco. E per cosa poi? Per due manifesti attaccati con lo scotch. La nostra resistenza intellettuale parte proprio da questi manifesti, che raccontano il libro di Moreno, che richiamano l’attenzione non solo alle sue parole, ma anche sulla nostra performance di sabato pomeriggio. E se sono quattro fogli attaccati in giro per la città a dare fastidio, siamo proprio messi male. Sono quasi dispiaciuta che il sindaco non abbia assistito a nessuna delle performance, ufficiali e non. Perché a Pietrasanta il nostro soldato di ventura (Luca) e l’eremita contemporaneo (Gianni) hanno portato anche una sorta di intrattenimento, gratuito. Hanno risvegliato la piazza principale, animato le vie, attirato la curiosità di chi faceva aperitivo con lo spritz annacquato e i biscotti di dieci giorni fa. C’è chi ha riso, chi ha risposto alle nostre parole, chi si è spaventato e ci ha guardato come alieni. E nella mia testa riecheggiano sempre le parole di Cosimo: “Non siamo venuti per farvi del male”. Siamo arrivati e non siamo mai stati composti. Abbiamo dimenticato di pagare al bar, poi al ristorante, per poi tornare perché il conto si paga, abbiamo rispetto di chi lavora. Abbiamo lasciato casa con quaranta minuti di ritardo perché Moreno doveva caga*e.
Siamo arrivati alla performance del sabato come uno scomposto team di guerrieri urbani, e abbiamo raggiunto il nostro risultato. Abbiamo risvegliato, anche solo per un attimo, una città assopita, dove troviamo i cani di marca e le signore che hanno paura di essere fotografate. E Moreno, con i suoi occhiali veloci e il piglio di chi anche quando improvvisa è credibile, durante la performance insieme agli attori ha richiamato l’attenzione, in modo lucido. Nessun perculo, nessuna supercazzola, solo parole forti, resistenti, che si radicano nella testa. Che trovano spazio in quelle teste che hanno bisogno di sfuggire al pensiero collettivo per crearne uno individuale e vero. Giusto o sbagliato che sia, non importa. Abbiamo bisogno di pensare. C’è anche chi, esasperato, è uscito mentre studiava in biblioteca per mandarci affancu*o. Questa è la gioia di Peppe, che sta riprendendo tutto, anche un signore anziano che fa un video a una pianta, o a qualcosa davanti a lui che noi non vediamo. Tutto bellissimo. E io penso che questo ragazzo fa bene a studiare. L’ho fatto anch’io, forse meno di quello che avrei dovuto. Ho passato due anni in una scuola di giornalismo che mi ha insegnato tanto, senza però prepararmi a quanto avrebbe fatto caga*e il mondo che avrei trovato fuori. Il giornalismo, quello vero, è anche fuori da quattro mura. È la palestra per la mente che fai in situazioni come Pietrasanta, dove non stai imparando a scrivere, ma stai imparando a muoverti, a reagire, a osservare sempre di più. Non basta stare chinati sui libri. A me, che sto con la macchina fotografica in mano e scatto a raffica, in manuale, non bastano più i libri. Bisogna essere lucidi, volere davvero la Resistenza Intellettuale. Il nostro, in questa città ma anche quando andiamo via, non è solo rumore. “Sei preziosa” mi dice a un certo punto Moreno. Gli rispondo “grazie”, perché di cose da dire ne avrei forse di più, ma mi sembra non servano. “Ma mi perculi o sei timida?”, “No Moreno, se ti perculassi te ne renderesti conto”. Io ho tanto da imparare da Moreno, lui ha ancora tanto da capire su di me. Nel mezzo, la prima lezione l’ho imparata: ascolta. Una di quelle lezioni che dovremmo imparare tutti e che, non posso essere sicura ma me lo augurano, avranno interiorizzato anche coloro che hanno partecipato a Libropolis, che magari hanno assistito alla performance, che l’hanno capita o forse no, ma sono stati attenti e adesso vogliono provare ad andare oltre, a scavare, a vedere cosa c’è sotto la superficie. Perché come ha detto “Luca il poeta”: Solo chi capisce quello che gli viene detto sta ascoltando davvero”. Ed è quello che dovremmo provare tutti a fare, oggi e sempre.