Abbiamo intervistato Emmanuele Aita nel cast delle recenti produzioni Suburraeterna e i Leoni di Sicilia presentate alla Festa del cinema di Roma. Gli abbiamo chiesto del suo esordio a teatro, di come la sua passione per la recitazione sia intrecciata saldamente alla storia della sua famiglia (anche il fratello Dario Aita è un grandissimo attore), della sua lunga lista di successi e della sua Sicilia. Aita: I Leoni di Sicilia di Genovese esprimono una visione poetica storica e colossale, di una Sicilia Rivoluzionaria. Finalmente vedi Palermo nel suo massimo splendore, nonostante il colera, la povertà, c’è una storia di nascita e di crescita”. Un tempo, le cose che accadevano nell’Isola avevano la forza di cambiare e rivoluzionare le sorti dell’intero Paese. Con degli occhi che ridono e con un fare attento e spigliatissimo, Aita ci ha raccontato anche di quella volta che per fare un provino in lingua straniera ha chiesto lezioni “accelerate” di pronuncia francese a dei turisti in spiaggia…
Tanto teatro, tanta televisione e tanto cinema. Esordio sul grande schermo con il premio Oscar Michel Hazanavicius. Com’è stata questa esperienza?
A dire il vero il mio primo film è stato Taranta on the road di Salvatore Allocca poi è arrivata la chiamata per Il Mio Godard e il ruolo di Marco Ferreri. E non ci crederai ma la storia del mio selftape è stata parecchio strana. Ti dico solo che quando mi hanno chiamato ero in spiaggia, in una riserva naturale siciliana bellissima. Il casting director del film mi aveva chiesto di fare il video per il provino e mentre registravo mi sono reso conto che vicino a me c'erano dei turisti che parlavano francese. E che faccio? Beh ovviamente chiedo loro dei consigli sulla pronuncia. E così è andata, alla fine direi pure bene.
Benissimo, aggiungerei. E come è stato interpretare il ruolo del regista Marco Ferreri?
Allora sicuramente ho guardato tante sue interviste e ho cercato di capire come lavorava ma per il resto mi sono sentito anche libero di poter fare mio il personaggio, per quanto possibile. Il regista non voleva una imitazione pura ma una versione più umana della storia. Ci ha chiesto lui più libertà nell'interpretazione e anche per questo ha ricevuto qualche critica.
Arrivano i ruoli di Paolo Macrì in l’Allieva e Ferdinando Badali in Suburra. Due personaggi super apprezzati dal pubblico ma diversissimi tra loro. Quali caratteristiche o tratti dell’uno e dell’altro assomigliano ad Emmanuele Aita?
In tutti c’è una parte di me. Paolone è stato il mio primo ruolo in assoluto dopo essere uscito dallo Stabile di Genova, e dopo anni di teatro i primi giorni di ripresa furono davvero difficili. Mi dovevo ricordare di non muovermi troppo, di stare attento con gli occhi. Però devo dire che a parte l'ansia iniziale, con questo ruolo mi sono davvero divertito. Ero libero, potevo davvero fare quello che volevo, infatti devi sapere che molto di quello che dicevo era pura improvvisazione. Non mi piace che si debba rispettare per filo e per segno un copione, adoro essere libero e avere possibilità di improvvisare. Mi viene in mente quella volta in cui in una scena ho detto “Viette a pigliar u perdono”. Per la prima volta in televisione c'è stata una citazione nella citazione. Quindi per Paolo Macrì sicuramente ho fatto forza sul mio carattere espansivo, mentre per Badali, da scorpione ascendente scorpione quale sono, ho esasperato la mia permalosità, senza dubbio.
Ne L'Allieva hai lavorato con tuo fratello Dario, anche lui un attore pazzesco. Come è stato lavorare insieme?
È molto bello lavorare con Dario, abbiamo girato solo due scene insieme per L'Allieva ma prima avevamo fatto una tournée teatrale. Io lo dico sempre, non vedo l’ora che riaccada. Sono pronto a tutto, commedia, dramma poco importa purché si possa recitare insieme!
Come è nata la vostra passione per la recitazione?
