A Sanremo non va più e ci ha spiegato perché. La musica di oggi, scritta da pochi autori, “è a rischio omologazione” e si basa su “ritmo, ballabilità, coreografie, così funziona su TikTok”. Infatti, aggiunge: “I social sono una nuova schiavitù”. Per fortuna allora che è tornato a pubblicare una canzone Federico Zampaglione con i Tiromancino - questo lo diciamo noi - con il singolo Puntofermo (lo scorso 22 marzo) dopo il brano dello scorso anno Due Rose, a 2 anni di distanza dall’ultimo album Ho cambiato tante case. Ora che sembra aver ritrovato continuità, oltre a mantenere la riconosciuta qualità, ci è sembrato giusto capire da lui perché questa slow production e cosa pensa della discografia a velocità folli. Lui che fa tante cose ma non è un tuttologo. Lui che quando non aveva niente da dire è stato fermo 4 anni. Lui preso in giro prima di realizzare un film horror che ha fatto ricredere i detrattori. Lui che ci insegna: “Devi difendere anche ciò che non è accettato”.
Nel video del tuo nuovo singolo Puntofermo hai scelto come protagonista un cane dando risalto al rapporto simbiotico con la sua compagna umana. Hai voluto strizzare l’occhio agli animalisti?
Fare il videoclip di una canzone è sempre un'impresa, si aprono mille possibili interpretazioni personali, si deve riuscire a trovare un'idea che in qualche modo possa rendere il senso di ciò che hai scritto. Allora mi sono chiesto quale potesse essere un “punto fermo” in questa società enormemente frammentata, dove gli esseri umani vivono relazioni in continuo contrasto, con grandi problemi di incomunicabilità. E ho pensato a qualcosa o qualcuno che andasse al di là di tutto questo, per cui mi è venuto in mente l'animale visto che, effettivamente, la sua anima è un'isola incontaminata.
Spiegaci meglio.
Il cane non tiene conto di quello che succede, di quello che si dice di te, se vai bene, se hai successo, se non lo hai o come la pensi. Quando apri la porta di casa trovi quegli occhi che ti guardano e sai che non cambieranno, qualunque cosa succeda.
E perché tu non hai animali domestici?
Io ho avuto cani per la maggior parte della mia vita con i quali ho instaurato sempre dei rapporti meravigliosi. La tentazione di prenderne uno è fortissima ed è tornata più volte. Il problema è il mio stile di vita, in giro tra tournée e set cinematografici sarebbe difficile gestirlo. Un cane ha bisogno di presenza e attenzioni, cose che al momento non potrei garantirgli.
Qual è quindi il tuo Puntofermo?
Non ne ho uno ma tanti. Le mie passioni, i miei interessi, la musica, l’arte e la creazione sono dei punti fermi fondamentali. Poi ovviamente ci sono anche le persone che amo, quindi mia moglie Giglia, mia figlia Linda, mio padre col quale ho sempre avuto un rapporto pazzesco di grande condivisione. Sono un uomo che ha cercato costantemente la stabilità, non ho mai amato le cose troppo mutevoli. Certo poi i punti fermi li devi difendere e devi combattere per tenerteli stretti, perché in un attimo si può perdere tutto. Voglio dire, essere un buon padre e un buon marito sono cose su cui tutti i giorni ti devi impegnare perché nulla ti viene regalato. I rapporti richiedono un grande lavoro di rispetto, di attenzione, di cura, così come le passioni, le devi alimentare, le devi nutrire.
Hai parlato di punti fermi che svaniscono e tu ne hai perso uno molto importante dieci anni fa, mi riferisco a tua madre. Cosa avresti voluto che vedesse oggi che non ha potuto vedere?
Sicuramente crescere mia figlia Linda. Si è persa tutta questa fase meravigliosa di cui lei sicuramente sarebbe stata entusiasta. Perché Linda è una ragazzina particolare, ha delle qualità molto belle e quindi sono convinto che mia madre l’avrebbe amata in modo profondo, però purtroppo non è stato possibile.
Torniamo alla musica. Dopo la decisione di Sangiovanni di abbandonare temporaneamente la discografia per curare la sua salute mentale, tu sei stato uno dei pochi artisti che ha criticato, con un lungo post su Facebook, il modo in cui questi ragazzi vengono mandati allo sbaraglio nel mercato musicale.
