“La sua rivoluzione è finita signor Lebowski. Condoglianze! Gli sbandati hanno perso”. In effetti, gli sbandati come The Dude, il Drugo de Il grande Lebowski, sembrano aver fallito. Hanno vinto gli altri: quelli dell’impegno, del sacrificio, delle rinunce. Quelli che “hanno lavorato sodo” e si sono fatti da soli, che fanno finta di amare la frenesia a cui la loro vita di successo li ha condannati. Anche per questo motivo, forse, in occasione dei 25 anni dalla prima uscita del film dei fratelli Joel e Ethan Coen, Drugo torna al cinema dal 6 novembre nella versione restaurata dalla Cineteca di Bologna. Abbiamo quanto mai bisogno della sua filosofia: fare il meno possibile, giusto il necessario. Non importa arrivare in alto, non c’è fretta: “Take it easy”. Il grande Lebowski all’inizio non fu un grande successo: troppo diverso da Fargo, per cui i fratelli registi erano già stati premiati con due premi Oscar. Troppo leggero per reggere il confronto. Poi, con il tempo, quelle battute e quella filosofia del Drugo trovarono il loro meritato spazio nel cinema contemporaneo. A partire da Jesus, il personaggio a cui John Turturro diede vita e a cui lo stesso attore dedicò un altro film. Poi la frase di Lenin appena accennata e immediatamente storpiata, il Vietnam, che si impone con forza dalla voce del reduce Walter Sobchak (interpretato da un enorme John Goodman) e i baffi de “Lo straniero”, il cowboy che appare due volte nel film e che introduce la storia (“Perché dici tutte quelle parolacce, Drugo?”, “Di che caz*o stai parlando?”). Insomma, tutto sembra fatto apposta per diventare un cult. Di fatto, poi, un culto lo è diventato davvero: il dudeismo. La filosofia di Lebowski è una religione fondata nel 2005 e tra i suoi apostoli ormai ci sono circa 600mila persone. Ovviamente, essere ordinati non costa niente ed è, va da sé, senza impegno. Ora possiamo tornare di nuovo in sala a vedere Il grande Lebowski, sdraiati sulle poltroncine di qualche cinema. Magari in una proiezione di metà pomeriggio, quando non c’è nessuno, così da poter allungare le gambe sul posto di fronte a noi. Rigorosamente scaz*ati. Perché nessuno ci obbliga a farlo: ma, in fondo, cosa abbiamo di meglio da fare?
La storia in breve
Probabilmente già la conoscete, ma vale la pena prendersela con calma e partire dalle cose scontate. Siamo a Los Angeles e il nostro “eroe” è presentato da Sam Elliot (il cowboy baffuto) come Jeffrey Lebowski, un nome di cui non aveva da tempo più bisogno: lui era The Dude, il Drugo, giocatore di bowling e devoto del White Russian, nonché “l’uomo giusto, al posto giusto, nel momento giusto”. Per uno scambio di persona, il Drugo viene aggredito da due gangster in cerca di soldi. Non trovandoli, uno di loro decide di pisciare sul tappeto del soggiorno del protagonista. Questa è la molla che fa scattare la storia. Drugo riesce a trovare l’altro Jeffrey Lebowski, quello ricco, e gli chiede un aiuto per il suo tappeto ormai rovinato: “Dava un tono alla stanza”. Viene poi incaricato, in cambio di soldi, dallo stesso ricco Lebowski di recuperare sua moglie, Bonny, ex pornodiva che è stata rapita. La richiesta del riscatto è altissima, e il Drugo dovrà occuparsi della consegna del denaro. Non ha fretta, però, e riesce comunque a fermarsi alla pista da bowling con Walter e Donny (Steve Buscemi) per una partita. Partirà insieme al primo, reduce del Vietnam e traumatizzato dal divorzio dalla moglie, per lasciare il denaro ai rapitori: la consegna fallisce e Drugo si trova a dover affrontare non solo la furia del suo “datore di lavoro”, ma anche quella dei Nichilisti, criminali guidati da Karl Hungus (Peter Stormare), il fidanzato di Bunny. Come rivelato da Maude (Julianne Moore), la figlia del magnate Lebowski, il rapimento è una farsa e per questo Drugo dovrà recuperare i soldi del riscatto. Incontrerà quindi Jackie Treehorn (Ben Gazzarra), produttore di film porno che aveva lavorato in passato con Bunny, che però lo imbroglia: Drugo finirà arrestato da un “reazionario poliziotto” di Malibù. Tornato dal ricco Lebowski, scopre che Bonny è tornata a casa. La storia parte dal nulla e finisce nel niente. Insomma, un gran casino, solo per un tappeto e un finto rapimento
Il White Russian e il bowling
Ci sono elementi che non servono direttamente allo scorrere degli eventi, mattoni superflui nella costruzione della sceneggiatura. Tra questi c’è sicuramente la scena di Jesus, il pederasta e fenomeno del bowling che sfida Drugo e i suoi. O, ancora, tutti quei momenti in cui il protagonista si ferma a farsi un drink: vodka, liquore al caffè e latte. Serve a qualcosa? No, ma in fondo va bene così. Quello che per altri è inutile, per Drugo è tutto ciò che ha senso. Bastano un White Russian, il bowling, qualche canna e “un acido ogni tanto”.
