Dal ministro della Cultura e dalla presidente del Consiglio ci si aspetterebbe un’attenzione scrupolosa nell’uso delle parole, dei significati, del senso profondo di ogni interpretazione. Ci si aspetterebbe, appunto. Gennaro Sangiuliano e Giorgia Meloni, però, sembrano aver frainteso quel termine che Fulvio Abbate ha creato per definire una certa tendenza diffusa a sinistra: quella dell’amichettismo. Già Ottavio Cappellani su MOW aveva sottolineato la cattiva traduzione del concetto da parte del Ministro all’apertura del nuovo Salone del Libro: “amichettismo” non è “squadrismo”, e nemmeno “consorteria”. Questi ultimi due termini, infatti, si applicano in maniera piuttosto trasversale a tutto il campo politico. Ma valgono anche nel mondo degli affari, dell’editoria, dei caffè pagati al bar: insomma, valgono ovunque e per tutti. Da sempre. Quello che intende Fulvio Abbate, invece, è chiarito già nelle prime pagine del suo trattato dedicato al tema (che potete scaricare gratuitamente qui su MOW): “Le figure del mercante in fiera amichettistico negano infine ogni autentico scambio di opinioni, idee, pensieri, note, chiose, messaggi, riflessioni, obiezioni, impegnate come sono nel frattempo a montare di guardia alla trousse delle loro ragioni superiori indiscutibili”. Una sorta di credo da recitare senza porsi interrogativi, con dedizione semi-religiosa. Niente a che vedere, quindi, con l’egemonia culturale, con il riempimento delle caselle dei luoghi che contano mettendo questo o quel fedelissimo. Su questo, un’altra intellettuale, Loredana Lipperini, ha sottolineato ancora Cappellani, è scivolata nell’applicazione del concetto di amichettismo: “La consuetudine di recensirsi a vicenda fra scrittori lodandosi”. Neanche questo, però, rispetta il senso stabilito da Abbate. Lipperini si riferisce, piuttosto, all’idea di “congrega”, di comunità chiusa che si scambia favori.
Scarica il trattato e diffondi
Oltre ai due esponenti del mondo della cultura, dicevamo, anche la presidente Meloni, durante un intervento a Quarta Repubblica su Rete4, ha tirato in ballo l’idea di amicchettismo: “Questo è l’amichetto mio, questo no… Ci sono tutti questi circoli di amichetti che…”. Di nuovo: chiaramente questo è un esito di un amichettismo più profondo. Il fatto che i benpensanti si riuniscano in circoli esclusivi in cui l’accesso è possibile solo con prenotazione (e revisione), è certamente una conseguenza di un più originario amichettismo: quello della “vocazione maggioritaria” delle idee, come dice Abbate nel suo saggio, quello che nega l’obiezione, il dissenso sulle questioni specifiche. Tutto, invece, deve essere riappacificato nel quadro generale. Dice ancora Abbate: “L’amichettismo, anche quando osserva il quotidiano del mondo, ne ignora sia l’essenza sia l’esistenza, scorge unicamente se stesso, le proprie faccine note, riconoscibili, vidimate dalle proprie ragioni, dalle proprie ulteriori ambizioni”. Innegabile, quindi, l’attitudine autoreferenziale di questa postura. Ma, al di là delle cattive interpretazioni del concetto, ciò che stupisce è il fatto che nessuno dei parlanti citati lo abbia attribuito al creatore: lo stesso Fulvio Abbate. Considerato che lo scrittore concede alla sinistra l’essenza amichettistica, sia Sangiuliano che Meloni avrebbero potuto contare sull’ennesima critica di un uomo di sinistra nei confronti della sua stessa patria politica. Una strategia, quindi, che sarebbe stata ancora più efficace per incentivare la lotta interna, anche questa familiare alla sinistra. La scelta, invece, è stata quella di denunciare la superficiale chiusura in circoli di intellettuali, della congrega e dello squadrismo. Rinunciando a grattare la crosta dell’idea. Perdendosi quella critica rivolta a coloro che lo spirito critico, a dire di Abbate, lo negano senza esitazione. Omologando la base ai vertici ed eliminando qualsiasi elemento di discontinuità, relegandolo al girone infernali dei delusi e dei rancorosi. E rimane il furto inconsapevole (si spera) e goffo dell’idea di un altro. Una storiaccia ai limiti del plagio.