“Sempre meglio godersela che suicidarsi”. Si apre così, con maliziosa irriverenza, Tre donne nella vita di Vincent Van Gogh (L’Orma editore, luglio 2024) il nuovo libro di Mika Biermann che indaga la tormentata esistenza del più noto pittore olandese di tutti i tempi. Vincent Van Gogh, nato a Groot Zundert (Olanda) nel 1853 e precocemente scomparso ad Auvers-sur-Oise (Francia) nel 1890, non ha certamente bisogno di presentazioni; i racconti di Biermann non si prefiggono infatti questo scopo, quanto il ben più nobile, e al contempo “sacrilego” intento, di raccontarci la scoperta dell’altro se*so attraverso gli occhi del pittore dai capelli color rame. Dalla purezza verginale e i timidi incontri durante la preadolescenza, alle sfrenate passioni dell’età adulta, fino all’ultimo commiato prima di spararsi un colpo di rivoltella allo stomaco e morire trentacinque ore dopo. Mika Biermann, nato nel 1859, è uno scrittore francese di origine tedesca, studioso di arte, pittura e fotografia, che fonde con maestria con la scrittura: Tre donne nella vita di Vincent Van Gogh fa infatti parte di una triade di romanzi a cui appartengono anche Tre giorni nella vita di Paul Cezanne e Tre notti nella vita di Berthe Morisot, prossimi all’uscita con L’orma editore.
“…Gli restano trentasette anni da vivere e ottocentosettantuno quadri da dipingere. Un quadro ogni quindici giorni. Un gioco da ragazzi” recita l’ironico prologo a proposito di Vincent Van Gogh. Il libro di Biermann, un interessante mosaico a metà fra biografia e romanzo, è diviso in tre sezioni che portano nomi di donna: Saskia, Agostina e Gabrielle. Ogni racconto è dedicato a un’età della vita del pittore, liberamente ispirato a fatti realmente accaduti, dalla sua infanzia in Olanda con il padre pastore protestante e i cinque fratelli, alla Francia, dove visse per molti anni fra Parigi e la Provenza e dove morì nella regione dell’Ile de France.
Saskia è una giovane contadina allevatrice di oche di circa 13 anni. Vincent invece è solo un bambino che scopre per la prima volta il tratteggio a matita. L’amore per la pittura non è ancora nato, già che suo padre lo intimorisce sugli uomini, le donne e i colori: “Dio ha creato la terra, il cielo, le piante, gli animali e gli uomini rigorosamente in bianco e nero, è stato il diavolo, in seguito ad aggiungere i colori, l’azzurro di un lago, il verde di una prateria, l’arancione di un tramonto, il rosa sulle guance delle donne, il rosso sulle labbra, l’oro sui capelli, affinché i poveri uomini sedotti si allontanassero dall’Onnipotente…”. Eppure, le ammonizioni del padre non servono a niente. Dopo un primo disegno segreto, fra le pagine di Romeo e Giulietta e lo schizzo di un seno, Vincent incontra Saskia, che si spoglia sulle rive di un ruscello fra le sue oche e, sfrontata, quasi lo intimidisce mostrandosi completamente a nudo. L’innocenza fanciullesca scompare e il piccolo Vincent, confuso, scopre il piacere segreto del peccato.
L'episodio di Agostina è una storia d’amore, non solo con lei, sua modella e confidente, ma anche con l’arte. Agostina non è però una donna qualsiasi, ma è bensì Agostina Segatori, modella italiana realmente esistita, che posò per i più grandi artisti parigini di fine Ottocento. Siamo nel 1837 e fra un bicchiere di assenzio e vaneggiamenti su un viaggio romantico in Italia, l’autore fa un dissacrante e magnifico inno all’arte: Manet diventa “un vecchio c*glione”, Cezanne un “pelato strabico”, poi si accenna alle ballerine di Degas, le madonne “pu*tane” di Caravaggio, l’incredibile L'Origine du monde di Courbet, Peter Paul Rubens, “il signor Corot”, e la Maya di Goya, cui Agostina, in questa fantasiosa ricostruzione, cerca di assomigliare. Vincent, il protagonista, è già sdentato, asciutto nel fisico, un po’ sbadato, ma estremamente affascinante. I due fanno l’amore fra un ritratto e l’altro e l’angusta e gelida stanzetta di Agostina, in un freddissimo febbraio, diventa il loro nido d’amore, sospesi tra realtà e fantasia. “Il giorno in cui uno dei miei quadri finirà in un museo, mi impiccherò! L’arte dev’essere del popolo” denuncia Mika Biermann, attraverso l’impetuoso Van Gogh letterario.
Il libro si conclude con la cupa esistenza di Gabrielle, che si fonde con quella altrettanto cupa e tragica di Vincent, che culminerà ben presto i suoi giorni dopo essersi sparato in un campo. Gabrielle come Vincent ha la pelle chiara, i capelli rossi e una sorte sfortunata. Siamo ad Auvers-sur-Oise dove “Il cielo sceglie un colore: rosa. Poi cambia idea: azzurro. (…) Le rive si aprono come ventagli. Le tegole del campanile si asciugano. Una persiana si apre, una tenda si muove, un seno risplende, una sigaretta fuma…”. Nell’immaginario già si delineano gli amati quadri di Vincent che tutto il mondo oggi conosce e ammira: i girasoli, il giallo caffè di Arles, gli iris e le sedie di paglia, e poi ancora i cipressi nei campi, i severi autoritratti con l’orecchio mozzato dopo una furibonda lite con Gaugain e l’inconfondibile blu e oro de La notte stellata. Vincent Van Gogh morì il 29 luglio del 1890 nella sua stanza all’Auberge Ravoux a soli 37 anni. Di lui oggi resta la sua inconfondibile arte: “La pittura è un assassinio del buonsenso. Il pittore un assassino” dove lui lo diventa di sé stesso. Un quadro deliziosamente imperfetto quello di Mika Biermann, che restituisce un Van Gogh inedito, ma sempre e comunque irrimediabilmente e appassionatamente devoto alla sua arte.