Bella (Emma Stone) fa parte di quelle ragazze che Philip Roth, nel libro L’animale morente, descriveva così: “Una generazione di ragazze che tiravano dalla loro fi*a le conclusioni sulla natura dell’esperienza e sulle delizie del mondo”. Non sappiamo quale confidenza il regista Yorgos Lanthimos abbia con la prosa dell’autore di Pastorale americana, ma la sua Bella, protagonista dell’ultimo film Povere creature, giunge alla consapevolezza che comporta l’età adulta tramite il sesso. Povere creature (Poor Things) basato sul libro di Alasdair Gray e adattato da Tony McNamara, è un delirio in capitoli da commedia dell’orrore dove seguiamo una -inizialmente- ingenua Bella che, protetta dal tenero Dr. Godwin Baxter (Willem Dafoe), vive in pace coi suoi animali mutanti (come il cane-gallina) aiutando il dottore nei suoi esperimenti segreti, parlando e gattonando come una bimba di due anni in completa dissonanza col suo aspetto da adulta. Bella, però, per quanto sembri un incrocio tra Forrest Gump e Anna dei Miracoli (grande interpretazione di Emma Stone) non ha ricordo della sua vita passata, una vita raccolta e protetta dal God(win) che rivela il segreto solo all’allievo Max (Ramy Youssef) che diventerà il promesso sposo di Bella nonché unico essere umano a cui Godwin si senta sicuro di affidare sua “figlia”. Il viso di Godwin è deformato, pare scomposto e ricucito da un cieco, sembra impersonificare, in un unico uomo, Frankenstein di Mary Shelley e il mostro creato dallo stesso scienziato. Lui stesso è stata la cavia umana di un padre folle così come Bella è stata la sua, ma per ragioni totalmente diverse. Bella è diversa dagli altri esperimenti, sembra quasi che sotto la spinta delle pulsioni primarie la sua crescita personale sia direttamente proporzionale all’esperienza sessuale che accumula col mondo (uomini e donne) e nel mondo. Spinta da una crescente inquietudine e fomentata dal losco avvocato Duncan Wedderburn (uno squallido e meraviglioso Mark Ruffalo) la ragazza intraprende un viaggio surrealista per l’Europa. Quella di Bella è una ricerca vagabonda e sessuale di un universo da esperire che le è sempre stato negato, per proteggerla, e si approccia alla vita con l’anima di un infante, di un bambino capriccioso che segue soltanto l’istinto e le pulsioni, indipendentemente che le sue azioni possano ferire emotivamente qualcuno: attraversando il continente Bella scopre il bene e il male, la generosità e lo sfruttamento, il socialismo, le sex workers e una forma embrionale di femminismo mantenendo, però, una sua personale e virginale purezza.
Dichiaratamente o meno Povere creature risulta un film femminista più riuscito di Barbie e, forse, il film migliore della filmografia di Yorgos Lanthimos. Le protesi, i costumi e la scenografia sembrano richiamare uno stile tra il vittoriano e il roccocò, così come l’ospedale dove esercita Godwin ricorda quell’estetica da inizio Novecento visto nella bellissima serie The Knick. Povere creature, vincitore del Leone d’oro a Venezia 80 e di un Golden Globe per Emma Stone, sembra continuare quel nuovo filone intrapreso dal regista greco con La Favorita: meno serioso, sessualmente esplicito (qui è assurdamente vietato ai minori di 14 e negli Stati Uniti agli under 17) comico e leggero ma senza macchiarsi di superficialità. Delle volte la fotografia di Robbie Ryan è ingombrante in un immaginario che è già prolifico e saturo di suo; intensificando l’utilizzo del fish-eye, giocando con l’obiettivo zoom e giocando coi fondali Led Lanthimos investe il suo pubblico del ruolo di indiscreto voyeur per osservare, sottovetro quasi, questo carniere di freaks (creature). Solo durante un altro film ho sentito ridere così tanto in Sala Grande ed era per Hit man di Richard Linklater, che è una commedia d’altri tempi a tutti gli effetti. Povere creature, invece, ha quella rara capacità di mettere d’accordo critica e pubblico, alto e basso, commerciale e cinema d’essai, forse perché anche noi, come quelle sfortunate creature, ci dimeniamo alla ricerca di una identità che ci viene imposta o privata dagli altri, costretti a vivere nei panni di mostri che ci hanno cucito addosso le persone che, invece, avrebbero dovuto amarci.