Per qualche incredibile ragione, una quindicina d’anni dopo la sua uscita, in Italia e solo in Italia “Trading places” (“Una poltrona per due”, pellicola del 1983 di John Landis con con Dan Aykroyd e Eddie Murphy) è diventato il film di Natale per antonomasia. Dal 1997 viene puntualmente trasmesso in prima serata il 24 dicembre da Mediaset, si ritiene dopo il primo esperimento casuale con annesso successo di ascolti. E pensare che di natalizio “Una poltrona per due” non ha alcunché. Anzi, è un inno al politicamente scorretto. E per questo è il caso di goderselo anche stavolta, la ventiquattresima di fila, in questo disastrato e disastroso 2021, perché visti i tempi che corrono potrebbe essere l’ultima. C’è il rischio che qualche benpensante si mobiliti per fargli fare la fine degli Aristogatti o di altri cartoni animati Disney come “Dumbo”, “Lilli e il Vagabondo”, “Peter Pan” e “Il libro della giungla”, fatti sparire dal catalogo per bambini perché “questo programma include rappresentazioni negative e/o maltrattamenti di persone o culture. Questi stereotipi erano sbagliati allora e sono sbagliati adesso”. Ci mancava l’idiozia retroattiva.
Quali sarebbero questi “maltrattamenti”? È la stessa Disney, sulla sezione del sito “Stories matter” (non vi ricorda qualcosa?), a rivelarlo. La prima imperdonabile violenza è quella legata a Shun Gon, un gatto siamese che suona nella jazz band degli “Aristogatti” (1970): “Il gatto è raffigurato come una caricatura razzista dei popoli dell’Asia orientale con tratti stereotipati esagerati come occhi obliqui e denti da coniglio. Canta in un inglese poco accentato, doppiato da un attore bianco e suona il piano con le bacchette. Questa rappresentazione rafforza lo stereotipo dello straniero perenne”. Analogo “problema” per Si e Am, i due gatti siamesi presenti in “Lilli e il Vagabondo” (1955). E che dire poi dei corvi “razzisti” di “Dumbo” (1941), dell’orango Re Luigi ugualmente offensivo verso gli afroamericani e di “Peter Pan” che con i “pellerossa” assieme ai bambini perduti balla “indossando copricapi e altri elementi esagerati, una forma di derisione e appropriazione della cultura e delle immagini dei nativi”?
Ecco, se questi sono i criteri, tipici del delirio politicamente corretto nato in America che qualcuno sta provando a importare (purtroppo con qualche successo) anche dalle nostre parti, chissà cosa potrebbe venir detto, scritto e decretato di “Una poltrona per due”, un florilegio di stereotipi razziali, blackface, punte di omofobia, riferimenti alla droga, immotivati quanto esplosivi topless di Jamie Lee Curtis nel ruolo di prostituta (spezzoni di film così improponibili per le piattaforme social che si trovano solo su siti porno) e persino zoofilia.
Che tempi, non a caso quelli dell’ascesa imprenditoriale di Silvio Berlusconi. Non si esce vivi dagli anni Ottanta, cantava Manuel Agnelli con i suoi Afterhours sul finire degli anni Novanta (che tempi). Ebbene, “Una poltrona per due” ci è riuscito. Almeno finora.