Più che una polemica la mia è stata una riflessione che non investe solo la musica, però, perché è un po' il problema di questi tempi del tutto e subito. C'è questa mentalità crescente per cui qualsiasi cosa tu faccia deve essere un successo immediato, fantasmagorico, che in un attimo ti trasforma in un milionario, da zero devi diventare il personaggio più figo e popolare che c'è in giro, senza magari aver lavorato minimamente, ma semplicemente con una trovata fortunata. Questo è il pericolo. Ma le cose acquisite così non hanno la possibilità di durare nel tempo, i nodi vengono al pettine e poi ci si ritrova in una realtà in cui le persone si bruciano e soffrono della grande illusione.
Non hai mai pensato al successo, neanche agli esordi?
Lo vedi in giro, tutti sono musicisti, tutti giornalisti, tutti esperti di qualsiasi cosa senza una costruzione reale. Io come padre cerco di spiegare a mia figlia l'importanza della passione, non del risultato, di amare una cosa, sentirla, viverla, starci dentro, cercando di essere onesti con sé stessi e con gli altri, solo così i risultati arrivano. Non deve essere la filosofia del risultato, quella che ti muove.
Per i più giovani, però, sembra che il mondo vada al contrario.
Il caso di Sangiovanni è emblematico: le pressioni sono altissime, le aspettative ti schiacciano perché ti rendi conto di aver messo in moto un meccanismo per cui tutti poi si aspettano sempre qualcosa di più, ma magari in quel momento tu non ti senti così, ti senti invece di comunicare altro. Magari di meno esplosivo, che però per te è molto importante. L'arte che passa sempre attraverso i numeri diventa un problema, l'artista a volte deve rinunciare anche a questi meccanismi per potersi esprimere. I social poi sono diventati una schiavitù di cui è difficile liberarsi, tutti ormai sono dipendenti dai like, dalle visualizzazioni, dai follower, dai numeri.
Se fossi stato tu il manager di Sangiovanni avresti approvato quella linea o avresti suggerito di continuare comunque indipendentemente dal risultato?
A un certo punto della mia carriera, per 4 anni non ho pubblicato più niente perché mi sentivo scarico, non avevo più idee che mi convincessero. Ero un po' stanco anche di quel mondo lì, di dover per forza performare le classifiche e soddisfare le aspettative degli altri. Venivo da dischi di grande successo, quella situazione mi aveva un po' logorato. Così decisi di prendermi una pausa per dedicarmi completamente ad altro. Oggi sembra strano che uno si fermi, ma in realtà è qualcosa che va fatto, perché la musica non è un getto continuo, è il frutto di un’ispirazione che sgorga da quello che senti e vivi.
Come sei tornato alla musica?
Dopo quei 4 anni di stop, in concomitanza con la morte di mia madre, mi sono tornate le canzoni, ho preso la chitarra in mano e sono ripartito. La musica non se n’era andata via, aveva solo preso una pausa. A posteriori posso dire di aver fatto la scelta giusta, sono stato contento di non aver prodotto dischi in quegli anni, perché sono certo che sarebbero stati fallimentari. Anche Calcutta è stato cinque anni senza fare attività di nessun genere, né live né dischi, poi ha scritto un album meraviglioso e immediatamente ha ricominciato al top perché quello che ha proposto era ispirato, vero, sincero e se ne sono accorti tutti. Essersi fermato ha contato poco.
Tu hai fatto parte della scena romana dell’indie negli anni 2000, quella in cui ci si forgiava le ossa con la gavetta, andando a suonare nei piccoli club, mentre ora ora quasi tutti gli artisti di successo vengono dai talent, ma pochi hanno mangiato la polvere sui palchi. Questo ha contribuito alla musica “usa e getta”?
La società è cambiata e il mondo della musica è cambiato. Moltissimi giovani sono usciti fuori dai talent, l'abbiamo visto con Marco Mengoni, Emma, Elodie, i Maneskin, ma parallelamente ci sono sempre movimenti indipendenti, come quello del rap o dell’indie, che fanno circolare la musica in altro modo, attraverso la rete e il passaparola. Anche se in passato non c'erano i talent, c'erano artisti che si vedevano tanto in televisione, poi esisteva sempre quel circuito parallelo che comunque produceva parecchie cose e anche oggi è un po' così. L’indie sta andando alla grande grazie alla musica di Gazzelle, Calcutta, Tommaso Paradiso, Franco 126 e tanti altri. Anche nel rap, che funziona al di fuori di quel meccanismo, c'è tanta roba. Il gioco è capire in mezzo a tutta questa musica cosa resterà.
Ecco, appunto, cosa resterà in futuro della musica di oggi?