Uno spaccato di America
Ne Il grande Lebowski ci sono tutte le contraddizioni e le follie americane del tempo: la comunità hippie, i pornoattori nichilisti e i reduci del Vietnam come Walter. Quest’ultimo riconduce ogni problema, ogni mancanza di rispetto a quei momenti passati al fronte: “Non ho visto i miei compagni morire con la faccia nel fango per questo”. Dove sono le regole? Dov’è quell’America per cui aveva combattuto? Il più grande trauma dei soldati, forse, è quello per cui, una volta tornati a casa, questa non è più come se la ricordavano. Ci sono anche l’artistoide miliardaria Maude, losangelina dai mille interessi e desiderosa di maternità, e suo padre, il magnate Lebowski, troppo orgoglioso per ammettere la sua incapacità. Come la virtù del “self made man” vuole, l’omonimo del protagonsita si pone come colui che è riuscito ad andare oltre il dolore, oltre la sedia a rotelle: l’anti-Drugo, intento a faticare per un successo che non è il suo. Sullo sfondo una Los Angeles divisa tra i libertini e gli amanti dell’ordine, tra i militari e le “milizie”: il tutto condito da un’atmosfera in stile porno anni ’90.
Drugo, al di là del bene e del male
Drugo sembra non aver scelto di essere il protagonista di questa storia: voleva solamente il suo tappeto, ridare quel tono alla stanza. Invece, il mondo ha voluto che fosse lui a prendere il centro. Lui non è mai, però, la causa del procedere della vicenda. La follia degli amici, i fraintendimenti dei nemici o gli scambi di persona: tutto al di là del controllo di Drugo, che si trova sbattuto da una parte all’altra della città per le azioni e le reazioni di ciò che gli sta intorno. Lui sembra, piuttosto, un catalizzatore, un punto verso cui gli altri sono attirati: infatti, è presente in ogni scena del film. Ha la forza di non giudicare quel mondo che lo circonda, Drugo. Con i buoni e con i cattivi, trova sempre la forza (o la stanchezza) per lasciare perdere e farsi un White Russian.
Il Dudeismo, la religione del Drugo
Un culto senza precetti, un mito senza immagine: quella del Drugo è diventata una religione in cui l’unica regola è l’assenza di fretta, la calma, l’accettazione che esiste un mondo al di fuori del nostro controllo. Che senso ha sbattersi? Perché provare a fare qualcosa in più quando è sufficiente qualcosa di meno? Domande che, se poste esplicitamente, ci renderebbero agli occhi degli altri degli sbandati. Dov’è il sacrificio? Dov’è la voglia di arrivare? Si chiederebbero in molti.
Il mito americano è ovunque: nelle strade, nei negozi e nelle cene di famiglia (“Ai miei tempi si lavorava duro”, c’è sempre quello che lo dice…) e proprio per questo dobbiamo andare al cinema a vedere Il grande Lebowski. La dimostrazione che una vita diversa è possibile. Una scelta radicale che fa da antidoto alla velocità, alla frenesia che non piace a nessuno ma che fa parte del nostro quotidiano. Una risposta semplice a un caos, che non è nient’altro che la vita, più grande di noi: “Dai Drugo… fregatene e andiamo al bowling”.