La mia famiglia è stata sempre molto interessata al teatro. Io sono cresciuto con mio nonno paterno (che tra l'altro si chiamava come me) con cui passavo i pomeriggi ascoltando Eduardo De Filippo. Con Dario è stato strano perchè lui iniziò prima di me a fare corsi di teatro ed entrò al Teatro Stabile di Genova per caso. Doveva accompagnare una sua amica a fare il provino. Ma alla fine provò anche lui, e lo scelsero. Come nelle grandi storie...io anche entrai a Genova, dopo aver lavorato per anni nei teatri a Palermo, ma fu alla “one shot, one opportunity”. “Se è destino entro”. Ed è andata bene...
Sei stato dentro tante storie siciliane penso alla miniserie su una delle fotografe più brave che l’Italia abbia mai avuto, Letizia Battaglia. Cosa vuol dire per te essere siciliano?
Essere siciliano è una cosa che si rispecchia sempre nei lavori che fai anche quando vai a girare in Svezia, ad esempio. Hai un bagaglio ampissimo da portarti dietro che ti permette di dare delle sfumature aggiuntive ai personaggi. La prima volta che sono riuscito a girare in Sicilia è stato per La concessione del telefono di Roan Johnson. È bellissimo tornare a recitare a casa propria.
Miriam Leone e Paolo Genovese riguardo i Leoni di Sicilia, hanno detto: “Finalmente una storia siciliana senza la mafia”. È vero che parlare della Sicilia al cinema o nelle serie equivale troppo spesso a parlare di mafia?
Alzo le mani per me è proprio così. I Leoni di Sicilia esprimono una visione poetica, storica e colossale. Rivoluzionaria. Finalmente vedi Palermo nel suo massimo splendore nonostante il colera, la povertà, è una storia di nascita e di crescita. Vincenzo Florio è stato un precursore e se la Sicilia avesse veramente puntato sui di lui, il Sud avrebbe avuto una ascesa enorme. Io lo paragono a Elon Musk di allora, già solo per il fatto che un uomo di quell'epoca preso dal desiderio di avanscoperta se ne parte per un viaggio in Inghilterra….
Ti ricordi quando ti hanno chiamato per fare il ruolo di Peppe Messina?
La prima volta che lessi il romanzo ho detto proprio: “speriamo che se ne faccia una serie”. Per cui quando ho saputo del casting per il ruolo di Peppe Messina puoi immaginare quanto fossi contento. Tra l'altro il personaggio di Messina nasce come ruolo minore ma in realtà accompagna Vincenzo Florio fino alla fine, crescono e invecchiano insieme. È il grillo parlante di Vincenzo, l'unico che riesce anche a fargli cambiare idea, a farlo ragionare. Peppe e Vincenzo in diverse scene si parlano addirittura con gli occhi.
E com'è il siciliano di Michele Riondino, il protagonista e attore di origini pugliesi?
Perfetto, poi ogni tanto mi chiedeva consiglio.
Com'era in generale il set de I Leoni di Sicilia?
C'era una atmosfera meravigliosa, nonostante stessimo facendo un lavoro con centinaia di persone, e nonostante la paura fosse tanta, Paolo Genovese ci ha guidati verso una rotta precisa, con un vascello solido. Certo, girare d'estate in costume con 43 gradi al sole non è stato facile, ma non vedevo l'ora di vedere il risultato del nostro lavoro in anterima alla Festa del Cinema di Roma.
Un cast eccezionale.
Si, davvero tutti bravissimi. Ester Pantano mi ha estasiato, la sua Giuseppina è straziante, poi la complessità messa da Vinicio Marchioni nel suo Paolo Florio, Paolo Briguglia...tutto è stato perfetto. Persino la Sicilia è stata per certi versi ricostruita con i suoi vicoli, pure lo schifazzo, il porto. Tutto era imponente e sono riusciti a restituire il mondo dei Florio nei minimi dettagli anche negli studi Videa a Roma (dove una parte della serie è stata girata). Pensa che qui, dato che lo spazio non bastava, hanno bonificato un'altra parte del set per ricordare le strade di Palermo... Quando sono arrivato negli studios romani non ci potevo credere. Ero in Sicilia.