La risposta è molto semplice: resteranno le belle canzoni, non ha importanza di che genere siano. Cadrà nel dimenticatoio invece la musica prodotta per funzionare ad ogni costo. Ai tempi in cui ho iniziato io c'erano tutta una serie di tendenze, di stili, che si potevano cavalcare per avere successo. Quando cantavo Per me è importante, Due destini, Amore impossibile, mi chiedevo se dopo vent’anni sarei stato ancora credibile nel cantarle e la risposta che posso darti è sì.
Come ci sei riuscito?
Ho scritto brani che potessero sopravvivere al passare degli anni, era uno dei miei obiettivi. Effettivamente gli anni sono passati e io mi sento molto a mio agio in quelle canzoni. A volte bisogna fare delle battaglie per la propria musica e le proprie cose. Se si scrive una canzone in cui si crede tantissimo, bisogna difenderla a tutti i costi perché magari non diventerà la canzone più commerciale del mondo, ma diventerà importantissima per la tua carriera.
Invece la scelta di fare film horror come fu accolta da parte del tuo pubblico?
Quando ho fatto sapere che avrei girato film horror mi hanno preso tutti in giro. Leggevo dei commenti su internet che erano davvero atroci. Da una parte era anche comprensibile, cioè un personaggio percepito come un autore di musica molto intima e romantica che annuncia di voler fare il regista di film horror ha suscitato pessime reazioni. Quando lessi quelle critiche mi sono detto: “Ammazza, ma questa è l'accoglienza che mi ritroverò?". Però ho tenuto duro e cosciente di questa cosa ho fatto uscire i film all'estero per evitare i pregiudizi. Alla fine hanno funzionato, ma solo perché ho creduto fino in fondo a quello che facevo. Spesso devi difendere anche cose che da fuori non sono accettate.
Nella musica di oggi, come per esempio a Sanremo, le canzoni sono scritte sempre più spesso dagli stessi autori. Vedi un rischio omologazione?
Nel pop italiano in questo momento ci sono degli autori di spicco molto talentuosi, come per esempio Davide Petrella, che sta macinando successi su successi e vengono giustamente tanto richiesti. Ma il rischio di omologazione c'è. Il punto però è che adesso è tutto molto confuso. Il genere pop di oggi è più leggero e disimpegnato. Mai come in questo momento si basa tanto ritmo, sulla ballabilità, sulle coreografie, perché così funziona su TikTok.
Senti, la verità: ma com’è che non vuoi più tornare a Sanremo?
Per un fatto emotivo tutto mio. La gara mi mette in uno stato di tensione altissima, anche se uno se ne dovrebbe fregare. Però il meccanismo di Sanremo è emotivamente molto forte. Quando ti trovi su quel palco ti tremano le gambe, anche se hai suonato dappertutto, anche se hai una carriera lunga. Hai la consapevolezza che da quei quattro minuti dipende tantissimo. Sanremo può lanciare e stroncare una carriera, con la stessa identica velocità. Ma la gara e la musica sono due parole che non stanno sulla stessa riga. Da spettatore è uno spettacolo che televisivamente mi diverte e in generale lo seguo con passione, ma in gara non credo tornerò più.
Invece sarai live quest’estate?
Sì, saremo in tour in tutta Italia. Questa estate uscirà anche il mio ultimo film The well che ha riscosso grande successo all’estero, per cui sarà un periodo molto impegnativo. È un bel momento dal punto di vista professionale, sono contento, faccio le cose che mi piacciono e ormai il tempo lo utilizzo in maniera costruttiva.
Hai timore della morte?
Più che paura è un dispiacere, perché non potrò più fare le cose che amo fare e non vedere più le persone che amo. Ma siccome so che è una condizione inevitabile, mi ritengo fortunato e la prendo con filosofia. È un lusso poter godere del tempo che passa, tante persone a me care purtroppo non hanno avuto questo privilegio.
Come ti vedi a 80 anni?
Intanto spero di arrivarci, sarebbe già una bellissima cosa. Vorrei avere lo stesso entusiasmo di mio padre, una persona che per me rappresenta un grande punto di riferimento. Ha 86 anni, ma ha lo stesso fuoco di quando era giovane. Continua ad essere immerso nei suoi numerosi interessi: legge, scrive sonetti, testi per canzoni, è rimasto iper creativo. Questo lo trovo bellissimo, quindi mi dico: se mio padre ci è riuscito chi mi impedisce a 80 anni di essere sempre vivo e interessato a fare nuove cose come lui? Io credo che si invecchi nel momento in cui si smette di fare quello che si ama davvero.