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“C’è ancora domani”, che ha monopolizzato i cinema, è davvero un bene per l’industria? O solo per la Cortellesi ai David?

  • di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

4 aprile 2024

“C’è ancora domani”, che ha monopolizzato i cinema, è davvero un bene per l’industria? O solo per la Cortellesi ai David?
Ma davvero “C’è ancora domani” di Paola Cortellesi ha fatto bene all’industria cinematografica italiana? Sul breve termine non ci sono dubbi, ma a lungo andare potrebbe non essere così. Se l’esordio di Cortellesi ha segnato un incasso notevole (36 milioni di euro al box office, ma occupando le sale per diversi mesi) molti altri film hanno faticato (nonostante i budget elevati). Il sistema cinema è da tempo al centro del dibattito per la gestione delle risorse e dei costi. Ecco perché forse non basta un successo a mascherare tutti i problemi

di Domenico Agrizzi Domenico Agrizzi

Il cinema in Italia ha ormai un nome e un titolo: Paola Cortellesi e C’è ancora domani. Un messaggio chiaro, comprensibile e attuale, ma trasmesso in una cornice comica, sono le caratteristiche vincenti del film di esordio di Cortellesi. Immediatamente è diventato l’esempio dell’opera femminista seria e aperta al grande pubblico. È facile individuare il giusto e lo sbagliato, il bianco e il nero, senza troppe sfumature o compromessi. Il risultato, poi, è sotto gli occhi di tutti: oltre 36 milioni di incasso al box office (quinto film italiano di sempre al botteghino e nono in assoluto), una vita che si preannuncia lunga anche all’estero (sta riscuotendo grande successo in Francia e Germania, mentre Lady Gaga si è interessata per produrre un remake americano) e 19 candidature ai David di Donatello. Insomma, un successo dirompente. Ma davvero ha avuto una ricaduta positiva sull’industria cinematografica nazionale? Nell’intervista a Marco Giusti, il critico ha evidenziato che un film come C’è ancora domani, rimasto in sala per diversi mesi, durante i quali ha occupato molti degli spazi disponibili, potrebbe aver danneggiato altre uscite. Inoltre, il fatto che il sistema si regga su pochi (o su singoli) successi non è, secondo Giusti, l’esempio di un cinema sano. Troppi film, quindi, e non tutti di successo. Forse, però, occorre fare un passo ulteriore per inquadrare meglio la situazione: quanto hanno guadagnato gli altri film italiani nel 2023? Il secondo film per incasso al box office è stato Me contro te il film: Missione giungla, con 4,8 milioni (a fronte di una spesa di circa 4,7 milioni), mentre il terzo è Tre di troppo, che ha incassato 4,6 milioni (il budget era di 5,6 milioni). Risultati lontani da quelli di C’è ancora domani, ma comunque buoni, visto che solo con il box office sono praticamente rientrati nei costi (i dati citati sono presi da Cinetel). Seguono, però, alcuni film ad alto budget e che non hanno ottenuto risultati esorbitanti in termini di botteghino: Io capitano di Matteo Garrone ha guadagnato 4,5 milioni ma ne ha spesi oltre 11; Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti ha segnato circa 4,2 milioni a fronte di una spesa di 12; Comandante di Edoardo De Angelis con Pierfrancesco Favino ha speso 14 milioni recuperandone solo 3,5 al box office. Tutti questi film erano in concorso in diversi festival, per cui avevano anche goduto di buona visibilità.

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Se guardiamo poi i dati pre-pandemici, il 2023 è stato un anno appena discreto. È vero che rispetto al 2022 c’è stato un +62% per quanto riguarda gli incassi e un +59% per numero di spettatori, ma rispetto alle medie del triennio 2017-2019, il dato segna rispettivamente un -16% e -23%. C’è ancora domani, poi, si è preso una grossa fetta del mercato italiano: su 120 milioni incassati da film italiani (cifra che comprende anche le co-produzioni), 36 appartengono al film di Paola Cortellesi, così come dei 18 milioni di persone che hanno visto in sala delle opere italiane, ben 5 sono da assegnare a C’è ancora domani. Cortellesi vola, gli altri un po’ meno. Intendiamoci, i film non vanno valutati esclusivamente sulla base del box office: Germania anno zero di Roberto Rossellini, Blade Runner di Ridley Scott o Il grande Lebowski dei fratelli Cohen non hanno avuto gran successo, eppure sono diventati film leggendari. L’analisi, quindi, si ferma freddamente a quella che è la salute dell’industria. Molti produttori hanno sottolineato che i costi sono aumentati molto negli ultimi anni, il che ha fatto pensare a una vera e propria “bolla”: il grande numero di film prodotti e la larga occupazione che ne è seguita, hanno fatto alzare il prezzo delle professionalità coinvolte. Il flusso di denaro pubblico immesso nell’industria, poi, ha fatto lievitare verso l’alto gli standard dei costi. Ma se questo ha certamente degli effetti positivi per i lavoratori, a lungo termine cosa succederà con l’aumento della spesa e i risultati del box office che invece non crescono in maniera così decisa?

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Paola Cortellesi

Questo per quanto riguarda l’industria. C’è anche chi ha evidenziato come il successo enorme ai David di Paola Cortellesi possa finire per oscurare nella competizione (e quindi al pubblico più largo) altre realtà che invece reclamavano il proprio spazio. Così, per esempio, scrive su Instagram Gianmaria Tammaro, giornalista che si occupa di cinema anche per La Stampa: “Va bene riconoscere i grandi successi, davvero. Soprattutto quando, come nel caso del film di Paola Cortellesi, hanno un valore intrinseco come opere. È importante, però, provare a sostenere anche le novità (forza, Palazzina Laf; forza, Disco boy). Dov'è, poi, Pilar Fogliati tra i migliori esordi alla regia?”. Giusto l’elogio di C’è ancora domani, ma che fine fa il sommerso? In definitiva, quindi, gli esercenti sicuramente ringraziano Paola Cortellesi (ed è giusto così), eppure noi non siamo certi che, a lungo termine, la strategia di reggersi su un unico successo possa essere quella vincente. Né dal punto di vista economico, né artistico. Alla prima flessione, infatti, il castello rischia di crollare.

Gianmaria Tammaro
Il post di Gianmaria Tammaro

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