Apparso per la primissima volta in Francia nel 1986, come tesi di laurea di un Emmanuel Carrère appena venticinquenne, è arrivato anche in Italia, seppur oltre trent’anni dopo, il saggio Ucronia. Pubblicato da Adelphi con la traduzione di Federica Di Lella e Giuseppe Girimonti Greco, il testo fa seguito a V13, vincitore del Premio Strega europeo nel 2023 e ruota, come il titolo suggerisce, attorno al grande, quanto inesplorato in letteratura, concetto di “ucronia”. Semplificando potremmo dire che si discute di “Cosa sarebbe successo se?”. “Ucronia” viene infatti, fin da subito, messo a confronto con il termine ben più noto e approfondito nel corso di Novecento di “utopia”, dove “utopia, dal greco ou-tòpos: (è ciò) che non è in nessun luogo” e corrisponde, dall’altra parte a “ucronia – ou-chrònos: (ciò) che non è in nessun tempo”.
“Inutile farsi illusioni, la civiltà perfetta non esiste da nessuna parte” ci ammonisce fin da subito Carrère, citando Tommaso Moro; eppure il bisogno d'immaginare un’ucronia, ovvero una versione differente della storia così come la conosciamo, è un fatto piuttosto comune e nasce, nella maggior parte dei casi - secondo l’idea sviluppata da Carrère - da una forma di insoddisfazione, quando non da un vero e proprio moto esistenzialista, che attanaglia il genere umano (ma anche il singolo individuo), spingendolo a cercare una storia “alternativa”, una realtà e un passato, presente e al contempo futuro (per questo possiamo in effetti parlare di “nessun tempo”) in cui le cose sono andate diversamente. L’autore si concentra in particolare su alcuni fatti e personaggi particolarmente significativi per la storia della Francia, dell’Europa e più in generale del mondo intero. Cosa sarebbe successo se Napoleone Bonaparte non fosse stato sconfitto a Waterloo nel 1815? Cosa sarebbe successo se non fosse mai stata interrotta la sua avanzata in Russia, dopo aver visto Mosca in fiamme, nel 1812? Sarebbe forse potuto diventare qualcos’altro rispetto a ciò che fu e come viene ritratto nei manuali di storia contemporanei?
Carrère concentra la sua analisi su alcuni esempi di testi “ucronici”, che restituiscono una versione alternativa proprio della parabola napoleonica, tra cui: Seconde vie de Napoleon Premier di Pierre Veber (1924), Seconde vie de Napoleon (1821-1830) di Louis Millanvoy (1913) e soprattutto Napoleone aprocrifo. Storia della conquista del mondo e della monarchia universale 1812-1832 di Louis-Napoléon Geoffroy-Chateau, citato, quest’ultimo, per gran parte del saggio dove, in questa versione della “realtà possibile”, Napoleone anziché pensare alla ritirata, di fronte a una Mosca in fiamme nel settembre del 1812, si dirige invece verso San Pietroburgo riuscendo a catturare lo zar Alessandro I Romanov e iniziando una lenta, ma inesorabile, conquista di ogni territorio d’Europa, d’Oriente e poi del mondo, dove i sovrani degli altri Paesi non sono nemmeno più suoi veri “avversari”, ma gli si sottomettono con stima e dedizione, realizzando una sorta di “magica illusione” in cui la civiltà umana raggiunge il suo massimo splendore dal punto di vista dello sviluppo scientifico e artistico, sotto la saggia, matura e perfino mistica, guida di Napoleone Bonaparte. Un finale decisamente alternativo, attraverso cui Carrère evidenzia però quanto il genere stesso dell’ucronia sia stato poco esplorato e catalogato in letteratura, rimanendo, almeno fino ad oggi, secondario e marginale.
Oltre alle vicissitudini – immaginarie, sia chiaro – dell’ascesa di Napoleone dopo il 1812, si dà spazio anche ad autori e soprattutto fatti storici più vicini alla storia del Novecento. Ecco che diventa allora imprescindibile un rimando – seppur appena accennato – a Philip K. Dick e quel grande capolavoro che è La svastica sul sole, definito da Carrère come una delle ucronie più riuscite nel secondo dopoguerra. Nel mondo delineato da Dick il Terzo Reich ha vinto e le potenze dell’Asse dominano sovrane, ma, ecco che Carrère sottolinea una piccola, ma interessantissima “minuzia”: La svastica sul sole non è solo un’ucronia, ma una “ucronia nell’ucronia” dato che tra gli abitanti di questo mondo immaginario, dominato dalla Germania naz*sta e dal Giappone, gira voce dell’esistenza di un libro proibito che propone una realtà “alternativa”, in cui a vincere la guerra sono stati gli Alleati e gli Stati Uniti sono diventati la maggiore potenza mondiale. Che assurdità, no? Ma anche in questo caso “probabilmente le cose non andrebbero meglio. Forse neanche peggio, ma in fondo, che importa? Un mondo vale l’altro”, affonda ancora una volta Carrère con una nota di realismo. Leggendo Ucronia, è importante poi sottolineare che si tratta di un libro molto diverso dai testi che hanno reso iconico l'autore francese in tutto il mondo: non v’è infatti (quasi) traccia dell’intensità, per esempio, de L’avversario, di Limonov o de Il Regno, per citare alcune delle sue opere più famose, dato che nel momento della prima pubblicazione di Ucronia, Carrère aveva appena 25 anni e il suo genio letterario stava ancora, a malapena, venendo fuori. Ciononostante, Ucronia è in grado di suscitare riflessioni molto profonde e intime.
Ognuno di noi ha immaginato, almeno una volta, un finale alternativo e diverso (anche) delle proprie vicende personali: cosa sarebbe successo se quella storia d’amore non fosse finita? Se quell’amico non si fosse allontanato? Se quell’esperienza di lavoro fosse andata meglio, o se non fosse mai affatto accaduta? E cosa sarebbe successo se invece avessimo avuto l’opportunità di un ultimo saluto e un commiato con un parente caro, oggi scomparso? Come si sarebbe evoluta la nostra “esistenza alternativa” e quali conseguenze avrebbe portato a noi oggi? Tanti i possibili interrogativi che si presentano nella mente di ogni lettore, su storie possibili, ma di fatto mai esistite. Del resto però, Carrère, citando magistralmente Shakespeare ci riporta alla realtà: “What’s done cannot be undone” dice l’oscuro Macbeth, e Carrère vi aggiunge “quel che è fatto è fatto; quel che è fatto poteva in quel momento, non essere fatto, ma ormai è fatto”. Che ognuno mediti dunque, sulle possibili, future conseguenze, già che su quelle passate, non è possibili intervenire.