Michele Ragno classe ’95 era alla diciottesima edizione della Festa del Cinema di Roma con Clorofilla, Diabolik - Chi sei? e i Leoni di Sicilia. Con Ragno abbiamo ripercorso i suoi inizi di carriera con la più grande drammaturga contemporanea, Emma Dante, il suo Franco Tritto, assistente di Aldo Moro (Fabrizio Gifuni nella serie) in Esterno Notte di Marco Bellocchio (e di quella volta in cui il regista che ha tentato la Nouvelle Vague gli propose di rifare il voice over della vera telefonata con cui il mondo veniva a sapere della morte del presidente della Dc) e le più recenti interpretazioni. Ma cosa significa per Michele Ragno fare l'attore? Carmelo Bene a Maurizio Costanzo diceva che in quella che oramai è l’inevitabile sparizione dell’io, chi fa questo lavoro riesce (e deve riuscire?) a superare se stesso, a totalizzarsi. Su quale sia il compito dell'attore, Ragno ci ha risposto così: “Come diceva Mastroianni, deve essere sempre un po’ distaccato da quello che fa”. Parafrasando Bertol Brecht, il giovane talento made in Puglia è un uomo che ha “apprestato il terreno alla gentilezza”, e ci ha donato in questa intervista tante parole e chicche del mestiere (svelandoci pure a che pittore si ispira quando deve preparare un personaggio e che musica ha tra i preferiti di Spotify)....
Michele Ragno anche tu allievo della Silvio d’amico hai mangiato molto teatro, lavorando in produzioni di grande successo come Le Baccanti di Emma Dante, vincendo poi nel 2016 anche il Roma Fringe Festival come miglior attore emergente. Volevo chiederti, quanto ti appartiene il mondo del teatro? Ti manca?
Il teatro è mio padre e mia madre. Di base, lavorativamente parlando, mi sto occupando sempre più di cinema però almeno uno spettacolo all’anno cerco di farlo, anzi io “devo” farlo. L’ultimo che ho fatto è stato il Riccardo II a Spoleto. Mi piacerebbe tornare a lavorare anche con Emma Dante. Il suo spettacolo Misericordia è meraviglioso, è come se la regista in ogni cosa che fa ti prendesse per mano e ti portasse dentro di sè.
Tra i diversi lavori al cinema dopo Ammaniti, Roan Johnson e la serie 1994 accanto a Stefano Accorsi e Miriam Leone, hai intepretato il ruolo di Franco Tritto, l’assistente di Aldo Moro, nell’acclamatissima serie Esterno notte di Marco Bellocchio, come è stato lavorare col Maestro ?
Ora ti dico una cosa divertente. Quando ho saputo del provino ero a Barletta, a casa mia, mi chiamano vengo a Roma, faccio il casting, riprendo il treno per tornare e poi mi richiamano e mi dicono che va bene. Un sali e scendi di emozioni e pure di treni. Sul ruolo di Franco Tritto, che dire, in un cast gigantesco come quello di Esterno Notte, poter interpretare quel personaggio per me è stata una occasione unica. La meraviglia e la fatica più grande è stata lavorare al voice over di quella famosa telefonata in cui i Brigatisti annunciavano la morte di Moro. L'ho ascoltata innumerevoli volte, tanto è vero che il lavoro più intenso fatto con Bellocchio non è stato girare la scena in Aula Magna (tra l'altro se non erro le riprese furono il primissimo ciak del set) che è molto d’immagine in cui vige una tensione crescente, ma proprio il lavoro successivo in sala doppiaggio, perché Bellocchio voleva che fossi io a ricostruire la voce di Tritto. Siamo stati un pomeriggio a lavorarci su quelle corde, e la cosa bella però è che il Maestro lavorava con me, non voleva una riproduzione, ma una mia interpretazione.
Com'è stato lavorare con Fabrizio Gifuni?
Nonostante siano stati pochi take, lavorare con lui è stata una esperienza molto forte. Gifuni è un attore così generoso, mi permetteva di respirare nelle sue pause. Ero vivo assieme a lui. Era come se fossi assorbito totalmente. E purtroppo spesso capita il contrario, ti senti costretto a fare bene, e basta. Invece con Fabrizio c'è stato un salto in più, perché noi “c’eravamo”. Insieme.
Bellocchio un dio del Cinema. Qual è il tuo personale? Hai mai lavorato con il tuo idolo?
