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A letto con Bianca (Balti) nasce la sorellanza. Ecco perché è peggio della resilienza

  • di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

3 aprile 2022

A letto con Bianca (Balti) nasce la sorellanza. Ecco perché è peggio della resilienza
Un format senza format condotto da una top model che non conduce intenta a intervistare una fotografa che non scatta. La nuova fiera della vacuità a tinte rosa confetto si chiama "A letto con Bianca" ed è a piede libero su Youtube per "proteggere la sorellanza sempre e comunque". Aridatece la resilienza

di Grazia Sambruna Grazia Sambruna

Venti minuti e trentandue secondi di “sorellanza sempre e comunque”. La prima puntata, ce ne saranno altre cinque, di “A letto con Bianca”, il nuovo “format”, virgolette d’obbligo, di Bianca Balti, si propone di intervistare donne influenti sui social come nella loro professione affinché possano discettare nello specifico di tutte le ragioni per cui siano, fuor da ogni dubbio, fonti di ispirazione. La prima ospite è Nima Benati, fotografa di moda spesso attaccata per un uso estremo di filtri e Photoshop quando rivolge l’obiettivo verso di sé. Nel frattempo, scatta campagne per i più prestigiosi brand di moda e pure le cover di Vanity Fair. Buon per lei. Con oltre 700mila follower su Instagram, di sicuro tra una cosa e l’altra non stiamo parlando dell’ultima arrivata. Anche se, al di fuori della sua bolla di competenza, difficile averne sentito parlare. Ultimate le presentazioni, andiamo a dragare questo nuovo abisso e a cercare di capire come mai andare a letto con Bianca Balti possa essere, a sorpresa, nient’altro che una pessima pessima idea. 

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Un post condiviso da Bianca Balti (@biancabalti)

Che i K su Instagram valgano più di qualsivoglia talento è una realtà con cui oramai abbiamo fatto i conti. Ogni tanto il pensiero che per la story virale in cui un influencer X stupra un congiuntivo, quello stesso influencer X abbia percepito migliaia di euro in dobloni d’oro ci sveglia la notte in un lancinante afflato di irripetibili improperi. Ma, allo stesso tempo, è così che il mondo funziona oggi, sorelle. Quindi fino a che la gente non si stuferà di rendere perfetti idioti profumatamente milionari, tant’è. Una prece. 

Bianca Balti e Nima Benati non sono certo due improvvisate, però: entrambe hanno una sfavillante carriera alle spalle e un futuro altrettanto roseo si dipana davanti a loro. Purtroppo, però, esse parlano. Con le scarpe, D&G, di una lussuosa suite del Westin Palace di Milano, le due, griffate fino all’ugola e in perenne posa per far sbarluccicare a favor di camera i nomi dei brand che le vestono, vanno avanti per venti minuti a rifilarci la mafrina di quanto siano umili, sobrie, imperfette, sognatrici, due di noi. Se lallero. 

 

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Un post condiviso da Nima Benati (@nimabenati)

L’intervista (?) che ne esce fuori è un potpourri di buoni sentimenti e autocelebrazione. Pardon, di celebrazione della “sorellanza”. Ecco, il termine “sorellanza” gioca nello stesso campionato di “resilienza”, quello delle parole orrende. Nessuno se l’è ancora tatuato, certo, ma visto che non siamo usciti migliori proprio da una bella cippa di nulla, non ponete limiti alla stupidità umana. Lo andava ripetendo pure Albert Einstein.

Ma che cosa sarebbe, dunque, questa “sorellanza”? Sorellanza, stando alla prima puntata di A letto con Bianca, è complimentarsi fino alla nausea a vicenda fino a caramellare l’aria circostante e far sperare il poro spettatore nel pronto arrivo della strega di Hansel e Gretel a infornarle entrambe. “Sorellanza” significa portare avanti una sedicente intervista di 20 minuti e rotti con sole due domande. La prima: “Quanto la tua vita ha superato le tue aspettative?”. Perché A letto con Bianca, non si fanno sconti. Roba che già ce la vediamo la Fagnani a prender febbrilmente appunti. 

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Di più, le nostre due fonti di ispirazione presso se stesse ci illuminano anche su come usare i social nel modo più “sorellastico” (termine non utilizzato, non ancora) possibile: mai cedere alla tentazione di lasciare un commento negativo. Se qualcosa non ci piace, basta passare oltre. O, altrimenti, elargire comunque complimenti sotto l’orrore che ci è capitato nel feed perché così “ripuliamo il nostro mindset dalla negatività”. “Sono la prima a sostenere su Instagram anche lavori che non mi piacciono, perché è importante dare supporto a tutti”. E questo deve essere il “mindset” anche di chi ha voluto approvare il pitch di  “A letto con Bianca”. Un’occhiata veloce alle centinaia di migliaia di follower di queste due e via, apriamo le gabbie, che importa del contenuto. 

Nima e Bianca sono due ragazze semplici, entrambe bullizzate in adolescenza, ma forti abbastanza da non aver mai rinunciato al loro sogno. Quello di avere un sogno. La fotografa tiene moltissimo a sottolineare il periodo in cui, ancora alle superiori, faceva la cameriera nei weekend per 50 euro. “Tanto che ancora oggi mi stupisco quando mi posso permettere una borsa di lusso, non riesco a crederci!”. Quanta umiltà, signora mia. Se avessimo un cuore, ci si sarebbe sciolto di tenerezza, anzichenò. 

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Davanti a questo profluvio di melassa, almeno finora non c’è ancora un cristiano che abbia commentato con un’emoji rimettente. Solo complimenti per tale mirabile static duo di “donne che ce la fanno”. Probabilmente, anche il “mindset” di chi lascia due parole sotto al video è teso alla positività: ovvero sia le perculano o non si spiega. Non ci soffermeremo sui dettagli tecnici che non è “sorellastico” sparare sulla croce Bianca, ma che questo progetto sia tanto curato nella confezione quanto sciatto nei contenuti lo si evince già dal buongiorno. Ovvero quando la Balti apre dicendo: “Benvenuti a questa nuova puntata di A letto con Bianca”. Sarebbe la prima, sorella, la prima. Quisquilie. 

Ci meritiamo qualcosa di meglio dove per “meglio” si intende una rappresentazione della donna che non sia tutta griffe, urletti e cuoricini tenerelli? Assolutamente sì. La avremo? Non oggi. E forse nemmeno domani. O magari è solo che il nostro “mindset” non è ancora stato lobotomizzato dagli hashtag e dai trend del momento, al punto che riusciamo ancora a vedere cosa sia bello e cosa ci voglia essere pedestremente spacciato per tale. E, a costo di essere prese per hater, per gente che non potrà mai essere una fonte di ispirazione, per “donne che non ce la fanno”, rivendichiamo il nostro ostinato rifiuto del brutto. Anche se “l’ha fatto una femmina” (o due). Davanti alla sorellanza, ci professiamo orgogliosamente figlie uniche. 

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