Io son un fan del neo, neo realismo. Ci sono dei registi che mi piacciono tanto come Alice Rohrwacher, Pietro Marcello e Jonas Scarpignano. Questo tipo di cinema è sì artefatto come lo è, del resto, la stessa macchina del cinema (veicolata da filtri) ma nei loro film è come se gli attimi di realtà venissero sublimati, mi toccassero.
Sei a Roma per del Festa del cinema con ben tre film uno nella sezione Alice nella città, Clorofilla, e poi Diabolik - Chi sei? dei Manetti e Leoni di Sicilia di Genovese. Chi sono i personaggi e gli uomini che hai intepretato? E quale tra questi tre assomiglia più a Michele Ragno?
È una bellissima domanda perché riguarda il senso di questo mestiere. Per me i personaggi non esistono, si creano, è il corpo dell’attore a dare loro la vita. In parte, credo che tutti i personaggi che intepreto mi somiglino in qualche modo. Mi ricordo che una volta Mastroianni in un documentario disse che l'attore deve essere sempre un po’ distaccato da quello che fa e io credo proprio in questo equilibrio tra controllo e libertà.
Per paura di scavare troppo dentro di te o di rimanere incastrato nel personaggio?
Non so se si ci sia un paura vera e propria. La paura è bellissima, ti rende animale. Io adoro avere paura. Però in un mestiere come il nostro può portarti fuori strada, fuori fuoco. Per questo c’è bisogno di equilibrio. Quando ci abbandoniamo a quella condizione è difficile, è come essere scimpanzè allo Zoo. Ecco perché bisogna avere sotto controllo il connubio di tecnica e abbandono. A teatro invece è tutto diverso. Ti permette di sviluppare tuti i sensi, hai una percezione aumentata, sai dove è tutto perché tu abiti quello spazio, come fosse una stanza che conosci perfettamente anche al buio. Come un gatto abiti il palcoscenico.
Un personaggio che ti piacerebbe interpretare?
Riccardo III sarebbe un sogno, magari quando sarò un po’ più avanti con l’età. Dopo un lavoro come quello di Clorofilla che mi ha portato anche in una zona di non comfort con Teo perchè è un ragazzo con una storia molto intimista, che ha tutto dentro (il personaggio emerge da una pupilla, da una luce e spero di essere riuscito a restituire al pubblico al meglio questa sua sensibilità), sento sempre di più il desiderio di lavorare ad un personaggio un po' più fisico. In parte, c'erano già delle sfumature di esteriorità nei Leoni di Sicilia.
Come è stato il set di Diabolik - Chi sei?
È stato molto bello perché i registi, i fratelli Manetti ti lasciano tanta libertà creativa, ho anche ritrovato degli amici sul set come Emanuele Linfatti (da vedere Margini che è stupendo) e Francesco Turbanti. Diabolik per me è stata una giostra, certo provare a essere fumetto non è facile. Nonostante il mio personaggio sia riflessivo e incisivo, è stato divertentissimo darli vita per non parlare poi di quella volta in cui mi hanno fatto guidare la 126 special sul viale Marconi a Bologna con lo stunt-man che ha insegnato a partire con la sgommata...e quando mi ricapita?
Com'è la preparazione per un personaggio che proviene da un fumetto?
Dopo una lunga conversazione su Zoom con i registi in cui abbiamo discusso sulla loro idea e su quanto loro volessero dare vita ad una realtà-reale, in cui tutto è all’insegna della costruzione, ecco che il risultato è stato un Diabolik film in cui è tutto molto disegnato proprio come nel fumetto. Certo, quando leggo una sceneggiatura o anche un testo teatrale (se il materiale è bello ed evocativo) io ho immediatamente delle fotografie e sento l'eco delle voci in testa, percepisco delle mani che si muovono, è come se vedessi già tutto e cerco di dare forma a quelle primarie intuizioni e magari in un secondo momento mi aiuto con degli esercizi fisici, con delle musiche e delle opere d’arte per far vivere il personaggio.
Un artista che ti piace?
Giorgio De Chirico. Ma anche la teatralità di Caravaggio, nei miei primi anni a Roma lo andavo a cercare in giro per le chiese della città.
Che musica stai ascoltando?
Tanto Baustelle ma anche Giorgio Poi e poi musica africana francese…